I pionieri del calcio-Domenico Durante: un langhetto per il primo scudetto juventino

durante e basta

(Nella foto sopra: Domenico Maria Durante)

Provate ad immaginare oggi un allenamento della Juventus. Provate ad immaginare Ronaldo o Dybala che calciano il pallone in porta e gridano  a Szczesny o a Buffon: “Dipingi questo!”

Era ciò che accadeva più di 100 anni fa, quando il calcio era agli albori e quando i calciatori non erano divi da copertina, miliardari, con veline e sgallettate varie al seguito, bensì studenti  oppure semplici operai (infatti lo svizzero Alfredo Dick, uno dei primi presidenti bianconeri, essendo alto dirigente di uno stabilimento tessile, inserì in squadra alcuni suoi dipendenti).

I calciatori si allenavano con molta passione e nel farlo sferravano tiri  al portiere juventino dell’epoca, il cui nome era Domenico Maria Durante, di professione appunto pittore.

Fece carriera, come pittore ed illustratore, tanto che venne pure invitato più volte alla Biennale di Venezia.

profilo

(“Profilo”, 1908, opera di Domenico Maria Durante)

Fu per anni l’illustratore di Hurrà Juventus, continuando a seguire  di fatto le vicende della società bianconera, non più con i guanti da portiere, ma col pennello o con la matita da disegno.

Nato a Murazzano, nelle Langhe, nel 1879, morì, nel 1944 a Canale d’Alba.

Pochi sanno che le terre tanto amate da Pavese e Fenoglio, hanno dato i natali anche a questo interessante personaggio, pittore prima che calciatore.

Sembra impossibile crederlo, ma se oggi il campionato di calcio è così importante e così famoso e se i calciatori che vi militano fanno grazie ad esso una vita lussuosa, devono ringraziare lui e quelli come lui, autentici pionieri dello sport più amato da noi italiani.

Come avviene un po’ per i datteri, furono quelli come Durante e come i calciatori delle altre squadre dell’epoca, le prime, a seminare e a permettere che tanti anni dopo i loro successori raccogliessero i frutti (e che frutti!!).

Lui seminò e  con lui seminarono molti altri, alcuni dei quali non fecero in tempo a vedere l’evoluzione del loro amato sport, perendo sul fronte durante la Prima Guerra Mondiale.

 

18 maggio: due vittorie, due storie

Ieri era il 18 maggio, ovvero una data in cui sono state conseguite due vittorie rimaste scolpite nella storia del nostro calcio, a cui dedichiamo questo post.

Il 18 maggio 1977 la Juventus vinse il suo primo trofeo europeo, alzando al cielo la Coppa Uefa.

Quel successo però nacque ben prima di quella data, iniziò in effetti nell’estate del 1976, quando un mucchio di sapientoni contestò Giampiero Boniperti per aver ceduto Capello e Anastasi, acquistando al loro posto Benetti e Boninsegna.

Quei “professori” non capirono che stava per nascere una delle Juventus più forti e più belle di tutti i tempi, che avrebbe vinto lo scudetto conquistando 51 punti su 60 disponibili e avrebbe vinto appunto anche il suo primo trofeo internazionale, guidata in panchina da un giovane allenatore (che  si rivelò essere un’altra  scommessa stravinta da parte di Boniperti): Giovanni Trapattoni.

Era un periodo particolare, non si potevano tesserare calciatori stranieri e vedere quella Juve, composta tutta da calciatori italiani, trionfare anche all’estero fu motivo d’orgoglio per il nostro calcio. Lo fu senza dubbio anche per il primo tifoso bianconero: l’Avvocato Gianni Agnelli, giacché quella Juve tutta italiana, vincitrice di campionato e Coppa Uefa nel medesimo anno, fu quella a cui (per sua ammissione) rimase più affezionato.

Diciassette anni dopo, il 18 maggio 1994 ad Atene il Milan doveva incontrare il Barcellona allenato da Johan Cruijff  per la finale di Coppa dei Campioni.

Cruijff alla vigilia fece un po’ il gradasso dichiarando: “Noi abbiamo acquistato Romario, loro Desailly”.

Il Milan inoltre per quel match doveva fare a meno di Franco Baresi e Alessandro Costacurta, i due centrali difensivi “titolarissimi” (il primo poi senza dubbio il migliore al mondo in quel momento) e ciò destava naturalmente preoccupazioni (“Basterà Filippo Galli per fermare Romario?” era la domanda che tutti si facevano e che conteneva in sé palate di perplessità).

Fabio Capello, allenatore del Milan, mise a compimento un capolavoro tecnico tattico. La squadra che schierò in campo infatti annientò letteralmente i blaugrana.

Se mai vi è stata una partita perfetta, quella dei rossoneri in quella serata fu qualcosa che gli assomigliò in maniera tremenda.

Un Milan granitico, compatto, le suonò di santa ragione al Barcellona. Superiore in tutto e per tutto, rifilò 4 pappine alla banda di Cruijff che, dopo la sparata della vigilia, dovette assistere non solo al congelamento di Romario in campo da parte degli avversari, ma pure Desailly permettersi il lusso di andare in rete.

Rispetto al 1977 erano già altri tempi, i calciatori stranieri potevano essere tesserati (ma solo 3 ne potevano essere schierati in campo), ma quella vittoria fu (ed è ancora) un grande motivo di orgoglio per il calcio nostrano, proprio come quella conseguita 17 anni prima dalla Juventus.

Maglie

milan 1950 51 inter perugiahallercausiopulicicarlo bresciani sampdoria

Prima di iniziare il post rivolgiamo un doveroso ringraziamento al sito www.ilnobilecalcio.it, per averci permesso di pubblicare le fotografie sopra.

Le immagini ritraggono nell’ordine: il Milan 1950/51, l’Inter 1977/78, il Perugia 1976/77, Helmut Haller quando giocava nel Bologna, il “Barone” Franco Causio, Paolo Pulici e Carlo Bresciani della Sampdoria.

Cos’hanno in comune? In tutte (sia quelle riguardanti le squadre, sia quelle riguardanti i singoli calciatori) si vedono maglie bellissime, a nostro avviso (ma crediamo non solo nostro) più belle di quelle di oggi.

Queste maglie sono rimaste nella memoria di tutti noi, appassionati di calcio.  Per realizzarle le società non chiamavano stilisti di grido, piuttosto che multinazionali della moda. Semplicemente sapevano quali erano i colori sociali della squadra e si regolavano di conseguenza, senza snaturare in alcun modo quello che era, per tutti i tifosi, un simbolo: la maglia.

Oggi le maglie cambiano ogni anno per questioni di marketing. Gli sponsor la fanno da padrone e così si è arrivati al punto di vedere persino la Juventus senza le strisce sulla divisa.

Ai tifosi non piacciono le maglie? Chi se ne frega, l’importante è che l’Adidas, la Nike o chiunque sia, sborsi i quattrini, i tifosi tanto alla fine correranno lo stesso a comprare, per se stessi o per i figli, le maglie dei calciatori.

La maglia rispecchia semplicemente il passaggio dal calcio di un tempo a quello di oggi. Un tempo le maglie subivano modifiche negli anni, ma non radicali, proprio come le formazioni delle squadre, la cui ossatura rimaneva la stessa per anni. Si era talmente abituati a ripetere formazioni come: Zoff, Gentile, Cabrini…, piuttosto che Sarti, Burgnich, Facchetti…,  che col tempo diventavano litanie. Oggi non è più così, sia per quanto concerne le formazioni, sia per quanto concerne le maglie.

Il calcio-business, col mercato aperto tutto l’anno, in mano a sponsor e procuratori, ha trasformato quello che per i tifosi era un oggetto quasi sacro in un oggetto profano e pacchiano.

Peccato.

 

 

Non importa che se ne parli bene o male. L’importante è che se ne parli (O. Wilde)

pjanic

Inter-Juventus, 28.04.2018. Pjanic commette un fallo da ammonizione, ma l’arbitro Orsato non lo ammonisce.

Se lo avesse fatto, essendo il bosniaco già ammonito, sarebbe di conseguenza stato espulso. Fu un errore grossolano, ma di quegli errori che nel campionato se ne vedono tanti.

Qualche giorno fa, dopo due anni (perché non prima?) viene tirato in ballo da Giuseppe Pecoraro, all’epoca procuratore FIGC.

Pecoraro afferma che non esiste il file audio relativo alle parole di Orsato con i colleghi al VAR, concernenti quell’episodio. E dunque a questo punto: VAI DI COMPLOTTO!

Peccato che per le ammonizioni il VAR non possa intervenire e quindi la decisione presa da Orsato c’entra  un fico secco col VAR. Pecoraro dovrebbe saperlo, visto che il regolamento lui, Procuratore Federale, era tra i primi a doverlo conoscere.

Ma poco importa: bisogna per forza sollevare un caso e così da giorni non si parla d’altro. Basta parlare, non importa che si stia parlando solo per muovere la bocca, ma basta muoverla.

Ora però, siccome quello non fu l’unico errore grossolano di quel campionato, a questo punto guardiamoli tutti, non solo un errore, semplicemente perché fa comodo tirarlo in ballo in quanto fa notizia e solleva polemiche di cui tv, giornali e social si cibano.

Vogliamo anche sapere se esistono file audio sul clamoroso rigore negato alla Roma in Roma-Inter che avrebbe potuto portare i giallorossi sul 2-0 e che avrebbe cambiato il destino della partita, vinta 3-1 dai nerazzurri.

Vogliamo sapere se esiste un audio sul goal strabuono annullato a Berenguer in Bologna-Torino, perché il Toro davanti alla legge (sportiva o no) è uguale agli altri.

Vogliamo sapere anche se esistono tutti i file sugli errori arbitrali che hanno subìto le squadre impegnate nella lotta per la retrocessione. Non dimentichiamo infatti che per le squadre piccole rimanere in Serie A o retrocedere significa molto non solo a livello sportivo, ma a livello economico. Lo abbiamo visto quando nel 2004/05 il Bologna dovette retrocedere perché ai piani alti si decise che la Fiorentina andava salvata e così il compianto Presidente felsineo Gazzoni subì un danno finanziario non indifferente.

Invece si parla solo di Inter-Juve, tra l’altro dimenticando che nel primo tempo ai bianconeri non venne concesso un rigore solare per un fallo su Matuidi (esiste l’audio? E cosa si sono detti? Lì si può sapere, perché cosa che Pecoraro non sa, a differenza dei casi di ammonizione, per i casi da rigore il VAR può intervenire, eccome!).

In conclusione Pecoraro ha sbagliato i tempi, ma anche i modi, giacché dimostra di non conoscere un regolamento che lui era tenuto a far rispettare. A questo punto ci chiediamo: in che modo può averlo fatto rispettare, dal momento che, a quanto pare, lo ignorava?

 

Me grand Türin (Giovanni Arpino)

 

toro

Russ cume el sang
fort cum el Barbera
vöj ricordete adess, me grand Türin
An cuj ani ed sagrin
ünica e sula la tua blëssa j’era.

Vnisìo dal gnente, da guera e da fam,
tren da bestiam, téssere, galera,
fratej mort an Rüssia e partigian,
famije spantià, sperdüa minca bandiera.

I j’ero pòver, livid, sbarüvà,
gnanca un sold sla pel e per rüsché
it dovìe surié, brighé, preghé,
fin a l’ültima gussa del to fià.

Fümé a vorìa di na cica an quatr,
per divertisse i dovìo rije ed poc,
per mangé i mangiavo fin ij gat,
j’ero gnün: i fürb cume ij fabioc.

Ma un fiur l’avio e it j’ere ti, Türin,
tajà ant l’assel j’era la tua bravüra,
giuventü nostra, che tüti ij sagrin
portava via cun tua facia düra.

Tua facia d’ovrié, me Valentin!
me Castian, Riga, Loik, e cul pistin
ed Gabet, ch’a fasìa vnì tüti foj
cun vint dribling e pöj a j’era già gol.

Filadelfia! Ma chi sarà el vilan
a ciamelo un camp? J’era na cüna,
de speranse, ed vita, ed rinassensa,
j’era sogné, crijé, j’era la lüna,
j’era la stra dla nostra chërsensa.

It l’has vinciü el mund,
a vint ani it ses mort.
Me Türin grand
me Türin fort.