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Nickname: gaza64
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Sesso: F Età: 59 Prov: PG |
« Stella | Ermetica disobbedienza » |
La cosa che più mi tormenta, è l'incompletezza. La sensazione di non essere giunti a destinazione, di non aver trovato la chiave, di indugiare di fronte a qualcosa verso la quale, al contrario, vorremmo muoverci ed agire.
Non ho finito il disegno, l'orlo della gonna è ancora scucito, ho rimandato la telefonata che avrei dovuto fare. Non ho detto ciò che avrei dovuto dire o chiesto ciò che avrei voluto sapere.
E' soprattutto quando si perde inesorabilmente l'opportunità di portare a termine qualunque azione o proposito che, al contrario, avremmo voluto completare, che maggiormente si avverte l'incompletezza della nostra umana condizione: tesa a raggiungere un obiettivo nel tempo e nelle modalità stabilite, senza altresì considerare l'altrettanta umana necessità di essere, a nostra volta, completati.
Benché nati finiti.
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E' sempre molto complicato riconoscersi in quella che è la nostra immagine di noi e quella che, di noi, viene data dagli altri: molto spesso, infatti, divergono aumentando la sensazione di non essere compresi e, peggio ancora, di non essere più in grado di comprenderci...
Ringraziandoti per la tua preziosa riflessione, ti abbraccio con stima ed affetto:)
Mai condizione più deleteria per il nostro essere potrebbe rivelarsi della sensazione di completezza, veleno per la nostra mente, come cianuro per il nostro corpo.
Mia cara, direi che mi stai parlando del nodo della nostra esistenza: non ci saremmo mai incontrati se ci fossimo bastati, ognuno per sé.
Da molto tempo, un giorno dopo l'altro, sono impegnato a trasformare quel disagio che qui mi esprimi in una perenne soddisfazione, per non sapere portare a termine ciò che così dev'essere: un quadro senza cornice perché privo di un perimetro.
Così dev'essere. Così siamo.
Noi, così, meravigliosamente dipendenti, felici ed incapaci di esserlo.
E' come se, attraverso questo, esorcizzassimo la paura di esserlo: e costruendo, facendo o amando, volessimo prolungare il tempo concesso come se fossimo noi, quell'altra cosa, o quell'altro.
E' come pretendere di completare l'arredamento un appartamento che ogni giorno cresce di tre camere cucina, bagno e ripostiglio (affarone, telefonare ore pasti...) Se hai la pazienza di aspettare che l'Universo si contrae, vedrai che le cose si completano prima ancora che inizi a metterci mano.
Basta il pensiero, non ci sarà più posto per l'azione.
Ovviamente l'incompletezza di cui parlo, riferita a semplici incombenze quotidiane che riguardano spirito e materia, è stato il pretesto per prendere atto dell'impossibilità di completare ciò che è già finito.
Non l'universo al quale, invece, tu ti riferisci e nel quale magari anche qualcosa di umano continua ad espandersi nonostante il termine fisiologico che ci caratterizza.
Di fatto lo stiamo facendo fin dal primo giorno in cui abbiamo cominciato ad "abitare" un minuscolo frammento di esso, se rapportato ad un'ottica molto meno individualistica riferita alla nostra sola esistenza.
Allora facciamo finta, per ipotesi, che in tutto l'Universo ormai sia stato fatto tutto, ma proprio tutto e che a partire da domani non ci resti più niente da fare.
Tu che cosa suggerisci di fare?
Nel caso contrario, di rifarlo tutto.
Invece tu?
E l'abbiamo anche rifatto più volte, fino alla nausea.
Ritenta Gabri.
Beati quelli che sanno dividere il tempo fra i propri bisogni e quelli degli altri, che sanno amare ed essere amati, che sono figli, padri, amanti, fratelli ed amici sempre all'altezza delle aspettative.
Beati loro perché io non ci riesco. Ho bisogno di buttare via un'ora, di fare passi falsi, di fermarmi a indovinare la forma di una nuvola. Di sentirmi desiderata dagli altri o di restare completamente sola, anche in mezzo a loro. Di guardare indietro con nostalgia, avanti con ambizione, ma di continuare affrontare il presente così come viene, sopravvivendo, il più delle volte, a me stessa.
Beati quelli che hanno una certezza per ogni mio dubbio, risposte là dove io ho solo domande, speranze invece che paure, progetti invece che ricordi.
Beati quelli, davvero, lo dico senza invidia.
Perché nella mia fragilità sta la mia forza. La forza della provvisorietà, dell’ incompletezza.
A presto Gabri.
Rara per la mestizia con la quale indugia tra una perfezione e l'altra conoscendo la leggerezza che solo l'imperfezione regala perché ambita: diversamente da qualunque altra circostanza in cui l'ambizione non ha più motivo di prosperare.
E che conosce talmente bene il suo ritmo da suonarlo in silenzio: ché il silenzio di certe considerazioni merita l'ascolto giusto e non il frastuono di mille certezze. Sempre quelle.
Ti ringrazio infinitamente, Rita, per aver voluto lasciare qui questa tua incantevole e tenerissima considerazione: potessi scattarti una foto, adesso, avresti la testa tra le nuvole, ed in mano una mano, forse la mia, che ti trattiene...
:-)
E sull'eventualità che il nostro essere "finiti" non diventi il pretesto per non contribuire fattivamente ad un'espansione più grande alla quale, indubbiamente, siamo stati chiamati a partecipare.
Ti ringrazio anche per l'apprezzamento della colonna sonora, ricambiando l'abbraccio con il solito affetto...
Di fondo credo sia un meccanismo mentale atto a scongiurare proprio quella limitatezza fisiologica e, conseguentemente, esistenziale, che è probabilmente l'unica certezza con la quale, appunto, fatichiamo a rapportarci.
Grazie, Mr. Mehrtens...
Devo confessare di aver pensato, molto ottimisticamente, alla prima eventualità pur non escludendo, altrettanto realisticamente, la seconda.
Scegline una e falla finita :)
Ne avevo bisogno, sai? Soprattutto perché, nelle tante cose che mi piace fare, spesso mi perdo e qualcosa, di loro, mi sfugge irrimediabilmente.
Per fortuna che qualcosa, o qualcuno, poi torna...
Grazie:)