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Post n°327 pubblicato il 23 Marzo 2015 da gaza64
 
Tag: rimasto

 

 

Mi sei rimasto in mezzo ma

non al centro.


Spostato su un lato ma

non di fianco.


Ripido,

ma mai del tutto scalato.


Dentro,

ma sedimentato.


Mi sei rimasto attaccato ma

non nel punto in cui avrei voluto.


Voluto e mai chiesto.


Inespresso.


E a tuo modo rimasto.


 

 
Rispondi al commento:
fraeduardo
fraeduardo il 23/03/15 alle 22:50 via WEB
L’alterità è dentro o piuttosto fuori? Sembra che l’altro, quando viviamo un certo tipo di relazionalità, una speciale prossimità, non è esterno bensì interno, un’alterità che, necessariamente, piaccia o no, - ed ecco ciò che significa portare l’altro “under my skin” - ci costituisce perché incorporata. Non sempre rimane – dramma o tragedia - nel luogo in cui l’io, in silenzio, senza nulla chiedere, aspettava, desiderava, anellava… Insomma l’altro finisce per occupare un posto, uno spazio tutto suo, spazio che nessuno aveva disposto, preparato, nemmeno pensato. Rimane, ci abita, dimora in noi, non “a modo nostro”, ma, “a modo suo”. Una domanda è importante: Senza tale alterità, la nostra vita sarebbe stata migliore? Più ricca? Più umana? Si potrebbe affermare che, senza l’incontro con l’altro, la nostra vita oggi sarebbe migliore? Nel bene e nel male grazie a tale alterità siamo quel che siamo. Ci abita e il suo abitare ci dà una consapevolezza più profonda su noi stessi. Ci insegna che l’io non è mai un’isola, che è piuttosto un “Noi”; che la soggettività è sempre "intersoggettività". L’altro abita però “a modo suo”, e questo significa che l’altro è costituito di un’alterità tale che nemmeno incorporato può essere addomesticato, annullato, annientato. Non è un eco dell’io bensì “altro”, L’incontro ci ha plasmato per sempre, ha sigillato, “obliterato” uno spazio in noi che non potrà mai essere occupato da nessun’altra alterità. Faremmo un viaggio con un ospite di cui, pur se “a modo suo” non potremmo mai prescindere. Forse sfrattarlo o farlo abitare “a modo nostro” significherebbe per noi imboccare la strada dell’ingratitudine o pure della morte dell’io per dis-integrazione. Imparare a viaggiare con un ospite in-catturabile, senza essere alienati, è ringraziare la Vita perché “ci ha dato tanto”. Sentimentalismo? Non credo proprio. Piuttosto maturità, assumersi la responsabilità delle conseguenze dell’incontro. Commento troppo lungo?Chiedo scusa. Serena notte Gabriella. Pace e bene
 
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