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Le benevole di Jonathan Littell

Post n°146 pubblicato il 19 Novembre 2007 da il_presidente77
 

Nota questa è una recensione senza aver letto nulla (o quasi). È una questione di tempo (ho una pila di libri che potrebbe toccare il soffitto): probabilmente non lo farò a breve termine o forse non lo farò mai.  Però per motivi personali mi sono informato troppo, tanto, e ho sentito l'obbligo di parlarne. Questo è solo un "giudizio" che mi sono costruito, a priori, che potrebbe anche mutare, ma di sicuro sono stato sincero e molto meditativo.

Non si vince per caso il Grand Prix du Roman de l'Académie Française e il Prix Goncourt, i due massimi premi letterari per la narrativa in lingua francese,  soprattutto quando si è uno scrittore americano sconosciuto che scrive la sua opera prima in lingua. Non si costringe per caso un editore a investire su di te quando gli presenti un romanzo costituito da veri e propri faldoni. Non si scrivono per caso 950 pagine senza essere banali parlando ancora di nazismo, quando questo è uno degli argomenti già trattato, vivisezionato da grandi scrittori.

Pubblicare un'opera shock sul nazismo non era un obiettivo per Jonathan Littell, forse in verità non è neanche veramente un opera shockante, ma forse solo un'opera che, per come tratta certi temi, ha suscitato scalpore. Si tratta di uno scalpore dovuto al fatto che nello svilupparsi del romanzo si crea un sorta di rapporto intimistico tra il protagonista, un ex-ufficiale delle SS, e il lettore. Littell si è preoccupato, infatti, di ricreare un puntiglioso affresco storico su cui muovere il proprio protagonista; poi si è preoccupato solo di presentarlo come una persona normale che credendo in un preciso ideale politico, il nazismo, non è né un freddo meccanico burocrate né un volenteroso sadico aguzzino, che  si impegna in esso, che si trova a far fronte a domande spinose che cerca di risolvere razionalmente, ma che risulta ampiamente umano con le sue paure, ma non sì e preoccupato di giudicarlo in nessun modo (la motivazione del titolo del romanzo è spiegata nelle ultime pagine del libro, forse hanno contribuito allo scalpore). Littell scrive, descrive e non giudica, si occupa solo di presentare un personaggio molto complesso che in un determinato periodo storico si muove tra perversioni, violenze o orrori dell'animo umano della società ma anche personali, ma forse questa non era una strada già percorsa da altri? Per esempio, Kurt Vonnegut lo aveva fotto, in modo magistrale, con il suo romanzo Madre notte (di cui ho parlato qui) creando un personaggio, che non è quasi possibile giudicare.
Sarebbe esistito un vero scandalo, se Littell avesse scritto il suo romanzo per assolvere il proprio protagonista e tutti quelli a lui simili; sì, un libro scritto con un intento simile sarebbe non solo scandaloso e becero, ma anche intellettualmente scorretto.
Sicuramente si tratta di un libro mastodontico (in spessore e non solo) che spaventa il lettore, poiché non si presenta di facile e semplice lettura, ma che necessita un lettore adulto (ovvero con discreto spirito critico e tempo per usarlo) per una sua efficace lettura, sicuramente si tratta di un libro che un qualsiasi lettore deve meditare prima di togliere dallo scaffale per leggerlo e che non si può consigliare a cuore leggero, ma credo che queste caratteristiche siano, anche a discapito di qualche delusione, da lodare in un libro oggi come sempre.
Queste parole non sono sicuramente solo un elogio o un consiglio ma soprattutto un avvertimento.

 
 
 
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