Kremuzio

Basta poco a cominciare un discorso e finire con un altro. Dall’acqua del rubinetto (di ieri) a quella modificata. Non ho mai approfondito il perché, ma mi aveva affascinato il fatto che metti il contenuto di una bustina cartacea (o due, chiamate cartine) e dopo un po’ ricavare in cambio una bottiglia di acqua con le bollicine. Un mio amico, dottore primario in pensione, mi raccontava che lui usava per dissetarsi, molti anni fa, delle cartine di Sali di Vichy, sciolte nell’acqua, costosissime, francesi, che davano all’acqua naturale, dei minerali e sapori non comuni. Io non l’ho mai assaggiata, ma quando ero piccolo, a casa mia si usavano le cartine che si compravano dal fornaio. A partire dalla più famosa Idrolitina, alla Frizzina, meno usata perché più antipatica, e poi alcune altre meno conosciute ma delle quali si intravvedono le pubblicità sulle riviste d’epoca degli anni 60, come l’Idriz. Ma per noi bambini erano tutte “l’acqua pizzica”.

L’Idrolitina era del cavalier Gazzoni & C. La più buona, ma già quel termine “cavaliere” non mi era simpatico e non lo è tutt’ora. Non mi veniva in mente Lancillotto, ma di già mi urtava quando sentivo parlare del cavalier Benito Mussolini, e neanche D’Inzeo mi veniva in aiuto. Poi oggi è appiccicato a Berlusconi, e meglio mi sento. Meglio “commendatore” almeno sai che è affibbiato a qualche milanese degno, come il mitico dottor Ciccarelli e la sua pasta del Capitano: altro personaggio televisivo pubblicitario sinonimo di umiltà. Chi se lo ricorda sa perché. Tornando all’Idrolitina, il suo sapore era più gradevole, senza quel retrogusto, ma non troppo, acidulo, delle altre, che mi dava decisamente fastidio. Gusto antipatico che aveva la Frizzina, che oltre tutto era scomposta in due bustine diverse, una blu e una rossa; se mi ricordo bene questo era l’ordine in cui andavano immesse nella bottiglia. Ovviamente non c’erano bottiglie di plastica, o meglio, quelle che esistevano davano all’acqua un saporaccio plastic oso, per l’appunto. Mi piaceva il rito delle cartine. “Fai l’acqua” mi si chiedeva, allora prendevo la bottilia di vetro con quel tappo di ceramica, con la sua guarnizione arancione ad esso solidale, tramite delle leve e ganci metallici, attaccata al collo della bottiglia che era bucato. Non si potevano usare i tappi di plastica, in quanto il gas li avrebbe fatti volare via con un botto, per tanta che era la pressione.

La bottiglia non si riempiva fino all’orlo, ma si lasciavano 3-4 dita dall’imboccatura, altrimenti la subitanea effervescenza avrebbe lasciato fuoriuscire la prima schiuma. Con una cartina sola era abbastanza facile: la reazione non era velocissima, e ti dava quei 2 secondi di tempo che ti permettevano di chiudere il tappo. Ma non bastava. Le guarnizioni avrebbero potuto cedere, e con un PSSHSSHHSSSHHHhhhsssccc uscivano le bollicine. E sapevi che ogni bollicina che scappava era una bollicina che non bevevi, ed il sapore sarebbe cambiato. Così stringendo giravi la bottiglia e la agitavi per far sciogliere meglio i granellini che potevano essere rimasti attaccati al collo interno. Dovevi aspettare qualche minuto, poi potevi togliere il tappo e procedere all’assaggio. Se avessi aperto troppo presto, sarebbe uscita un po’ di schiuma. Se dicevi “non era ancora fatta” ormai era troppo tardi e te la dovevi bere acidula. Fregato! Come se ti cuoci un uovo alla coque e te lo ritrovi sodo.

Con due cartine era il panico. Mettevi la prima, chiudevi e rigiravi la bottiglia, poi riaprivi e dovevi sbrigarti a mettere la seconda bustina che se indugiavi per fare le cose per benino, era la stessa cosa del mettere una pastiglia di Mentos nella cocacola: la reazione chimica vera e propria arriva improvvisamente e rischi di provocare una fontana che fuoriesce sulla tovaglia buona completamente apparecchiata. Bei tempi… poi scopri che è a base di sodio e per l’ipertensione che hai non la puoi bere… Uffa.