Kremuzio

Quando pensi al tabù ti immagini sesso con parenti stretti, innanzitutto, ovvero quelle cose a cui cerchi di non pensare e che ti bloccano, o ti senti qualcosa di stonato dentro. Un disagio interno, una forza che ti fa distogliere lo sguardo, spegnere il cervello, infilarti le dita nelle orecchie per non ascoltare. Ma tabù è anche altro. È parlare di morte, ma non quella di altri impersonalmente, distanti, magari in un altro continente, addirittura che osano morire di fame o di guerra lontano da qui, dove arrivano solo gli echi e le immagini delle disgrazie.

Il disagio l’ho percepito pesante, vischioso, nella trasmissione di due giorni fa, quella di cui si è parlato tanto, attesa e contesa.

Un breve inciso: vi siete accorti come una trasmissione del genere, che praticamente è stata fatta a costo zero, visto che gli ospiti non hanno ricevuto denaro, che sarebbe dovuto essere l’equivalente di 50 anni di stipendio di lavoro di un normale individuo (dicono), sia risultata la trasmissione più interessante da molto tempo a questa parte? E lo share lo ha confermato superando persino il GF e la sua accolita di mentecatti. Fosse la dimostrazione che finalmente ci stiamo affrancando da quel modo di assistere passivamente all’elettrodomestico principe (io preferisco sempre il frigorifero, comunque)?

Ma dicevamo: il momento è stato quello in cui Benigni ha cominciato a parlare di morte con Saviano accanto. Ed insisteva, sulla condanna emessa dalla camorra. Mi sono avvicinato al piccolo schermo della cucina e mi sono messo a fissare negli occhi lo scrittore. Ho percepito smorfie, brividi, consapevolezza, ma non paura. Ho visto le sue sopracciglia flettersi, ondeggiare in mimiche che avrebbero voluto dire tutto, che avrebbero fermato l’attore che stava parlando, che non so se avrebbe potuto dire le stesse cose con un’altra persona o riferite a sé stesso.

Forse sì. Benigni, seppur non mi sia eccessivamente simpatico come regista, lo reputo un enorme comunicatore per quel che riguarda le cose della vita. Solo da lui riesco ad ascoltare parole che altri non dicono, che non vogliono o non possono dire. Parla d’amore e di morte come se fossero argomenti da sala d’attesa, rivoltati nella loro pesantezza insostenibile con accezioni che nella nostra società si sussurrano solo in camere chiuse. Accezioni antiche, quando si era accanto al capezzale del nonno morente, o poetiche e crude come quando nel contado si fa festa con il sangue del maiale sgozzato. Che ne possiamo capire noi cittadini, noi che chiediamo scusa quando inavvertitamente urtiamo uno sconosciuto?

C’è una tragedia dietro alle parole di Benigni. C’è orrore nella considerazione che una masnada di persone ignoranti, le stesse che giudicano Riina come un eroe e che dicono che la mafia è bene, per ripetere a sé stessi di essere forti, emettono condanne da tribunale dell’inquisizione, per paura. Perché le loro certezze sono basate sul silenzio, sul timore che incuti nelle persone normali ammalate di omertà, con le labbra cucite dal filo di legami malsani, o meglio, putridi.