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Il Gioco del Mondo

Rayuela...un sassolino e la punta di una scarpa

 
 

 

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Ieri l'ho riconosciuta

Post n°112 pubblicato il 21 Febbraio 2012 da IlGiocoDellePerle8
 

"Ieri soffiava un vento conosciuto. Un vento che avevo già incontrato."

 
Ieri tutto attorno fu dritto,senza montagne,a patto dei Monchi..

Era vicino alla falegnameria che abitavo,una casa tinta di verde nascosta nel pioppeto chiaro e una pianura dritta come binari senza scambi
Ogni giorno arrivavano alberi di ieri,nella mente erano semplicemente "tronchi" giovani o vecchi, ma tronchi.Facevo questa  distinzione fra vita e morte,albero e tronco,Ieri e oggi.Il rumore delle motoseghe rimbalzava sui i muri le sue ghigliottine, nuova segatura nasceva.. polvere d'oro nei giorni di vento, la pioggia  sapeva di legno,odore lieve ma pieno e le pozzanghere vivevano attimi a-pena , i capelli inzuppavano il secco come chi sa di fumo..
 

"Camminavo nel vento del giorno a passi decisi, rapidi, come tutte le notti. Eppure avevo voglia di ritrovare il mio letto e distendermi, immobile, senza pensieri, senza desideri, sdraiato fino al momento in cui avrei sentito avvicinarsi quella cosa che non è voce né gusto né odore, solo un ricordo vaghissimo, venuto da oltre i limiti della memoria."

"Sgadezza" si chiama quì la segatura.Sgadezza è roba da niente...per dire di una cosa senza valore, si sente dire così:"l'è totta sgadezza",di poco conto ,cianfrusaglie,da lasciar perdere.
La sgadezza impressiona i tuoi passi,i segni di ieri, fedeli fino a un colpo di vento

Chiaro come un urlo pulito il divieto di avvicinarsi: su quel tappeto giallo alle grandi seghe  dei tronchi è pericolo..."per tutto il resto c'è" Mario, un guardiano  zoppo e severo,detto "bretella"in segreto.Nell'Ieri di Mario un albero mai addomesticato aveva vinto la forza della sue braccia e un peso sgarbato gli spezzò una gamba,indossava bianchissime camicie vecchie, un elastico ai gomiti come un emostatico,vietava anche alle maniche di raggiungere i truccioli a terra poi ,poi c'erano le bretelle,larghe, nere,una disciplina apparente...un movimento beffardo,sincronizzato..mai indeciso,se alzava il braccio destro scendeva la bretella sinistra e via così per sempre..

Aspettavo come di quella strana danza l'inizio e la fine,la bici puntata contro il divieto,i pedali fermi nell'aria..i piedi avanti nel tempo dei  giovani toreri,e Mario con la lunga saggina curvo,proteso verso di noi come un vecchio toro bianco...quando il braccio vibrava in aria la scopa , la bretella scendeva...morbida,larga...disumanamente lenta, fino a formare un' anella perfetta ai pantaloni...ormai lo sapevo,si mostrava la mossa

-Mario_scopa_braccio_bretella_anella_Mario-

era lì che avveniva lo scambio ..l'anella si faceva varco e mantella...di achille il tallone.. l'anella debole nostro canestro d'oro...

lui si stupiva ogni volta come non fosse accaduto mai ,non poteva avanzare,quasi a vergogna, un vezzo da femmina..una spallina discesa,una malizia..una ferita di ieri

quello era l'attimo esatto,del vello rosso lo scarto,il tempo,lo spunto che solo un ribelle conosce,l'unico consentito a puntare le bici al tappeto.

Eravamo noi i tori ora,minuscoli tori gialli..puntavi e incornavi un otto preciso fino a metà...il resto del "numero"diveniva immaginazione ..

occhi chiusi,oro in bocca fino alla fine dell'otto..solo il tempo a girarti  sul sellino nel sorriso del nuovo capolavoro.."la nuvola"..la copertura...poi si volava ai tronchi...i miei monti...

(I Monchi)

 “Ieri ho vissuto un istante di felicità inattesa, immotivata. E' venuta verso di me attraverso la pioggia e la nebbia, sorrideva, fluttuava al di sopra degli alberi, mi danzava davanti, mi circondava."

Io l'ho riconosciuta.

 

La Rayuela sarà

Riconosciuta

 

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Commenti al Post:
k.way
k.way il 21/02/12 alle 13:06 via WEB
Questa è un’altra cosa in comune, tra noi. Una falegnameria, seppur per attività diverse, risulta presente nell’infanzia, e nel sangue dei nostri padri, e quella polvere del colore di un sole antico, quel suo odore “pastoso” che ti rimane nei polmoni e nel cervello, come farina per impastarci la memoria, o passarci le dita sopra, per disegnarci un bambino (una bambina) che ancora non sa le legnate che la vita gli riserverà. Comunque, questa storia d’infanzia ribelle mi evoca tanto altro, ovviamente l’età breve, sempre troppo breve, della spensieratezza e della spavalderia, dell’incoscienza e delle sfide al mondo, a tutti mondi che rotolando come pietre cieche, tentavano di schiacciare i giochi, i sogni dei giovani guerrieri … e se i “mostri” non c’erano, si andavano a cercare, li si inventava, insomma, il brivido doveva accompagnare la merenda del giorno, e se la merenda non c’era, non importava, ma quell’altro cibo no, quel morso, non poteva mancare. Che si chiamasse Mario (guardiano di falegnameria) o Volvo/Daf/Iveco (bestie diesel da diverse tonnellate), o chissà cos’altro, poco importava. Si cresceva così, senza saperlo. Senza volerlo.[http://blog.libero.it/incertaMENTE/8155416.html]
E penso al legno. Una materia che mi ha sempre affascinato. Materia che si dice viva – lo E’ - anche quando è tolta alla terra (tempo fa un costruttore edile si/mi chiedeva del come una casa in legno resiste più dell’acciaio ad un incendio, o meglio, non cede di botto come quest’ultima, ma pare lotti sino allo stremo, resiste allo strazio… inutili e parziali le risposte chimico-fisiche, è solo che la vita, qualunque vita, non molla quando capisce che è alla fine, si aggrappa anche alle fiamme che la stanno uccidendo pur di non lasciare il cielo a se stesso, e la terra, ove ha piantato radici profonde, intrecciate ad altre vite, ove ha consumato ben altri fuochi, goduto di altro calore). Così anche quando non si chiama più albero, il legno parla, urla, si agita. Insegna. Pretende rispetto. O castiga… Come scrive Corona nei suoi libri “Il mestiere di boscaiolo è uno dei più pericolosi che esista. Si ha che fare con robe pesanti, che prima sta ferme e poi si muove. E quando si muove non sai mai cosa fanno, né dove vanno, né se son calme o rabbiate”. Non son solo robe pesanti. E’ vita che ha mutato forma. Nome. Ma conserva la resina della memoria. Ed i nomi di chi ha usato la manera per sfregio, per orgoglio, per spavalderia. (mi sovviene un altro episodio mio, citato nel blog… tralascio va… tanti Tu sai qual è).
E ancora, e quindi, gli alberi, con il loro carico di simbolismi, metafore, valori “terreni” e arcaici, che l’Uomo pare spesso aver sepolto, taciuto, rinnegato, per vestirsi di foglie di plastica, utili, e false, in ogni occasione. “Gli alberi si rompe sempre di notte sotto il peso della neve, come se aspettasse il buio per andarsene da questo mondo" [...] ”Bonaventura Selchi detto Venturin si era inventato quel lavoro lì, ascoltare alberi che si rompe, non perché fusse strambo o povero ma perché non sopportava lasciare l'albero spaccato nel bosco. Li raccoglieva un per uno, come si fa con un morto o un ferito.” "Gli alberi va raccolti» diceva Bonaventura, "sono meglio di noi.» … Però ora, per riportarla sul lieve, mi sovviene un’altra citazione di Corona (poi basta. Giuro!), a proposito di nebbia, pioggia e delle Tue parti “Ma un vecchio, che era vissuto per diversi anni a Bologna come venditore ambulante di oggetti in legno, spiazzò gli astanti con un paio di bugie da primo premio. Disse che laggiù, a Bologna, la nebbia a volte era talmente densa che vi si poteva appoggiare la bicicletta e questa rimaneva in piedi come fosse accostata ad un muro".
Vabbè, sto divagando davvero troppo, è che certi racconti sono come micce per la mente, si accende qualcosa che poi ti fugge via e da qualche parte deve sfogare, incendi latenti, che le tue parole, per qualche ignota alchimia, riescono sempre ad appiccare. Non sempre incendi. Più falò direi. Di quelli che ti metti lì, piegato sui talloni, con i palmi rivolti al fuoco, e senti che quell’energia impalpabile in realtà non proviene dalla legna che brucia, quel calore che stuzzica la pelle è nulla rispetto all’ardore che provi dentro… senti, sai, che vi sono fiamme che non si estinguono, invincibili, ai venti ed alle piogge.

Ieri tutto era più bello
La musica tra gli alberi
Il vento nei miei capelli
E nelle tue mani tese
Il sole.


No, non è sgadezza questa.
Somiglia più a carezza.
Secondo me.
 
 
IlGiocoDellePerle8
IlGiocoDellePerle8 il 21/02/12 alle 14:49 via WEB
il vento puliva i capelli , la polvere d'oro aderiva alleata alla pelle,quando l'urlo di mario si sfrangiava distorto tagliato dai denti delle motoseghe.. .Noi avevamo piedi veloci ai pedali...e una nuvola magica lasciata alle spalle a proteggere ogni nostra intenzione. I monti dei tronchi detti:"Monchi" erano la tappa,la meta,il rifugio,senz'altro un divieto..quello più verodavvero di scalare i tronchi come montagne. Piramidi pile cataste <monti di tronchi...divisi in giovani e vecchi ...da lontano sembravano mostri i tronchivecchi,paurosi nella loro corteccia scura,nodosi come mani di vecchi,ruvidi come sale essicato,pieni di tagli a sofferenze,caverne come grandi dolori,e poi fessure ..e segreti ancora acerbi da sussurrare,c'era respiro che evaporava,aliti forti e densi di resina bruna I giovani erano snelli e diritti come guerrieri,perfetti nella prima muscolatura ,lisci come pietre appena bagnate, c'erano vene sottili in superficie,come una mappa appena accennata a matita..a toccarle coglievi la linfa,il loro carattere il temperamento,la vita,tra le dita si faceva sangue bianco ogni carezza, trasparente brillante,crescevano ancora giocavano ..uno sull'altro inconsapevoli come noi pronti a scalarli a cercare nel passo l'errore,lo slittamento improvviso,le nostre prime paure,la sfida a non rinunciare quando i guerrieri ti venivano incontro,saltarli,continuare a salire mentre loro si facevano mancare sotto i piedi.(In città i bambini fanno questo gioco salendo sulle scale mobili all'incontrario...così mi pareva,noi ci sentivamo fortunati per questo) un piede dopo l'altro,una mano e via l'altra,veloci,decisi,lassù cominciava la vera partita,la discesa,chè si dice che a salire sian bravi tutti, i giovani tronchi hanno la crudeltà dei bambini...un solo passo falso e i guerrieri ci avrebbero placcato..sommerso sotto e dentro di loro come fa una valanga...la discesa doveva essere fulminea...mai due piedi allineati..nell'aria i talloni e quando sentivi la loro voce alle spalle prima ancora dell'attaco improvviso avevi solo il fiato da trattenere e prepararti al salto..fargli prendere posto a scivolare sotto i tuoi piedi per un soffio nell'aria poi scendere ancora...Non si era migliori quando i tronchi restavano immobili,nemmeno quando li facevi tremare in salita,solo se riuscivi nel terremoto in discesa...allora allora eri il migliore,il migliore nel salto che intercettava del momento lo scambio,anche allora la felicità era all'ingiù...e Rilke molto lontano a venire. Sì,Luca,questo ricordo è una carezza che attraversa tanti lustri mai addomesticati.Imparai così a "rampicare" sugli alberi,a cercarne i segreti,a sussurrare parole nelle fessure,arrivai ad abitare le montagne vere nell'adolescenza,il mio appennino che amo.
 
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