MOTEL LIFE

Derek Flack | Flickr

Si può calcolare in molti modi il successo di un libro. I più comuni vertono sul numero di copie vendute, sulle recensioni lusinghiere e sul passaparola. Quest’ultimo, a mio parere, il mezzo meno attendibile per sottrarsi ad acquisti incauti. Tuttavia, anche a fronte di affabulazioni adrenaliniche, il lettore doc non si sbilancerà, e prima di risolversi in un senso o nell’altro vorrà dare un’occhiata alle pagine iniziali del libro che il suo inconscio sta trovando seducente. Se si imbatte in chicche come questa, è fregato:

La notte in cui accadde ero sbronzo, mezzo svenuto in un motel, e giuro su Dio che un uccello aveva sfondato la finestra della mia camera. Fuori ci saranno stati quindici gradi sotto zero e quella bestia, una specie di anatra, all’improvviso era lì per terra, circondata da pezzi di vetro. Evidentemente la finestra l’aveva ammazzata. Se non fossi stato così ubriaco mi sarei spaventato a morte. Non riuscii a fare altro che alzarmi, accendere la luce e lanciarla fuori. Precipitò per tre piani, atterrando sul marciapiede. Alzai al massimo la temperatura della coperta elettrica, tornai a letto e mi addormentai.

Dopo qualche ora mi svegliai con mio fratello che piangeva a dirotto in piedi davanti al letto. Aveva la chiave di camera mia. Riuscivo a malapena a metterlo a fuoco e di sicuro stavo per vomitare. Dalla finestra rotta entravano fiocchi di neve portati dal vento. Le strade erano vuote, coperte di ghiaccio.

Mio fratello se ne stava ai piedi del letto in mutande, giaccone nero e un paio di vecchi scarponi da lavoro. Le cinghie che univano la protesi del piede al polpaccio erano bene in vista. La cosa strana era che mio fratello di solito non indossava nemmeno i pantaloni corti. Era troppo imbarazzato da quella cosa, da come era successa, dall’aspetto di quell’arto finto, piede e polpaccio finti. Si considerava un perdente con una gamba sola. Uno zoppo. Aveva la pelle livida, un po’ di saliva quasi ghiacciata sul mento e il muco che gli colava dal naso.

«Frank» mormorò. «Frank, sono rovinato».

«Cosa?» dissi cercando di svegliarmi.

«È successa una cosa».

«Cosa?».

«Mi si congela il culo qua dentro. Hai rotto la finestra?».

«No, l’ha sfondata un’anatra».

«Mi prendi in giro?».

«No, non scherzerei su una cosa così».

«E allora l’anatra dov’è?».

«L’ho ributtata fuori dalla finestra».

«E perché?».

«Mi faceva venire i brividi».

«Non ci riesco, Frank. Non ce la faccio. Non voglio nemmeno dire quello che è successo».

«Sei ubriaco?».

«Più o meno».

«Dove sono i tuoi vestiti?».

«Spariti».

Tolsi dal letto una coperta e gliela passai. Se l’avvolse sulle spalle, poi accese la stufetta elettrica e diede un’occhiata fuori. Infilò la testa nella finestra rotta e guardò giù.

«Non vedo nessuna anatra».

«Se la sarà fregata qualcuno».

Ricominciò a piangere.

«Che c’è?» dissi.

«Sai chi è Polly Flynn, no?».

«Certo». Allungai una mano, presi una camicia da terra e ci vomitai dentro.

«Dio santo, stai male?».

«Boh».

«Vuoi un bicchiere d’acqua?».

«No. Mi sa che adesso va un po’ meglio». Mi sdraiai sul letto e chiusi gli occhi. L’aria fredda era piacevole. Sudavo, ma lo stomaco iniziava a calmarsi.

«Meno male che non mi viene da vomitare se vedo del vomito».

«Sì, meno male» dissi cercando di sorridere. «Cos’è successo?».

«Stanotte si è arrabbiata con me» disse con la voce che gli tremava in un modo che non avevo mai sentito. «Non mi ricordo cosa le ho detto, ma si è messa a strillare così tanto che mi sono alzato per rivestirmi, ma lei è stata più veloce, mi ha preso i pantaloni e non voleva darmeli. È uscita e li ha bruciati con l’accendino. Avevo il portafoglio e le chiavi nel giaccone, ma il fatto importante, fondamentale, è che me ne sono andato. Sono salito in macchina e via, verso casa. Ero un po’ sbronzo ma Cristo, non avevo problemi a guidare e nella Fifth Street un ragazzino in bici è spuntato in mezzo alla strada e l’ho preso in pieno.

Cazzo, sono le quattro di mattina, nevica e la strada è coperta di neve. Che ci fa un ragazzino in bici a quell’ora e con quel tempo? Non c’erano macchine dietro di me e in giro non c’era anima viva che mi potesse aiutare. Andavo a meno di trentacinque all’ora. E poi non c’era lo stop. Non è che ho superato uno stop senza accorgermene. Niente del genere. Semplicemente è spuntato dal nulla. Ho inchiodato il più velocemente possibile. Sono sceso dalla macchina per dare un’occhiata e il ragazzino era lì sull’asfalto, nella neve, con la testa spaccata e il sangue che gli colava dalla bocca. Cristo, non sapevo cosa fare. Sono tornato in macchina, ho preso la coperta che tenevo sul sedile dietro e gliel’ho messa sopra, una parte l’ho tirata sulla testa dove c’era tutto il sangue. Forse era già morto. Ho controllato il respiro e il battito: niente. La strada era deserta, c’era solo un po’ di luce dai lampioni. Ero vicino a quel negozio di roba usata, a quel vecchio magazzino Resco. Non sapevo cosa fare. Non potevo lasciarlo così, quindi l’ho sistemato sul sedile posteriore perché volevo portarlo in ospedale. Ma quando l’ho sollevato ho capito che era proprio morto. Parte dell’interno della testa era uscita fuori. Non avevo mai visto niente del genere. La cosa più orribile che abbia mai visto.

«Ho cominciato a pensare che ero ubriaco, che sarei finito in prigione. A ogni modo l’ho steso sul sedile dietro, mi sono messo al volante e all’improvviso ho visto un taxi che accendeva i fari. Era in uno spiazzo vuoto, a un isolato di distanza. Magari il tassista dormiva, chi lo sa. O magari aveva visto tutto, ma in quel caso si sarebbe fermato, no? Mi avrebbe aiutato, ti pare? Invece si è allontanato nella direzione opposta. Così mi sono diretto verso il Saint Mary, saranno stati dieci minuti fa, ma il ragazzino era già morto. Non serviva a molto portarlo in ospedale, no? Se non avessi visto un semaforo o qualcosa, be’, ma non è andata così. Praticamente è stato lui a venirmi addosso. Che cazzo ci potevo fare? Avevo io la precedenza, sono sicuro, lo giuro».

«Che cazzo stai dicendo?» dissi mettendomi a sedere.

«Sono la persona peggiore di questo cazzo di mondo».

Scesi dal letto e mi infilai pantaloni e scarpe.

Guardai fuori dalla finestra. La macchina era giù, come aveva detto. Il cielo era mezzo scuro, la neve copriva tutto e continuava a cadere. Non c’era praticamente nessuno in strada. Era difficile immaginare un ragazzino conciato così in quella macchina.

Jerry Lee era davanti alla stufetta e il bagliore arancione si rifletteva sul suo corpo. Tremava.

«Non stai scherzando, vero?».

«No» disse, «è l’ultima cosa al mondo su cui scherzerei».

«Perché non ti metti a letto? C’è la coperta elettrica accesa».

«Lasciami stare un secondo così, poi ci vado».

Guardai di nuovo fuori. Vidi un camion che portava i giornali ai casinò, due taxi che passavano.

Jerry Lee si sdraiò sul letto. Gli scarponi gli penzolavano di lato.

«Fa un freddo porco, fuori» disse.

Willy Vlautin, Motel Life

Flower Motel | Derek Flack | Flickr

Derek Flack, Nite Owl Inn, Highway 7, Peterborough...

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foto di Derek Flack

MOTEL LIFEultima modifica: 2024-05-21T12:46:13+02:00da hyponoia

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