All of Us Strangers

Andrew Scott and Paul Mescal Talk About the Strange, Sexy Meet-Cute That Unlocks All of Us Strangers' Twist Ending | GQ

Harry: Ciao.

Adam: Ciao.

H: Ho visto che mi guardavi dalla strada.

A: Ti ho visto un sacco di volte arrivare a testa bassa.

H: Un giorno sarà vero quell’allarme.

A: Praticamente siamo gli unici qui.

H: Puoi crederci, cazzo? Voglio dire, non hanno ancora le guardie di sicurezza. Sono Harry.

A: Adam.

H: Come affronti la situazione?

A: Con…con cosa?

H: L’ho detto. È così tranquillo. Voglio dire, Londra è là fuori, ma non possiamo nemmeno cazzeggiare.

[…]

H: Drink? È giapponese. Dovrebbe essere il migliore al mondo, ma non saprei dirti perché, quindi…

A: No, grazie.

H: Ok, ehm, ok. Che ne dici se entro comunque? Se non per un drink, allora…per qualsiasi altra cosa tu possa volere.

A: Penso che non sia una buona idea.

H: Ti spavento?

A: No.

H: Beh, non devi fare nulla se non sono il tuo tipo. Ci sono vampiri alla mia porta.

Queste le battute iniziali di All of Us Strangers definito, tra le altre cose, un film surreale. Ma di surreale in senso stretto non c’è niente, tranne i piani temporali sfalsati ad arte, al punto tale che serve arrivare al finale per capire ogni cosa. Il dolore la fa da padrone, eppure non commuove, non è quello il suo intento. Infatti si presenta come una semplice concatenazione di eventi tutti convergenti in un senso di perdita, angoscia, solitudine. E amore. Non a caso i protagonisti, magnificamente interpretati da Andrew Scott e Paul Mescal, sorridono spesso, anche se lo fanno per rassegnazione.

All of Us Strangers è un film bellissimo e potente. Da non perdere per riflettere su un’altra forma di bellezza. Meno immediata più vera.

Un cuore in inverno

Un cuore in inverno | Claude Sautet (1992) – LORENZO CIOFANI

Poteva essere un triangolo in piena regola e invece quello tra Stéphane, Camille e Maxime si risolve in un nulla di fatto. Perché Stéphane congela il sentimento che prova per Camille, preferendo all’azione l’ignavia, all’amore la solitudine predefinita. Un cuore in inverno è un film sospeso perché Stéphane è un uomo sospeso, ma fin troppo risoluto, al limite del patologico, quando si tratta di negarsi ai legami affettivi, perfino se di natura amicale. A dispetto di una trama scarna, la pellicola di Sautet offre uno spaccato di vita complesso: tutto sta a volerne decifrare le chiavi di lettura, insite nell’asciuttezza dei dialoghi, nei silenzi di Stéphane, nel fascino sottile di Camille. Ovvio che chiunque abbia, per dire, Quentin Tarantino come metro di paragone è meglio che lasci perdere. E tuttavia Un cuore in inverno e Django Unchained possono costituire un connubio stravagante ma riuscito. Perlomeno con me, che li ho visti entrambi nell’arco di quarantott’ore, ha funzionato; eppure sono passata dall’eloquio ironico e tagliente del dottor King Schultz a quello compassato di Stéphane. Senza traumi, e senza avvertire inconciliabili dissonanze. Al contrario, si è fatta ancora più strada la consapevolezza che quando dividiamo le cose del mondo per categorie non stiamo cercando una conciliazione con l’inconscio, ma solo con la parte di noi che ha bisogno d’essere rassicurata.

Dario Argento. The Exhibit

The Exhibit | Dario Argento | SMALL ZINE

La mostra Dario Argento. The Exhibit al Museo Nazionale del cinema della Mole Antonelliana di Torino, è la più completa tra quelle dedicate al maestro dell’horror. Il percorso a spirale della Mole, poi, è perfetto per rappresentare l’ossessione di Dario Argento per l’inconscio, cominciata da ragazzo quando si imbatté in alcuni libri di Freud, trovati nella biblioteca del padre. In seguito non ha mancato di omaggiarlo ogni volta che è andato a Vienna, incantato dal divano della casa-museo del padre della psicanalisi. Il tributo più diretto fu il thriller La sindrome di Stendhal che Freud stesso sperimentò sull’Acropoli di Atene, proprio come accadde al regista durante un viaggio con i genitori.

L’esposizione ospita cimeli, costumi e installazioni dei film, e non poteva mancare la testa del pupazzo meccanico costruito da Carlo Rambaldi per Profondo Rosso, a mio parere il capolavoro di Dario Argento.

Grazie Dario, perché mi hai insegnato a lasciarmi soggiogare dalla paura, traendone piacere.

In arrivo una mostra su Dario Argento al Museo del Cinema di Torino - Cinevagabondo

Il museo del cinema della Mole Antonelliana

Le locandine di alcuni film di Dario Argento

Dario Argento non crede all'inferno. E si racconta così - la Repubblica

Non ha bisogno di presentazioni…

L’amour l’après-midi

“Se c’è una cosa che non sono più in grado di fare è la corte a una ragazza. Non so cosa potrei dirle e d’altronde non c’è ragione che le dica qualcosa, non voglio niente da lei, non ho niente da proporle. Tuttavia sento che il matrimonio mi blocca, mi imprigiona e ho voglia di evadere. La prospettiva di una felicità senza scosse mi immalinconisce e mi scopro a rimpiangere i tempi non lontani in cui provavo anch’io gli spasimi dell’attesa. Sogno una vita fatta solo di primi amori, d’amori durevoli. So di volere l’impossibile, non invidio nessuno e quando vedo due innamorati, penso meno a me, a quello che ero, e più a loro, a quel che saranno. Per questo amo la città, la gente passa e sparisce, non la si vede invecchiare. Quel che rende straordinario ai miei occhi lo scenario di Parigi, le sue strade, è la presenza costante e fuggevole di donne che si incrociano ad ogni momento e che quasi certamente non rivedrò mai più, purché siano là, indifferenti e inconsapevoli del loro fascino, felici di verificarne l’effetto su di me come io verifico il mio su di loro, per un tacito accordo senza sguardi o sorrisi anche appena accennati. Sento il loro potere d’attrazione senza esserne attratto. Tutto questo non mi allontana da Helène, al contrario. Mi dico che le bellezze che mi passano davanti sono il naturale prolungarsi della bellezza di mia moglie, l’arricchiscono con la loro bellezza, ricevendone in cambio un poco della sua. La bellezza di lei garantisce la bellezza del mondo e viceversa. Quando abbraccio Helène, abbraccio tutte le donne”.

L’amore il pomeriggio, film del 1972 di Eric Rohmer.

Allo spettatore contemporaneo, in special modo se giovane, questo film risulta di una pesantezza intollerabile; eppure la sceneggiatura che accarezza certe dinamiche amorose a tutti note, dovrebbe renderlo piacevolmente fruibile. Non è così. Cambiano i linguaggi, cambia la sensibilità. Spesso in parassitismo emotivo.