Il rifiuto della morte

Avevo lasciato il passaporto in un albergo

dove avevamo passato qualche notte

e di cui non ricordavo il nome. È cominciata così.

L’hotel successivo non volle accettarmi,

era bellissimo, in un aranceto, e vista sul mare.

Con quanta indifferenza tu hai accettato

la stanza che sarebbe stata nostra,

e, più tardi, con che allegria ti sei affacciato sulla terrazza,

bersagliandomi con cioccolatini in stagnola. Il giorno dopo

hai ripreso il viaggio che dovevamo fare insieme.

Il concierge mi procurò una vecchia coperta. Di giorno, sedevo davanti alla cucina. Di notte, stendevo la mia coperta

fra gli aranci. Tutti i giorni uguali, salvo per il tempo.

Dopo un po’ il personale si impietosì.

Il lavapiatti mi portava gli avanzi della cena,

magari una patata o un po’ d’agnello. Qualche volta arrivava una cartolina.

Nelle foto monumenti e opere d’arte patinati.

Una volta un monte innevato. Dopo circa un mese,

un poscritto: X manda saluti.

Dico un mese, ma in realtà non avevo idea del tempo.

Il lavapiatti scomparve. Ce n’era uno nuovo, poi un altro ancora, credo.

Di tanto in tanto, uno mi teneva compagnia sulla mia coperta.

Louise Glück, Il rifiuto della morte

Non siamo programmati per vedere qualcuno andar via. Per questo motivo il distacco dalla persona amata apre una ferita della cui crudeltà ci doliamo per anni. A nulla serve fare appello alla ragione giacché la dimensione fisica, cui nostro malgrado restiamo aggrappati, è altra cosa rispetto alla spazio metafisico nel quale speriamo di trovare, con tutta la cocciutaggine di cui siamo capaci, un ricongiungimento con la persona sottratta al divenire. Ora, l’elaborazione del lutto ha tempi lunghissimi che potrebbero contrarsi significativamente se solo non fosse persistente l’insensatezza del desiderio per un impossibile ritorno. Però, quando il dolore non farà più male ma resterà a eterno suggello di un amore, allora sapremo tessere un tempo nuovo. E quello passato non ci sembrerà più perduto.

Lazarus