Cancellare la storia per cancellare dei debiti? No, grazie.

ajax

Fino ad oggi non abbiamo volutamente scritto nulla sulla Superlega. Abbiamo aspettato l’evolversi della situazione, prima di giudicare e sparare sentenze.

Una cosa però, fin dall’inizio non ci è piaciuta.

La vedete la foto in alto? Ritrae quella che a detta di molti è stata la squadra di club più bella e più forte di tutti i tempi. La squadra che ha cambiato il calcio, portando in questo sport una concezione del tutto nuova, ma che è rimasta e rimarrà nella storia.

Domenica scorsa a mezzanotte ci siamo sentiti dire che il Manchester City, che a livello internazionale ha meno trofei del Parma, era un club importante e questo club, che tra l’altro è uno dei più titolati al mondo, non lo era più (o lo era di meno).

Il Manchester City, con al suo attivo una Coppa delle Coppe vinta nel 1970, voleva arrogarsi il diritto di dire “Noi siamo un top-club, se ad Amsterdam fanno i bravi anche l’Ajax può diventarlo” , cancellando di fatto la storia.

Ecco cosa non ci piaceva della Superlega, prima ancora dei discorsi (molti dei quali ipocriti) sul rispetto per i tifosi (ma rispetto di che, sono anni che propongono ormai partite ad orari incredibili, abbonamenti a più di una televisione per poter seguire la propria squadra del cuore, tessere del tifoso per andare allo stadio che non si possono neppure prestare a tuo fratello o a tuo padre, partite giocate in posti dove coi diritti umani ci si puliscono il culo…).

Non ci piaceva il fatto che si volesse cancellare la storia e con essa la meritocrazia.

Di colpo ci volevano far credere che i goal di Cruijff valessero meno dei debiti (non dei soldi, si badi bene) di una società amica di JPMorgan.

Andrea Agnelli solo poco tempo fa dichiarava che l’Atalanta era senza storia europea e che la partecipazione alla Champions (guadagnata e sudata sul campo) degli orobici non gli era molto gradita, in compenso era pronto a fare un torneo con un club la cui storia europea è più debole di quella del Parma, dando un calcio nel culo o proponendo le elemosina all’Ajax, club che per anni ha significato il Calcio con la c maiuscola.

Ecco perché siamo contenti che sia fallita la Superlega. Possiamo parlare di un campionato europeo, non di un torneo con 12 posti fissi per diritto divino. Ma diritto di che? Solo perché uno sceicco anni fa non sapeva cosa fare dei suoi soldi e li ha investiti in una squadra di calcio, ti metti a fare lo spaccone?

All’improvviso i goal di Cruijff e di Eusebio (anche il Benfica ha una tradizione europea mica da ridere) non servivano più per definire la grandezza di un club, bensì i suoi debiti (non prendiamoci in giro, i club promotori del torneo ormai defunto hanno dei bilanci che la Fiorentina di Cecchi Gori al confronto era un modello di gestione economica. Speravano di aggiustarli con questa competizione, lo sport e lo spettacolo sono un’altra cosa).

Se un club è top o no, lo deve dire il campo, non JPMorgan.

Dagli anni ottanta ai duemila, da zio a nipote

Noi siamo rimasti affezionati al calcio degli anni ’70 e ’80, come già del resto evidenziato in altri nostri post.

Quel calcio, dove il Verona poteva vincere lo scudetto, dove l’Udinese poteva comprare Zico e il Napoli Maradona (un po’, per fare un paragone, come se oggi l’Udinese comprasse Ronaldo e il Napoli Messi, ovviamente impensabile), dove il Pisa poteva comprare il centrocampista della nazionale danese Bergreen, semifinalista all’Europeo 1984 e l’Atalanta poteva  comprare un fior di calciatore come Stromberg (ingiustamente sottovalutato), ci manca.

Ci mancano altrettanto i Presidenti come Boniperti, Dino Viola, Ivanoe Fraizzoli e perché no, anche quelli un po’ più folcloristici come Rozzi e Anconetani (due su cui tutto si poteva dire, ma non che non fossero attaccati alla loro squadra e alla loro città). Presidenti che non parlavano sempre e continuamente di soldi, ma anche di sport e nel farlo erano anche capaci a volte di sdrammatizzare, invece di infuocare gli animi.

Ricordiamo come negli anni ’80 il Verona e il Napoli riuscirono a vincere il loro primo scudetto. L’allora Presidente Onorario della Juventus, nonché proprietario, mai e poi mai si sognò di dire: “Il Verona  non è giusto che giochi la Coppa dei Campioni poiché non ha tradizione europea”, piuttosto che il Napoli. L’unica cosa che fece fu applaudire senza se e senza ma quelle due squadre, capaci di compiere una bella impresa sportiva.

Quel Presidente si chiamava Gianni Agnelli, zio dell’attuale Presidente Andrea, che se avesse contato fino a dieci e se per un attimo avesse pensato a come si sarebbe comportato lo zio, non avrebbe sparato la minchiata sull’Atalanta, squadra che secondo i suoi parametri non dovrebbe giocare in Champions.

Nel caso specifico la differenza fra zio e nipote è semplicemente quella che passa fra il signore e l’uomo ricco.

E’ inutile che adesso Andrea Agnelli tiri fuori che parlava della Superlega, come diceva Mike Bongiorno: “La prima risposta è quella che conta”.

Andrea Agnelli ha ottime qualità, lo dicono i risultati raggiunti dalla Juve sotto la sua Presidenza, ma ogni tanto dovrebbe ricordarsi che il calcio è uno sport e il bello dello sport è anche un’Atalanta che va meritatamente in Champions, un Leicester che vince un campionato,  un diciassettenne tedesco sconosciuto come Becker che vince Wimbledon (invece di Lendl o Mc Enroe), una Danimarca che, ripescata all’ultimo, nel 1992 vince clamorosamente un Europeo.

Altrimenti si rischia di tornare ai patrizi e ai plebei, ovvero indietro di duemila anni.