Dagli anni ottanta ai duemila, da zio a nipote

Noi siamo rimasti affezionati al calcio degli anni ’70 e ’80, come già del resto evidenziato in altri nostri post.

Quel calcio, dove il Verona poteva vincere lo scudetto, dove l’Udinese poteva comprare Zico e il Napoli Maradona (un po’, per fare un paragone, come se oggi l’Udinese comprasse Ronaldo e il Napoli Messi, ovviamente impensabile), dove il Pisa poteva comprare il centrocampista della nazionale danese Bergreen, semifinalista all’Europeo 1984 e l’Atalanta poteva  comprare un fior di calciatore come Stromberg (ingiustamente sottovalutato), ci manca.

Ci mancano altrettanto i Presidenti come Boniperti, Dino Viola, Ivanoe Fraizzoli e perché no, anche quelli un po’ più folcloristici come Rozzi e Anconetani (due su cui tutto si poteva dire, ma non che non fossero attaccati alla loro squadra e alla loro città). Presidenti che non parlavano sempre e continuamente di soldi, ma anche di sport e nel farlo erano anche capaci a volte di sdrammatizzare, invece di infuocare gli animi.

Ricordiamo come negli anni ’80 il Verona e il Napoli riuscirono a vincere il loro primo scudetto. L’allora Presidente Onorario della Juventus, nonché proprietario, mai e poi mai si sognò di dire: “Il Verona  non è giusto che giochi la Coppa dei Campioni poiché non ha tradizione europea”, piuttosto che il Napoli. L’unica cosa che fece fu applaudire senza se e senza ma quelle due squadre, capaci di compiere una bella impresa sportiva.

Quel Presidente si chiamava Gianni Agnelli, zio dell’attuale Presidente Andrea, che se avesse contato fino a dieci e se per un attimo avesse pensato a come si sarebbe comportato lo zio, non avrebbe sparato la minchiata sull’Atalanta, squadra che secondo i suoi parametri non dovrebbe giocare in Champions.

Nel caso specifico la differenza fra zio e nipote è semplicemente quella che passa fra il signore e l’uomo ricco.

E’ inutile che adesso Andrea Agnelli tiri fuori che parlava della Superlega, come diceva Mike Bongiorno: “La prima risposta è quella che conta”.

Andrea Agnelli ha ottime qualità, lo dicono i risultati raggiunti dalla Juve sotto la sua Presidenza, ma ogni tanto dovrebbe ricordarsi che il calcio è uno sport e il bello dello sport è anche un’Atalanta che va meritatamente in Champions, un Leicester che vince un campionato,  un diciassettenne tedesco sconosciuto come Becker che vince Wimbledon (invece di Lendl o Mc Enroe), una Danimarca che, ripescata all’ultimo, nel 1992 vince clamorosamente un Europeo.

Altrimenti si rischia di tornare ai patrizi e ai plebei, ovvero indietro di duemila anni.

 

 

 

 

 

Una piccola storia di calcio degli anni ’80

Oggi raccontiamo una storia successa trentasette anni fa.

Quelli che, come noi, hanno vissuto il calcio degli anni 70/80, la ricordano ancora oggi.

Il 26 Novembre 1982 , si giocò Ascoli-Juventus. Lo stadio della città marchigiana (il “Del Duca”) fece registrare il tutto esaurito, nonché il record d’incasso; d’altronde per una provinciale vedere arrivare la Juve nella propria città è sempre un evento.

La Juventus arrivava ad Ascoli come la squadra superfavorita per lo scudetto (anche se, in quel momento, aveva già lasciato alcuni punti per strada) e del resto non poteva essere altrimenti, potendo i bianconeri contare su sei campioni del Mondo in squadra, più Bettega, Platini e Boniek.

Leggendo le formazioni, si notava immediatamente la differenza in attacco. L’Ascoli schierava: Novellino, De Vecchi, Pircher, Greco e Monelli. La Juventus rispondeva con Bettega, Tardelli, Rossi, Platini e Boniek.

Se prima del match qualcuno avesse detto: “Vince l’Ascoli 2-0 e Zoff eviterà il peggio”, probabilmente lo avrebbero preso per pazzo e sarebbe stato sedato con dei tranquillanti.

Invece fu così che andò.

Quel giorno il mitico “Monzon” Novellino  fece il Platini, realizzando due reti nel primo tempo. Zoff ebbe il suo da fare affinché la sconfitta non fosse più ampia nel punteggio. Gli attaccanti bianconeri furono neutralizzati dalla difesa e dal centrocampo ascolano.

Fu così che, come in molti altri casi della storia, Davide (l’Ascoli) sconfisse nuovamente Golia (la Juve).

Quella domenica ci fu ancora una volta la dimostrazione che, solo avere i nomi in squadra non è sufficiente (cosa che è ancora valida oggi e che probabilmente sarà ancora valida nei secoli dei secoli) e che nel calcio, puoi chiamarti come vuoi, ma se non corri non vinci. Se l’avversario corre più di te, avrà più facilmente il pallone nei piedi e se il pallone nei piedi ce l’ha lui e non te, come fai a fare goal? Se non fai goal, come fai a vincere?

Un teorema molto semplice che fu confermato quel giorno di Novembre del 1982, quando l’Ascoli di Carlo Mazzone e del leggendario Presidente Rozzi, sconfisse senza discussioni uno squadrone nettamente superiore sulla carta. Sulla carta.

 

 

Dedicato alla memoria di Costantino Rozzi, sanguigno e appassionato Presidente di un calcio che non c’è più, ma è ancora vivo nel cuore di chi l’ha vissuto.