Creato da lilith_0404 il 20/02/2005

A Room of One's Own

This is my letter to the world, That never wrote to me, The simple news that Nature told, With tender majesty. Her message is committed To hands I cannot see; For love of her, sweet countrymen, Judge tenderly of me!

 

Messaggi di Settembre 2006

Autunno

Post n°138 pubblicato il 28 Settembre 2006 da lilith_0404

immagineSarà che negli ultimi giorni ha piovuto tanto, come sottolinea anche VegaLyrae nel suo post n.21, e la pioggia di settembre ha  il sapore come di una sentenza passata in giudicato, un verdetto inappellabile che l'estate é finita.

Sarà che é un periodo in cui ho molto da lavorare, e il tempo mi vola via veloce, troppo veloce, un giorno dopo l'altro, come un paesaggio dal finestrino di un treno. 

Sarà che si é organizzata una cena con i compagni di classe del liceo, e sono 28 anni che non ci si rivede:tutta una vita.

Saranno tutte queste cose sommate insieme, ma da qualche giorno continuo ad avere in testa una poesia, questa:

Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d'agosto,
nelle pioggie di settembre
torrenziali e piangenti
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.

Ora  passa e declina,
in quest'autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.

(cardarelli - autunno)

immagine 

 
 
 

Angeli senza le ali

Post n°137 pubblicato il 24 Settembre 2006 da lilith_0404

Delle bambine del paese non ne venne neanche una. Forse era la difficoltà della strada. Forse la mentalità dei genitori”.

Così scrivevano nel libro ‘Lettera a una professoressa’ i ragazzi della scuola di Barbiana. Sono propensa a credere che fosse vera la seconda ipotesi. Si era nel 1967, io a quel tempo avevo 8 anni, e più di una volta mi é capitato a quell’epoca di sentire parenti e conoscenti affermare con molta convinzione  che per una ragazza andare a scuola era un ‘di più’, qualcosa che poteva esserci, se la famiglia era agiata e poteva permetterselo, ma che non era affatto necessaria.

Per un ragazzo era diverso, la scuola veniva vista come il passaporto per accedere ad un lavoro migliore, meglio retribuito. Ma far studiare una figlia eran soldi buttati, dicevano, perché poi si sposa, e dietro a questa frase c’era implicito che con il matrimonio, e la maternità, ogni velleità professionale avrebbe dovuto necessariamente essere accantonata.

Sembra preistoria, e invece é realtà attuale, se dobbiamo prestar fede al 'Rapporto sullo stato delle madri nel mondo 2005', pubblicato dall’associazione Save the Children, segnalata da  Amoildeserto nel suo post 429 : 58 milioni di ragazze, nei paesi cosidetti in via di sviluppo, non hanno accesso all’istruzione. A giocare non solo le solite motivazioni economiche, ma anche altre, di tipo culturale, ancor più difficili da scalzare, tanto che contrariamente a quello che si potrebbe pensare non sono i paesi più poveri a detenere il poco invidiabile primato di analfabetismo femminile: nella ricca Arabia Saudita  le bambine che frequentano la scuola elementare sono solo il 57% del totale.

Eppure non sono solo considerazioni di giustizia verso la metà femminile della popolazione a suggerire l’opprtunità di un impegno dei governi a favore dell’alfabetizzazione femminile. Specialmente in quei paesi dove il ruolo della donna viene maggiormente circoscritto alla funzione materna, credo che si dovrebbe riflettere su quello che é scritto nel rapporto che ho citato sopra:

Una madre analfabeta ha gravi svantaggi, al pari dei suoi bambini. Madri che non hanno frequentato la scuola hanno maggiori probabilità di essere povere, di avere gravidanze più precoci e più ravvicinate, di avere un più elevato tasso di morte per parto e di mortalità infantile, di essere meno informate sulla [...] prevenzione dell’Aids,  e meno preparate a prendersi cura della salute e del benessere dei loro bambini”.

Come dire che il benessere dei figli passa anche attraverso una adeguata preparazione culturale delle madri.

 
 
 

il risparmio e il fumo passivo

Post n°136 pubblicato il 22 Settembre 2006 da lilith_0404

Da bambina mi insegnavano che ‘un soldo risparmiato é due volte guadagnato’, e mentre mia mamma mi ricordava che ‘con le briciole si fa il pane’ a scuola ci davano il giornaletto di non so quale cassa di risparmio, con la filastrocca che diceva:

"un poco oggi, un poco domani,spiga con spiga si fa un fascetto, con un fascetto si fan tre pani, e ci campa un poveretto. 

Non c’é quindi da meravigliarsi se sono cresciuta con la convinzione che risparmiare sia una virtù, tanto che  qualcuno malignamente insinua che io sia un po’ tirchia.

Però non avevo mai pensato che questa impostazione mentale  protesa al risparmio si riflettesse anche sul blog, finché non ho letto il commento di Lupopezzato nel post n.228 di Ombra_luminosa:

Commentare rispetto a scrivere è come il fumo passivo. E’ bello quasi uguale ma fai meno fatica. Il commento non prevede la ricerca dell’argomento. L’ispirazione te la danno gli altri, è gratisss [...] anche se - come il fumo passivo - tene n’atu sapore. Più che il sapore, il retrogusto: è più amaro. Nun è doce e ti devi accontentare pecchè questo succede quando si vuole risparmiare

Mi sono ricordata che quando ho aperto il blog, non avevo idea di cosa avrei potuto scrivere, e ho fatto quello che facevo a scuola, quando facevamo i compiti in classe di Italiano e io  sceglievo sempre il tema di letteratura, perché in tal modo la traccia per lo svolgimento me la dava l’autore che di volta in volta si doveva commentare. Così ora l’ispirazione per i post la prendo da qualche cosa che leggo in giro... l’idea me la danno gli altri, a gratis.

Nessun retrogusto amaro però, va bene così, dal momento che questo mi permette di stare qui, che alla fine é quello che mi interessa.

 
 
 

Mutatis mutandis

Post n°135 pubblicato il 17 Settembre 2006 da lilith_0404

E’ probabile che io sia un’ingenua, e spesso ho la precisa sensazione di esserlo, quando mi capita di assistere a discussioni che hanno per argomento questioni di alta politica, o di alta economia. E poiché guardo pochissimo la televisione, spesso mi accorgo di quello che é successo a posteriori, e una frase che mi sento spesso dire é: ‘ma dove vivi?  ma come, non hai sentito/letto di tizio /caio, che ha fatto/detto questo o quest’altro...’ e di solito devo ammettere che no, non avevo sentito/letto nulla, ero momentaneamente distratta, scusate tanto, se qualcuno mi riassume le puntate precedenti prometto che da ora in avanti starò più attenta...

Qualcosa del genere mi é successo a proposito della questione delle reazioni del mondo Islamico al discorso di Benedetto XVI sulla guerra Santa.

Ma che é successo? ho chiesto a chi di solito mi ragguaglia sui fatti che non si possono non sapere. ‘Ha detto qualcosa che non é piaciuta sul Profeta, e sulla religione Mussulmana’ ‘Si, ma che cosa ha detto?’ ‘mah, non so bene...’ .

Reazioni di piazza  e scuse ufficiali per un ‘mah, non so bene...’ mi sembravano un po’ eccessive. Scelte di campo per partito preso, non sono nel mio carattere, e credo che potrei contendere a Pelino55 la palma di  campione mondiale delle assoluzioni per insufficienza di prove. Perciò, giusto per capire,sono andata a leggermi il discorso incrimanato. Un dotto discorso di carattere filosofico, tenuto davanti ad un pubblico accademico, in cui il passaggio incriminato é una citazione da cui il Papa ha preso spunto per sviluppare un suo discorso.Come faccio spesso anche io, che prendo una frase o una affermazione di un libro o di un post, per fare delle considerazioni mie, che da quella partono, ma che spesso arrivano da tutt’altra parte.Ma naturalmente, io non sono il Papa, e non parlo al mondo.

Nel leggere però mi son chiesta perché mai un discorso del genere avesse scatenato reazioni tanto violente. E mi sono anche chiesta quanti dei dimostranti che sono stati visti bruciare immagini del Papa lo avessero letto.

Come spesso mi accade, di fronte a  situazioni in cui é tanto lampante che sono gonfiate ad arte, mi sono chiesta: a chi fa comodo? E mi sono chiesta se la reazione indignata dell’autorità religiosa Turca avesse qualcosa a che fare con il viaggio in Turchia che il papa ha in programma, se cioé si sia colta l’occasione per renderlo non dico impossibile, ma almeno ‘inopportuno’. Forse non c’entra niente, ma mi viene in mente il viaggio che Papa Woityla ha fatto in Polonia, ai tempi che Lech Walesa era ancora un sindacalista di belle speranze.Niente di nuovo sotto il sole:  a quell’epoca i blocchi che si fronteggiavano erano altri, ma le tecniche tutto sommato, non erano poi tanto diverse.

 
 
 

Simboli 

Post n°134 pubblicato il 14 Settembre 2006 da lilith_0404

Siamo qualcosa che non resta,
frasi vuote nella testa,
e il cuore di simboli pieno.

Stamattina mi sono svegliata con questi versi della canzone di Guccini, in testa.

So cos’é, sono i programmi ascoltati, e gli articoli e i post letti sull’ 11 settembre. Sono le fotografie e i filmati delle Torri che cadono. Sono le immagini di macerie di case distrutte dalle bombe, che ogni servizio dai luoghi di guerra, sia Libano, Iraq o Afghanistan, ci rimanda come una litania che ormai non ascoltiamo più.

Alla domanda che SandaliAlSole fa nel suo post 799: "Ma voi, non avete mai sognato di costruire qualcosa. Qualcosa con le vostre mani. Qualcosa che resti e che sia davvero vostro?", non mi sarebbe mai venuto in mente di rispondere “...una barca”.

Perché mio papà era muratore. Un giorno, passando in macchina davanti ad un palazzo nella cittadina dove andavo a scuola, mi disse, con una punta di orgoglio nella voce: “questo l’ho costruito io, con i miei fratelli” e da allora ci ripenso, ogni volta che passo per quella strada.

Quando é morto, la sua eredità sono state le case che aveva costruito: perché durante la settimana lavorava in cantiere a costruire case per gli altri, e nel fine settimana lavorava a costruire la sua casa. A rimettere in sesto la casa della nonna. A costruire la casa per i figli.

E casa, per me, é stato sempre il simbolo di ciò che non passa, che rimane. Il simbolo della continuità famigliare.

Bombe permettendo.

 
 
 

Uguaglianza e parità

Post n°133 pubblicato il 10 Settembre 2006 da lilith_0404

Leggevo nei giorni scorsi  la distinzione che compie Occhiodivolpe  tra parità e uguaglianza nel suo post n.384 :

l antica rivendicazione di esser 'pari' davanti alla legge diventa via via l’ ingenua affermazione di un eguaglianza che abbatte i parametri di competenze , capacità , responsabilità , cultura”. 

Mi ha fatto ripensare al fatto che mio papà non era una persona istruita, aveva solo la licenza elementare, e in vita mia non l'ho mai visto leggere un libro o un giornale. Ma era molto bravo nel suo lavoro, e aveva l’orgoglio di esserlo. Quando parenti o amici avevan da fare qualche lavoro importante in casa, venivano a chiedergli consiglio, perché sapevano della sua capacità e competenza..

Mentre di certo non mi ha dato una grossa impressione di affidabilità e competenza il medico del pronto soccorso a cui mi sono rivolta nei giorni scorsi, che mentre parlava con me, scherzava con una collega, e che ha stracciato la ricetta che mi stava compilando perché ha sbagliato a scriverla.

Questo episodio mi ha fatto ripensare a   quello che scriveva tempo fa Vega Lyrae , in un post in cui  ragionava sull’abbassamento del livello qualitativo dell’insegnamento conseguente all’allargamento dell’obbligo scolastico, e ho rimpianto una maggior selettività e criteri meritocratici nella selezione degli studenti.

Tuttavia non credo che sia tutta colpa della scuola. Il fatto é, che già ai blocchi di partenza non siamo tutti uguali.

Che ci piaccia o no,  ci sono, perfino tra persone della stessa famiglia, differenze di intelligenza, di indole, di carattere: non ci fosse altro, basterebbe questo a fare la differenza. Poi completano l’opera  l’educazione, e le esperienze di vita, e giocano certo anche le disponibilità economiche familiari, come sottolineava VegaLyrae nei commenti al post 131. 

E alla fine, mi chiedo, la parità che non c’é in partenza, é mai possibile che ci sia all’arrivo?

 
 
 

Passerotti

Post n°132 pubblicato il 07 Settembre 2006 da lilith_0404

Qualche volta, d’estate, uscendo dal lavoro ci piace andare a prendere l’aperitivo in castello. Seduti all’aperto, immersi nel verde che circonda il maniero, si chiacchiera e si piluccano gli stuzzichini che vengono serviti con le bevande, e se qualche briciola cade in terra, subito un nugolo di passeri si affretta a contendersi il prezioso bottino.

Questa immagine mi é sorta vedendo la rapidità con cui i blog han cambiato aspetto non appena é stata introdotta la recente modifica dell’impaginazione: é stato tutto un affrettarsi a provare, a cambiare, a sperimentare i nuovi template, quasi che , aspettando un attimo, si dovesse perdere l’occasione di farlo.

E bisogna ammettere che questa ultima innovazione, che si aggiunge all’altra, pure recente, di inserire immagini di grande formato, ha aggiunto notevoli possibiltà espressive per i blogger.

Ha un bel dire Occhiodivolpe nei commenti al suo messaggio 386 che la sovrabbondanza di  immagini scaricate dalla rete hanno impoverito il contenuto dei blog: in questo mondo a due dimensioni, a farla da padroni sono la parola e l’immagine,  e se adeguatamente utilizzata la seconda non é meno efficace della prima nel trasmettere contenuti ed emozioni: per citare solo un paio di esempi, le immagini in bianco e nero che Ombra_luminosa  utilizza nel suo blog, sono il degno complemento delle parole delle sue poesie, mentre le tinte forti, decise,  con prevalenza di rossi, che spesso caratterizzano le immagini inserite da Ossimora nei suoi post contribuiscono a dare una impronta di stile al suo spazio.

Avendo una memoria fotografica, ammetto che tutti questi cambiamenti mi hanno lasciato inizialmente  un po’ frastornata, ed in un primo tempo non riuscivo proprio a vedermi con un vestito diverso da quello a cui ero abituata.

Poi mi sono provata questo che ho ora, mi é piaciuto l’effetto chiaro e pulito dell’insieme, e il fatto che la barra dei menu é a destra, cosa che desideravo da tempo, e mi sono decisa.

Adesso aspetto il giudizio di Regina Crimilde

 
 
 

Il pesce fresco e l'università

Post n°131 pubblicato il 02 Settembre 2006 da lilith_0404

C’é un bel film, che mi piace tanto, in cui la protagonista gioca  a fare la spia, e come frase per farsi riconoscere deve dire ‘il pesce fresco é di stagione?”.  Sicché quando mi capita di sentire un  argomento che si ripete con una certa frequenza nei discorsi, mi viene sempre da parafrasare quella battuta: come in questi  giorni che sui giornali ricorrono articoli che parlano dell’università, un argomento assolutamente ‘di stagione’, ora che le vacanze son finite e i ragazzi tornano a scuola.

Ne parla anche thanksgodisfriday nel suo post 221,  e le sue considerazioni circa le Università americane mi fan tornare in mente un articolo che ho letto qualche girno fa, in cui si diceva che negli Usa, l’Università di Princeton ha strappato a quella di Harward la palma dell’eccellenza.

Nell’articolo veniva sottolineato come l’elevato livello dell’insegnamento sia reso possibile, oltre che da tasse di iscrizione di decine di migliaia di dollari l’anno, anche dalla selezione che viene operata sia per quanto riguarda i docenti, reclutati con criteri rigorosamente meritocratici, sia per quanto riguarda gli studenti , di cui vengono accolte solo l’11% delle domande di ammissione presentate. 

Inevitabile accostare la notizia ad un’altra circolata negli stessi giorni secondo la quale in India il governo deve fronteggiare la protesta degli studenti, che si oppongono ad una proposta di legge per cui nelle università si vuole innalzare dal 22,5 % al 49,5% la quota di posti da riservare agli studenti provenienti da quella che una volta era la casta degli ‘intoccabili’: un diritto di accesso, non fondato sul ‘merito’ ma sulla appartenenza sociale, che gli studenti rifiutano, e che sta creando scontri violenti con la polizia.

E mi torna in mente il mio esame di licenza, alle medie: il professore mi chiese se in India esistessero ancora le caste. No, risposi, non legalmente, ma sono talmente parte del modo di essere della società indiana, che non basta una legge per abolirle. Son passati trentadue anni, da allora.

E ancora si sta cercando di abolirle per legge.

 
 
 

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