Creato da lilith_0404 il 20/02/2005

A Room of One's Own

This is my letter to the world, That never wrote to me, The simple news that Nature told, With tender majesty. Her message is committed To hands I cannot see; For love of her, sweet countrymen, Judge tenderly of me!

 

Messaggi di Ottobre 2007

Non solo clandestini

Post n°256 pubblicato il 31 Ottobre 2007 da lilith_0404

L’arrivo di immigrati clandestini finisce talmente spesso in tragedia che l’avvenimento quasi non fa più notizia, tanto si ripete con regolarità. Giornali e televisione ne riportano la notizia, quasi un bollettino di guerra, aggiungendo quotidianamente un nuovo addendo alla somma dei morti.

Eppure, nonostante questo, lentamente ma inesorabilmente le cose stanno cambiando. Lo leggevo nei giorni scorsi, in un  articolo su Ilsole24ore, e lo conferma oggi quello che si legge nel rapporto della Caritas: gli stranieri che arrivano in Italia sono sempre più spesso donne (49,9% del totale), e un terzo degli ingressi sono per ricongiungimento familiare. Un sesto dei nuovi acquirenti di abitazioni sono immigrati, seppure nel segmento più basso del mercato. E i bambini nati in Italia da genitori stranieri sono stati nel 2005 il 10,3% del totale delle nascite.

Casa, famiglia, bambini, significa un progetto di vita che si concretizza, significa stabilità e non precarietà, significa continuità e non provvisorietà, e fa da contraltare a quel venticinque per cento  di stranieri nel numero dei carcerati e nel numero delle denunce per reati penali.

Addirittura nell’articolo de Il sole leggo che il tasso di natalità di cinesi, tunisini e marocchini è sensibilmente più elevato in Italia che nel loro paese d’origine:  una vera e propria scommessa fatta sulla possibilità di costruirsi una vita  nel nostro paese. 

 

 
 
 

Pausa caffé

Post n°255 pubblicato il 28 Ottobre 2007 da lilith_0404

Il caffé con il suo profumo segna l'inizio della mia giornata, e scandisce poi il trascorrere delle ore: a quello bevuto appena sveglia, nella tazza grande con i biscotti della colazione, ne segue sempre un secondo prima di uscire di casa, poi un terzo arriva appena giunta  in ufficio, poi non può mancare quello dopo pranzo, e un altro ancora nel tardo pomeriggio. Infine, senza il caffé la cena non può dirsi conclusa.       

Parafrasando la nota pubblicità, toglietemi tutto, ma non il mio caffé. Perciò ho trovato interessante la notizia che mi é capitato di leggere sul sito  dell’Ansa, che è il risultato di una ricerca a livello europeo alla quale ha partecipato anche l’Istituto Superiore della Sanità.

   

Sembra che il caffè  sia una mano santa per arginare la decadenza mentale legata all'invecchiamento. Stando a quello che ho letto, tre tazze al giorno di caffè, e le capacità cognitive dei nonni, memoria e capacità di apprendimento, ne risulterebbero sensibilmente migliorate e perfino il rischio di essere colpiti dal morbo di Alzheimer risulterebbe diminuito.          

Il merito è della caffeina, ma anche delle altre sostanze conenute nel caffè, come il magnesio e gli acidi fenolici (non chiedetemi cosa sono, magari Vega Lyrae potrebbe venirmi in soccorso) che aumentano le proprietà antiossidanti nel plasma le quali forniscono un effetto protettivo contro i radicali liberi, responsabili dei danni ossidativi ai neuroni.

 

Ora mia mamma non potà più dirmi guardandomi con disapprovazione che sei caffè al giorno mi fanno male.

click

   

 
 
 

Un altro gioco

Post n°254 pubblicato il 28 Ottobre 2007 da lilith_0404

Negli ultimi tempi non sono più così assidua come un tempo in bloglandia, e solo stamattina ho scoperto il nuovo gioco che si sta svolgendo tra i blog: le cinque date importanti della nostra vita. Poiché sono poco presente non so se qualcuno mi abbia per caso chiamato a giocare, ma leggendo del gioco nel blog di SandaliAlSole mi é venuto spontaneo fermarmi a riflettere su quali siano state le mie date veramente importanti.
          
Il giorno più importante credo che sia stato quando ho scritto una lettera ad una scuola per corrispondenza, per chiedere se la mia età non fosse di ostacolo per iscrivermi ai loro corsi: volevo iscrivermi al corso per prendere la licenza di terza media, ma non avevo ancora compiuto tredici anni e temevo che la giovane età potesse costituire un problema, perciò scrissi alla segreteria della scuola per chiedere informazioni. Ovviamente mi mandarono tutto il materiale per procedere all'iscrizione e così mi rimisi a studiare.
     
Un'altra data importante fu il giorno in cui mia cugina venne da me e mi disse che era stata a far shopping in città con una ex compagna di scuola, e avevano incontrato un ex collega di lavoro della sua amica. Aveva aperto da poco un ufficio, aveva bisogno di un aiuto, e mia cugina aveva pensato che la cosa potesse interessarmi. Io ero iscritta all'università, non stavo affatto cercando lavoro, ma pensai che telefonare non sarebbe costato nulla: fu così che in un colpo solo  trovai non solo il lavoro ma anche la persona con cui ho condiviso gioie e dolori degli ultimi venticinque anni di vita, quindi direi che questa data vale per due.
       
Poi...per quanto ci pensi non me ne vengono in mente altre, non così importanti da poter dire che la mia vita é stata diversa da quel momento in poi.Quindi, direi che mi restano ancora due date importanti da vivere, nei prossimi anni... :-))
           
           

 
 
 

Esperienze (parte seconda)

Post n°253 pubblicato il 26 Ottobre 2007 da lilith_0404

La cosa comincia con un commento in cui vengono espresse alcune considerazioni, non ha importanza se a favore o contro l’argomento del post. L’autore del blog, o un altro blogger interviene esprimendo considerazioni di segno diverso dalle precedenti, e a questo punto il primo ribatte spiegando meglio il proprio punto di vista, e insistendo sulla correttezza delle proprie conclusioni in contrapposizione alla scorrettezza a suo dire evidente,  delle conclusioni dell’altro.

        

En passant, qualcuno inserisce nel discorso una  parola, una battuta, una frase magari detta in tono ironico o sarcastico, che può essere percepita come denigratoria dall’interlocutore. È quella che io chiama ‘la provocazione’, se fossimo in un cartone animato sarebbe la buccia di banana che Speedy Gonzales butta dove sa che passerà il gatto che lo sta inseguendo.

        

Davanti alla buccia di banana ci possono essere due comportamenti:  si può semplicemente scavalcarla, facendo mostra di non averla notata, e continuare imperterriti a sviluppare dialetticamente le proprie argomentazioni. Per fare questo però è necessario 1) avere delle argomentazioni da sviluppare, e 2) accettare il rischio di sembrare privi di quelli che vengono definiti gli ‘attributi’ maschili. 

         

Naturalmente  chi la ‘buccia di banana’ l’ha buttata lì spera che l’avversario scelga la seconda alternativa: che cioè ci metta il piede sopra e ruzzoli rovinosamente a terra, ovvero, fuor di metafora, che reagisca alla provocazione con veemenza,  cosa che avviene in effetti nel 99,99 per cento dei casi,  poiché in quelle occasioni ciascuno, anche senza averla mai letta,  fa propria la famosa dichiarazione di Cyrano de Bergerarc:

<< Io non uscirei mai con, sì, per negligenza, un affronto non ben lavato, con l'onore gualcito, gli scrupoli in ginocchio, ma io procedo e sono, in piena lucentezza, piuma di indipendenza, pennacchio di franchezza. >>

         

A questo punto il gioco è fatto: l’argomento di cui si stava discutendo viene rapidamente accantonato, tutta l’attenzione viene dedicata a dimostrare che si è più corretti, più accorti, più intelligenti, più  capaci di rintuzzare le provocazioni dell’avversario: un po’ come quando nei cartoni animati una nuvola di polvere avvolge tutti i personaggi che si azzuffano furiosamente.

            

Alla fine, uno o più contendenti se ne va sbattendo la porta: ricordo ancora quella volta  in cui Merlinodibretagna e John keating  dopo una bella ‘scazzottata’ virtuale se ne andarono pregandomi di non ‘citarli’ più nei miei post. All’epoca ricordo quanto mi angustiai per quella situazione. Riguardandola con l’esperienza di oggi, non posso fare a meno di sorridere.

        

 
 
 

Esperienze (parte prima)

Post n°252 pubblicato il 26 Ottobre 2007 da lilith_0404

A volte mi piace sfogliare all’indietro il mio blog, e sebbene non sia strutturato come un diario, rileggendo le cose scritte a distanza di tempo, mi rivedo per come ero al momento in cui le ho scritte. Come mi è successo un paio di giorni fa , dopo aver scritto il post precedente, che mi è venuto desiderio di andare a rileggere il post che aveva innescato l’episodio  di cui avevo parlato.

        

Quando due anni e mezzo fa ho cominciato a scrivere nel blog, ero completamente digiuna di qualunque esperienza su come si conduce una discussione. Non avevo tentato che un brevissimo esperimento con i forum e avevo capito subito che non era cosa per me, così come non ero riuscita a entrare in sintonia con i ritmi della chat. Anche nel mondo ‘’non virtuale’’ il mio stile di vita è talmente appartato che non prevede praticamente mai incontri con amici con i quali affrontare e discutere qualche argomento. 

       

Per questo, probabilmente, all’inizio mi sentivo molto intimidita quando mi imbattevo in qualche blog in cui ci si azzuffava verbalmente: ricordo che in quello di Rosalux c’erano alcuni personaggi che litigavano su qualunque argomento, e io mi chiedevo come fosse possibile che lei potesse sopportarlo e  continuasse a tenerlo aperto.

          

Pensavo anche che, così come disturbavano me, quelle risse camuffate da discussioni fossero ugualmente penose per i vari soggetti che vi erano coinvolti e poiché non brillo certo per acume e perspicacia, ci ho messo un po’ a rendermi conto che in questa, come in tante altre cose, le persone non sono tutte uguali, e che persone diverse hanno percezioni diverse di ciò che è penoso oppure eccitante.

        

Dopo averlo capito, ho cominciato però a considerare con un po’ più di distacco le discussioni a cui mi capitava di assistere, e  questo mi ha dato anche  modo di notare ed estrapolare   alcuni cliché che si possono individuare e riconoscere sotto l’apparente diversità delle varie discussioni.

(continua)

 

 
 
 

Sull'amicizia

Post n°251 pubblicato il 22 Ottobre 2007 da lilith_0404

“L’amicizia virtuale? Vale poco.” Così il titolo di un articolo che mi è capitato di leggere su una rivista.

         

Secondo l’articolista, che presenta i risultati di una ricerca condotta da Will Reader, psicologo dell’Università inglese di Sheffield Hallam, le amicizie che nascono on line sono più superficiali e soprattutto implicano meno rischi e difficoltà, almeno finché rimangono nell’ambito puramente virtuale.

                 

Ho provato a confrontare queste affermazioni con la mia esperienza dopo due anni e mezzo di blog, spinta anche dalle riflessioni che espone Odio_via_col_vento nel suo post 192 e dalle considerazioni di Vergine e Martire nei commenti allo stesso post.

        

Per quanto mi riguarda, anche nel modo ‘reale’ le amicizie le conto sulle dita di una mano: penso che un’amicizia non si improvvisi, che siano necessari pazienza, attenzione e tempo perché  si possa sviluppare e consolidare. Certo, altra cosa sono le conoscenze, più o meno superficiali e sporadiche, più o meno cordiali: queste potrebbero, a certe condizioni, diventare anche amicizie, ma raramente questo accade, proprio per mancanza di tempo e di attenzione da poter dedicare loro.

        

Lo stesso dicasi per il mondo virtuale. Tante conoscenze, alcune simpatie e con alcune persone una affinità di pensiero e di sentimento, ma, presumo soprattutto a causa della mia scarsa espansività, anche quando con alcune blogger mi sono trovata a incontrarle di persona, non c’è stato il salto di qualità che portasse la semplice conoscenza al rango di amicizia.

In questo panorama, una eccezione la faccio solo per Lupopezzato.

Mi é capitato in passato, nei primi mesi che  scrivevo nel blog, di aver cancellato alcuni commenti, che non solo non avevano nulla a che fare con l’argomento del post in cui erano stati lasciati, ma  anzi aggredivano sul piano personale,  con apprezzamenti del tutto gratuiti e , a parer mio, del tutto fuori luogo,  gli interlocutori.

          

La conseguenza di quella mia presa di posizione fu che mi attirai il biasimo, espresso in post dai toni molto sarcastici ed offensivi, di alcune persone. Per me che ero, allora come oggi,  una persona niente affatto abituata ad accapigliarmi, vedermi fatta oggetto di post in cui venivo insultata e additata al pubblico ludibrio non fu affatto una esperienza simpatica,  e qualcuno che mi é vicino fuori dal mondo virtuale non esitò a  suggerirmi di non complicarmi la vita inutilmente e di lasciar perdere il blog.

        

In quell’occasione, l’unico che mi dimostrò solidarietà e spese parole per difendere il mio operato  fu Lupopezzato, sebbene tra i commenti  cancellati ce ne fossero anche di suoi: nessuna delle altre persone che frequentavano abitualmente il blog, né in pubblico né in privato mi disse una sola parola di solidarietà o di simpatia.

            

Credo che sia nata lì la buona opinione che mi sono fatta di lui come persona. Nonostante che per quanto ne so io Gigi potrebbe non essere neppure il suo nome ma solo un nick come un altro, sebbene non sappia assolutamente nulla di lui più di quello che tutti possono leggere nel suo blog e nei commenti che lascia in giro, nonostante sia spesso, come dice Magdalene57 ‘sopralerighe’,  lo considero una persona leale, e mi sento di considerarlo un amico.

     

 
 
 

Parte 2 - Gertrude

Post n°250 pubblicato il 19 Ottobre 2007 da lilith_0404

Nel momento in cui ci si pone in veste di educatori si trasmettono necessariamente un complesso di atteggiamenti, convinzioni, valori, che sono ovviamente propri dell’educatore, e che condizioneranno, inevitabilmente il modo di essere e di pensare del bambino.  C’è una differenza sostanziale tra insegnare al bambino una preghiera e insegnargli  a comportarsi con rispetto verso gli anziani, o a lavarsi le mani prima di mangiare e i denti dopo mangiato? 

             

Mi torna in mente, a questo proposito, un famoso passo dei Promessi Sposi, e ciò che  Manzoni  narra riguardo all'educazione di Gertrude, la futura Monaca di Monza:

               

"Bambole vestite da monaca furono i primi balocchi che le si diedero in mano; poi santini che rappresentavan monache. [omissis] Nessuno però le disse mai direttamente: tu devi farti monaca. Era un'idea sottintesa e toccata incidentemente, in ogni discorso che riguardasse i suoi destini futuri. "

            

Ma anche senza arrivare a questi estremi, é ovvio che qualunque scelta educativa opera dei condizionamenti sul bambino, anche quando, ragionando per assurdo, si dovesse scegliere di non educare, e di astenersi quindi dall’impartire qualunque tipo di insegnamento.

                

L’essenziale, io credo, è che venga lasciata poi la libertà, una volta raggiunta l’età della ragione, di analizzare criticamente gli insegnamenti ricevuti e di accettarli o rifiutarli, secondo il proprio convincimento. E questo non mi risulta che il battesimo abbia mai impedito a qualcuno di farlo. 

    

   

 
 
 

Parte 1 - Riti

Post n°249 pubblicato il 19 Ottobre 2007 da lilith_0404

Ogni cultura ha i propri riti: riti di iniziazione per accedere a determinati status, riti di passaggio, per sottolineare cambiamenti di posizione all’interno della società, o riti che celebrano momenti significativi della vita. Spesso questi riti assumono connotazioni religiose, ma solo, io credo, perché la religione accentua il significato simbolico e ‘magico’ che viene loro solitamente attribuito 

   

Proprio ieri leggevo sull’ultimo numero di Geo un articolo in cui se ne  passano in rassegna alcuni particolarmente truculenti, con significati a volte religiosi, altre volte genericamente simbolici, praticati presso popolazioni e culture sparse un po’ in tutto il mondo: tagli praticati in varie parti del corpo, lunghi spilloni infilati nelle guance, solo per dirne alcuni.

          

Scorrendo il servizio,  per associazione di idee  mi è tornato in mente il discorso di Lupopezzato nei commenti al mio post n. 247  riguardo al rito  del battesimo praticato da coloro che si riconoscono nella religione cristiana.

       

Quello che mi lascia perplessa, nel ragionamento di Lupopezzato è il significato ‘coercitivo’ che attribuisce ad un rito che dal punto di vista di un non credente ha in fondo solo un valore simbolico, valore  che credo per altro abbia origini ben precedenti al cristianesimo, non fosse che per il fatto che Giovanni Battista impartiva il battesimo ai suoi seguaci prima che Gesù avesse iniziato la sua predicazione.

             

Nel suo intervento Lupopezzato, stigmatizza il  fatto che attualmente il battesimo viene impartito normalmente a bambini piccoli, che non sono in grado di esprimere una propria volontà in merito, ma questo non avviene con qualunque tipo di scelta educativa che un genitore o più genericamente una comunità, opera nei confronti dei bambini? Mandare un bambino in una certa scuola, fargli prendere lezioni di musica, o mandarlo in una palestra a imparare ginnastica artistica, non sono scelte che gli adulti fanno, senza consultare il bambino e che influiranno sul suo modo di essere e di comportarsi?

          

                 

 
 
 

Il sorriso di Monna Lisa

Post n°248 pubblicato il 16 Ottobre 2007 da lilith_0404

La discussione che si è sviluppata nei commenti al post precedente mi ha indotto a fare alcune riflessioni. Sono partita dalle considerazioni espresse da Lupopezzato in merito alle discriminazioni di cui, di fatto, sono tuttora vittime le donne in ambito lavorativo:secondo i dati che cita Lupopezzato il 20% delle donne lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio per mancanza di asili nido, mentre le retribuzioni e gli avanzamenti di carriera delle donne hanno dinamiche decisamente più contenute di quelle maschili.

Sono dati che non mi giungono nuovi, la situazione, al di là dei dati statistici penso che sia percepibile a occhio nudo e non è contestabile. Ma riflettendo su questi dati, mi è capitato di ricordare un film che ho visto tempo fa, Mona Lisa Smile.

C’è una scena in quel film, che quando la vidi mi lasciò sconcertata, e ci ho messo un po’ a digerirla, perché va decisamente contro a quello in cui ho sempre creduto. La scena a cui mi riferisco è quella in cui la ragazza, che ha ottenuto l’ammissione ad una prestigiosa università, comunica alla professoressa che non ne farà niente, perché lavorare e fare carriera non è il suo sogno, quello che lei vuole è avere figli e una famiglia di cui occuparsi.

Confesso che vedendo la scena la prima volta non potei fare a meno di pensare ‘che terribile spreco di intelligenza!‘ . Eppure, passato il primo momento di sconcerto, ho dovuto riconoscere che quella mostrata dal film è , più spesso di quel che mi piacerebbe, la realtà.

Di fatto, passando in rassegna le mie conoscenze, trovo un certo numero di donne che non hanno lasciato il lavoro per necessità ma per scelta, e che hanno scelto di prendersi del tempo per occuparsi di figli e famiglia, pur non essendo questa scelta così ‘obbligata’ come sembrerebbero suggerire le statistiche, e senza affatto preoccuparsi di precludersi in questo modo avanzamenti di carriera e aumenti di stipendio.

Lette alla luce di queste ulteriori informazioni le cifre mostrate dalle statistiche assumono un significato un po’ diverso: e cioè che per un certo numero di donne la carriera e il lavoro non hanno la stessa importanza e la stessa priorità che hanno per i maschi.

Ma  forse questo modo di pensare femminile é a sua volta una conseguenza dell’educazione che le donne ricevono fin da piccole, e quindi, di nuovo, il risultato di un ‘condizionamento’ discriminatorio.  Anche questa in effetti  è un’ipotesi che non mi sento di scartare del tutto.

 
 
 

O tempora, o mores!

Post n°247 pubblicato il 12 Ottobre 2007 da lilith_0404

“Attenuanti etniche e culturali” Questa formula è stata usata per ridurre la pena comminata ad un uomo che ha usato violenza nei confronti della ex fidanzata.

L’uomo è un Italiano, e il giudice che ha pronunciato la sentenza con questa sconcertante motivazione  è tedesco.

Ne deduco che nella concezione di quel giudice  gli italiani sono un popolo di una razza particolarmente violenta e presso i quali seviziare le donne è considerato legittimo, tanto che avendo questo genere di cultura possiamo essere compatiti e ‘scusati’  se andando presso popoli più ‘civili’ non riusciamo tuttavia a liberarci di quel retaggio che ci è stato inculcato con il latte materno.

Ricordo che un tempo si parlava di ‘delitto d’onore’, ma confesso che fino ad oggi non mi era mai capitato di sentir parlare di ‘stupro  culturale’.

Tuttavia leggendo la notizia mi è tornata in mente la copertina di Panorama che ho visto sabato scorso in edicola, su cui venivano riepilogate le decine di delitti accaduti negli ultimi tempi in cui la vittima è una donna, moglie, fidanzata o ex dell’assassino.

Che il giudice tedesco dopotutto ci abbia azzeccato? 

 
 
 

In articulo mortis

Post n°246 pubblicato il 08 Ottobre 2007 da lilith_0404

Oggi si svolgeranno nella cattedrale di Modena i  funerali del Maresciallo Capo Lorenzo D'Auria, morto nei giorni scorsi a Roma in conseguenza delle ferite riportate in Afghanistan.  

La sua sfortunata vicenda ha colpito la fantasia soprattutto per il  matrimonio celebrato secondo il rito canonico ‘in articulo mortis’ quando l’uomo era ormai in coma, e solo poche ore prima che il suo cuore cessasse di battere. 

Di questa forma di matrimonio  avevo sentito dire, forse letto in qualche romanzo, ma fino ad oggi non mi era mai capitato di vederlo applicato, e leggendone la cronaca, e le motivazioni, non ho potuto evitare di fare, tra me e me, alcune considerazioni.

Il maresciallo capo D’Auria e la sua compagna vivevano ‘more uxorio’ già da sei anni, e avevano avuto insieme ben tre figli. In tutto questo tempo, dubito che effettivamente siano mancate le occasioni, come è stato scritto sui giornali e detto nei telegiornali, di ‘formalizzare’ con il matrimonio la loro unione. Questo possiamo raccontarcelo perché è necessario a tenere in piedi il castello che giustifica la celebrazione del matrimonio in ‘extremis’, ma credo che neppure il più ingenuo fra noi abbia dubitato che la loro volontà fosse effettivamente un’altra.

Ma il fatto  è che senza il matrimonio, la compagna del Maresciallo, la madre dei suoi tre figli, non avrebbe avuto titolo a nessun tipo di provvidenza in conseguenza della  morte del compagno. Non solo, ma non avrebbe neppure avuto titolo a prendere alcun tipo di decisione riguardo alla assistenza da prestare al compagno e neppure in merito ai funerali. Insomma, nonostante i sei anni passati insieme, e nonostante la famiglia condivisa, la compagna del maresciallo D’Auria sarebbe stata una signora nessuno di fronte alla legge, senza quel provvidenziale matrimonio reso possibile da una legge del diritto canonico.

Perché la legge dello stato italiano, dopo tanto discutere,  non è andata oltre alla fantasiosa scelta del nome, prima pacs, poi dico, ma alla fine si è risolta in un niente di fatto, e per cercare di ‘metterci una pezza’  in questo caso non è rimasta che la scappatoia del ‘matrimonio in articulo mortis’.

Ma come sarebbero andate le cose, se invece di andare in coma il povero D’Auria fosse morto in Afghanistan?

 
 
 

Jo e le altre

Post n°245 pubblicato il 06 Ottobre 2007 da lilith_0404

Mi chiedo se per i maschi esista un romanzo che abbia sulla loro formazione lo stesso influsso che ha ‘Le piccole donne’ sulla formazione delle ragazze.

Ci pensavo leggendo quello che mi scrive  Rosalux  nei commenti al post precedente: “devi leggere, allora, ‘arrivederci piccole donne’. lo comprai solo per aver sentito in giro che era una rilettura del vero piccole donne in chiave cilena, ed ero curiosa…” .

Confesso che il riferimento a ‘Le piccole donne’ fu anche nel mio caso la molla che me lo fece acquistare e leggere, poco più di un anno fa, anche se non riuscì ad entusiasmarmi come è successo a Rosalux: troppo importante il posto occupato dall'originale nella mia personale storia di lettrice per poter essere scalzato da qualunque rifacimento in chiave moderna.

Ero ancora piccola quando in occasione di  una Santa Lucia arrivò il primo volume della saga della famiglia March. Era una edizione per bambini, in versione ridotta. In seguito scoprii che una mia cugina, con cui condividevo la passione per la lettura  aveva la versione integrale, e non so quante volte lo presi in prestito: a quei tempi non avevamo la possibilità di comperare molti libri, e supplivamo rileggendo più volte quelli che avevamo. Naturalmente mi identificavo con Jo, anche se sotto sotto sapevo, o forse solo temevo, di essere molto più simile Beth...

Fu una evoluzione naturale, negli anni seguenti, ricevere per Santa Lucia i volumi successivi, Le piccole donne crescono, e Piccoli uomini. Più difficile fu invece procurarsi l’ultimo volume della serie, I ragazzi di Jo.

Ne conoscevo l’esistenza, ma non compariva mai nei titoli che venivano messi in vendita nelle due cartolerie del paese che vendevano anche i libri, sicché un giorno lo ordinai espressamente. Passò del tempo e, quando arrivò, il proprietario del negozio, un vecchio scapolo che gestiva la cartoleria insieme alla sorella, venne di persona  a portarmelo a casa. Credo che non fosse abituato a vedersi ordinare dei titoli e ricordo come sottolineò la sua abilità nel procurare quello che gli avevo chiesto

 Mi è capitato di leggere, in alcune biografie, che la Bibbia sia stato il libro di testo su cui si imparava a leggere. Nel mio caso, quando anni più tardi si trattò di scegliere un libro da leggere in lingua originale per fare pratica con l’inglese, quale altro libro avrei potuto scegliere, se non ‘Le piccole donne’?

  

 
 
 

Violeta

Post n°244 pubblicato il 04 Ottobre 2007 da lilith_0404

Gracias a la vida,
Que me ha dado tanto,
Me ha dado la risa
Y me ha dado el llanto
Asi yo distingo
Dicha de quebranto
Los dos materiales
que forman mi canto
y el canto de ustedes

que es el mismo canto,
y el canto de todos,

que es mi propio canto


Suppongo che sia dovuto al fatto che sto leggendo
Antigua, vita mia’ di Marcela Serrano.

Me l’ero segnato quando  Amoildeserto lo elencò tra i suoi libri preferiti,  al tempo in cui si fece il gioco dell’incipit. Uno dei personaggi principali del libro si chiama Violeta, in omaggio alla cantante che con le sue canzoni aveva incantato la madre della nostra protagonista.

E così, quando stamattina mi sono sentita un po’ giù di corda, per alcune contrarietà che mi erano capitate, cercando un pensiero felice capace di fugare i malumori  mi sono ricordata del cd di Yasmine Levi, in cui c’è il brano 'Gracias a la vida'.

E siccome l’ho ascoltato in ufficio, mentre lavoravo al computer, non ho resistito alla tentazione di inserire il titolo del brano nella pagina di ricerca di You tube. E ho trovato la canzone cantata proprio da Violeta, ed è stata una vera sorpresa, perché mentre Yasmine Levi la interpreta in modo molto intenso e passionale, Violeta la canta con dolcezza e semplicità e ho pensato che il suo fosse il modo ‘giusto’ di cantarla.

E poi, ed è la cosa che più mi piace di internet, la facilità con cui si possono trovare una quantità di notizie sugli argomenti più disparati, ho cercato informazioni su di lei, l’autrice della canzone, ed ho scoperto che oggi sarebbe stato il suo novantesimo compleanno, se alla sua vita non avesse messo fine quando aveva solo cinquant’anni.

Di lei ci è però rimasta la voce, e le sue parole: gracias a la vida, che ci ha dato Violeta Parra.

Grazie alla vita
che mi ha dato tanto,
mi ha dato il riso
e mi ha dato il pianto,
così distinguo
gioia e dolore
i due materiali
che formano il mio canto
e il canto degli altri
che è lo stesso canto
e il canto di tutti
che è il mio proprio canto.

       

 
 
 

Proverbi

Post n°243 pubblicato il 03 Ottobre 2007 da lilith_0404

Fatta la legge, scoperto l’inganno, si diceva una volta. Ma che l’inganno venisse scoperto ancor prima che la legge venisse fatta, ancora non m’era mai capitato.

Mi riferisco alla legge che è stata recentemente approvata relativa alle modalità formali da rispettare per presentare le dimissioni dal posto di lavoro: quando la normativa sarà a regime, le dimissioni dovranno essere obbligatoriamente presentate su stampati ‘ministeriali’ numerati.

Nelle intenzioni del legislatore, questo dovrebbe scoraggiare la pratica delle dimissioni in bianco, cioè quella prassi di farsi firmare la lettera di dimissioni prima di procedere ad instaurare il rapporto di lavoro, al fine di aggirare le norme sul divieto di licenziamento. Norme che sono particolarmente vincolanti e tassative in difesa della maternità.

Ebbene, mi chiedo che effetto potrà ottenere una legge del genere, quando ormai sono possibili assunzioni con contratto a termine senza tante limitazioni.

I contratti a progetto, che la fanno da leone nell’ambito delle assunzioni soprattutto dei giovani, sono a ‘termine’ per definizione, ma anche nell’ambito delle assunzioni tradizionali, con il lavoro interinale e con le assunzioni a termine praticamente liberalizzate, la possibilità di lasciarsi vie di fuga per risolvere rapporti di lavoro ‘a rischio’  ci sono, e sono perfettamente legali,  senza dover ricorrere a lettere di dimissioni preventive.

Vorrà dire che anziché un rapporto a tempo indeterminato con lettera di dimissioni preventiva avremo una successione di rapporti a termine. Come dire,se non è zuppa è pan bagnato.

E questa legge mi dà proprio l’impressione di chiudere la porta quando i buoi son già scappati.

       

 
 
 

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