Creato da lilith_0404 il 20/02/2005

A Room of One's Own

This is my letter to the world, That never wrote to me, The simple news that Nature told, With tender majesty. Her message is committed To hands I cannot see; For love of her, sweet countrymen, Judge tenderly of me!

 

Messaggi di Agosto 2006

Poesia 919

Post n°130 pubblicato il 30 Agosto 2006 da lilith_0404

Riflettendo per formulare la risposta al commento che  Walk_on_by mi ha lasciato al post 129, mi é tornata in mente una poesia di Emily Dickinson, che rende abbastanza bene quello che,  maldestramente, ho cercato di esprimere in quella risposta: che la vita, mia e di tutti gli esseri umani é un tutt'uno, e che lo scopo della vita non é altro che la vita stessa.

La trascrivo qui di seguito, a completamento della risposta scritta sotto.

If I can stop one Heart from breaking
I shall not live in vain
If I can ease one Life the Aching
Or cool one Pain
Or help one fainting Robin
Unto his Nest again
I shall not live in vain.

Se io potrò impedire
a un Cuore di spezzarsi
Non avrò vissuto invano
Se potrò alleviare il dolore di una Vita
O smorzare una Pena
O aiutare un  Pettirosso caduto
A rientrare nel Nido
Non avrò vissuto invano.

 

 
 
 

Crescita zero

Post n°129 pubblicato il 27 Agosto 2006 da lilith_0404


immagineLa battuta  finale del commento di Lupopezzato al mio  post precedente: “ L’unica cosa che può fare (l’homo stupidus) è migliorare il pianeta. Scendendo.” mi ha fatto pensare ad una mia amica.

Come molte donne desiderava avere figli ma, non per sua scelta, il suo desiderio non si é realizzato. Infatti, benchè il suo compagno sia un ginecologo, lui ritiene che la terra sia già abbondantemente sovrappopolata e che non sia il caso di aggravare ulteriormente questa situazione. Un punto  di vista che mi torna sempre in mente, quando sento parlare di calo delle nascite, e crescita zero.

I demografi presentano lo scenario del decremento demografico come una prospettiva da evitare ad ogni costo, tanto che in un articolo che ho letto ieri uno dei motivi portati a sostegno dell’opportunità di favorire l’arrivo degli immigrati, é costituito proprio dal più alto tasso di natalità che li caratterizza, grazie al quale verrebbe scongiurato il pericolo della crescita zero.

Anche se non mi sono chiare fino in fondo le catastrofiche conseguenze che un tasso di natalità negativo potrebbe produrre, capisco che a livello del singolo paese il decremento demografico porta ad un invecchiamento della popolazione e ad un appesantimento degli oneri per la previdenza e l’assistenza, perché é risaputo che le pensioni le prendono gli anziani, e che é molto probabile che andando su con l’età qualche acciacco ci sia.

A livello planetario, tuttavia, siamo in troppi, e la terra scoppia.

Sembra un circolo vizioso, un serpente che si morde la coda. E se  il modo di uscirne fosse proprio quello che diceva quell’articolo di cui parlavo, di spostare la gente da dove ce n’é troppa e portarla dove non ce n’é abbastanza?

Intanto ho letto che a Brescia gli immigrati sono il 25% dei residenti... Anche se la mia amica non ha avuto figli, credo che qui da noi la crescita zero sia scongiurata.

immagine

 
 
 

Profumi

Post n°128 pubblicato il 23 Agosto 2006 da lilith_0404

Ci sono fiori che non posso vedere senza tornare all’infanzia, con il pensiero, indissolubilmente legati a quel tempo nell’emozione che mi suscitano.

Come i mughetti, di cui era fatto il mio bouquet il giorno della prima comunione. E i ciclamini, come quelli che ci sono nella foto del post n.2 di Mariddu.

Quando eravamo bambini i miei genitori ci mandavano in vacanza in colonia, quasi sempre in montagna.

Al mattino un altoparlante ci dava la sveglia con le note di una canzone, ma io di solito ero sveglia già da prima, l’orecchio teso ad ascoltare i fruscii dei bambini che si giravano nel letto,nel grande dormitorio, il silenzio interrotto a tratti dalle voci di qualche inserviente, dal corridoio:e capivo che non era più notte ma mattina, e aspettavo che partisse la musica per alzarmi e andare a lavarmi.

Mi piaceva il profumo di saponetta che si sprigionava quando nei bagni aprivo la busta con il necessario per la toeletta. E farmi pettinare dalla ‘signorina’, perché le trecce da sola non me le sapevo fare. Fare colazione con caffelatte e pane raffermo tagliato a fette, nel chiacchiericcio del refettorio. E poi, tutti in fila, per la passeggiata del mattino, nei dintorni del paese.

A volte si arrivava in posti in cui crescevano i ciclamini. Inutile raccoglierli, perché poi non avevamo dove tenerli. Qualcuno tuttavia li prendeva con tutta la ‘patata’, per ripiantarli una volta a casa, ma più spesso semplicemente se ne prendevano uno o due, per sentirne il profumo.

E ancora oggi, nel ricordo, i ciclamini sono il profumo delle vacanze in montagna.

 
 
 

Convinzioni

Post n°127 pubblicato il 19 Agosto 2006 da lilith_0404

“Io non vi ho mai lasciato sole per andare a divertirmi”

Questa frase la leggo nel post 261 di MARIONeDAMIEL e mi sembra di udire mia mamma.

Lei é convinta che una donna che ha dei figli debba stare a casa ad occuparsi della famiglia, e guarda con estrema disapprovazione sia sua figlia che sua nuora che lasciano i bambini all’asilo nido o da baby sitter più o meno mercenarie per potersi dedicare al lavoro.

‘Io di figli ne ho cresciuti sei, e non li ho mai lasciati a nessuno’, dice con severità.

Inutile discutere con lei, facendole presente che forse é proprio perché ne ha avuti sei, che non li ha potuti lasciare a nessuno,  ed enumerare  la lunga serie di motivi che giustificano e sorreggono la scelta di non lasciare il lavoro: é una causa persa. Quando si arriva in fondo, stringe le labbra, scuote la testa,  e dice :”una donna che ha dei bambini piccoli deve stare a casa e occuparsi dei suoi figli” e questo é quanto.

D’altra parte, queste convinzioni le sono state inculcate da bambina: durante il periodo fascista, c’erano leggi specifiche che penalizzavano e discriminavano le donne che volevano lavorare dopo il matrimonio. E i valori che ci inculcano da bambini, che ci vengono insegnati in famiglia, e a scuola, che vengono condivisi con il gruppo dei pari, é difficile lasciarseli alle spalle.

Non impossibile, certo, la vita a volte é una maestra severa e ci impone di ripensare le nostre convinzioni, ma non sono passaggi indolore, e spesso é necessario un cambio generazionale perché determinate convinzioni vengano abbandonate del tutto.

Come nel caso di quella ragazza pakistana che solo pochi giorni fa  i familiari hanno ucciso perché rifiutava un matrimonio combinato dai genitori e voleva vivere con un uomo di sua scelta. Ne parlano n.d.r nel suo post 619 e Ossimora nel post 622 . Persone della stessa famiglia, ma di due generazioni diverse, che hanno formato le proprie convinzioni in due contesti culturali diversi, e che mostrano di avere scale di valori radicalmente divergenti.

Come nel caso di mia mamma e me: lei non approva che una donna lavori, io non concepisco che una donna non lavori.Convinzioni.

 
 
 

Il modo giusto

Post n°126 pubblicato il 16 Agosto 2006 da lilith_0404

Una agenda come quella che descrive SandaliAlSole nel suo post 774 non l’ho mai avuta, anzi, anche ai tempi della scuola il mio diario era quanto di più anonimo si possa immaginare

Alle elementari il diario non  si usava proprio. I compiti venivano semplicemente annotati sul quaderno. E di quaderni ne avevamo due, uno a quadretti, per le ‘operazioni’ e uno a righe, per i componimenti e i dettati.

Quando si trattò di andare alle medie, insieme alla cinghia per i libri che prese il posto della vecchia cartella, e a un congruo numero di quaderni e di libri, fece la sua comparsa il diario, perché  non c’era più un solo maestro, ma tanti professori, e ognuno avrebbe dato i suoi compiti da fare a casa.

Forse fu perché persi le prime settimane di lezione, in prima media;  o forse semplicemente non mi posi il problema di come si dovesse usare: al termine delle lezioni, aprivo il diario alla pagina corrispondente al giorno in cui eravamo, e annotavo i compiti che venivano assegnati.

‘Non si fa così’ mi disse un giorno la compagna di banco “ non si segnano sulla pagina del giorno in cui vengono assegnati, ma sulla pagina del giorno in cui bisogna portarli”.  “E chi l’ha detto che non si può fare così?”, risposi, un po’ mortificata. ‘No, così é sbagliato, chiedilo alla profe...”

Ricordo ancora lo sguardo, un po’ imbarazzato, della professoressa interpellata sull’argomento, mentre mi confermava che, si, in effetti il modo giusto di fare era segnare i compiti nel giorno in cui si dovevano riportare..

Tornai a casa un po’avvilita, e dopo mangiato mi sedetti a fare i compiti: quelli che mi avevano dato quella mattina. Perché io preferivo farli subito, il giorno stesso, intanto che mi ricordavo bene le spiegazioni. Perciò veniva meglio segnarli come facevo io, sulla pagina del giorno in cui erano assegnati.

Ancora oggi, quando cercano di spiegarmi qual é il modo ‘giusto’ di fare le cose, ripenso al diario e mi chiedo: il modo giusto per chi?

 
 
 

Pensieri sparsi guardando la luna in una notte di mezza estate

Post n°125 pubblicato il 13 Agosto 2006 da lilith_0404

Anche quest’anno, il cielo era coperto la notte di San Lorenzo.

Seduta in cortile, con il cane accovacciato ai miei piedi, il naso in su , di stelle cadenti non ne ho viste.

C’era una bella luna, però, una luna piena che usciva dalle nuvole ad illuminare la notte.

I versi di Leopardi emergono spontanei da qualche piega della memoria:

"E tu certo comprendi
Il perché delle cose, e vedi il frutto
Del mattin, della sera,
Del tacito, infinito andar del tempo...
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore."

Ci sono dei  puntini luminosi in movimento nel cielo, ma sono le luci degli aerei in arrivo e in partenza dal poco lontano aeroporto di Orio al Serio. E il pensiero va alle notizie che da televisione e giornali arrivano di attentati apocalittici agli aerei in partenza verso gli Stati Uniti, sventati in extremis. Gli arrestati sono tutti cittadini britannici, di religione mussulmana.

Penso alla legge che é stata recentemente approvata  in Italia, di cui parla anche Ossimora nel suo post n.614 La reazione di Calderoli non é isolata. Qui da noi di immigrati ce ne sono tanti, e non sono più solo operai nelle fabbriche e personale domestico, o badanti che assistono persone anziane e malate. E’ tutto un pullulare di negozi che vengono aperti, e piccole attività imprenditoriali che vengono messe in piedi, con modalità al limite, quando non al di fuori, della legalità che risultano spiazzanti per la concorrenza autoctona.. Forse é proprio questo che da fastidio.

Penso a una notizia che si racconta in famiglia, senza che nessuno l’abbia mai in effetti verificata, perché troppo lontana nel tempo visto che già i bisnonni sono nel cimitero del paese, che qualche antenato sia arrivato a Brescia trapiantato da qualche paese del sud dell’Italia; meno incerto anche se tuttavia molto vago il racconto di mia mamma, che i suoi nonni siano tornati in Italia quando la nonna si era ammalata.

Penso che la storia é fatta in buona parte di questo, di persone che si spostano da un posto all’altro, alla ricerca di condizioni di vita migliori: i Greci, a cui facciamo risalire l’inizio della nostra civiltà, si dice fossero popolazioni di origine Indoeuropea. Dopo di loro fu la volta degli Slavi a sciamare verso il sud est dell’europa e ad insediarsi in regioni già comunque abitate da altre popolazioni.  E non é così che si narra sia nata Roma? Non si racconta che Enea arrivò nel Lazio scappando da Troia, e che qui venne accolto dagli abitanti del luogo che gli permisero di fondare una sua città?  e con i barbari, alcuni secoli dopo, non andò allo stesso modo? quando si accorsero che non potevano più respingerli, i romani li accolsero e li naturalizzarono.

Nulla di nuovo sotto il sole, se non che ora ai confini ci arrivano su bagnarole che solo per miracolo non vanno a fondo prima di approdare.

Penso a quanta disperazione deve avere una persona per accettare di correre questo rischio.  Arroccarsi in posizioni di rifiuto, e’ solo una causa persa. Meglio gestire il fenomeno, perché non si creino ghetti, e situazioni che alimentano tensioni e criminalità, perché comunque la convivenza deve essere imparata, e per conoscersi e integrarsi ci vuole tempo..

La luna ad un certo punto si é nascosta dietro una nuvola. E ormai si è fatto tardi, e la notte è fresca.

Meglio rientrare. 

 
 
 

In riva al fiume, tra gli alberi

Post n°124 pubblicato il 09 Agosto 2006 da lilith_0404

E’ tutto un salutare e partire, dentro e fuori dai blog. E’ la stagione. Qualcuno parte solo per una vacanza, qualcun altro unisce il desiderio di evasione al bisogno di rendersi utile. Ma il denominatore comune é partire, andare, possibilmente lontano...

Ma non é stato sempre così. Ci pensavo domenica pomeriggio, mentre portavo a passeggio il cane, o, per essere precisi, mentre il cane portava a spasso me che altrimenti,  pantofolaia come sono, passerei la domenica a ciondolare per casa.

Trascinata dal piccolo segugio siamo arrivati in riva al fiume, che scorre un poco fuori dall’abitato. La giornata era calda, e diverse persone, a coppie, o a gruppi,  avevano scelto di passare qualche ora nei prati che fiancheggiano il corso d’acqua. Qualche uomo pescava, seduto sulle pietre in riva all’acqua, qualche ragazza prendeva il sole in costume.

E mi é tornato in mente quello che tante volte ho sentito raccontare da mia mamma, che da bambina andava ‘in colonia’ al fiume, praticamente a un tiro di schioppo da dove abitava: erano gli anni della guerra,  e a distanza di oltre sessant’anni ancora  gli occhi le brillano al ricordo  di quando un giorno il fornaio arrivò con una cesta di pane bianco, in luogo di quello nero che veniva abitualmente fornito. ‘C’é il pane bianco, c’é il pane bianco’, si  dicevano l’un l’altro i bambini affollandosi intorno al garzone.

Domenica sera, di ritorno dal Trentino, una località vicino al confine con l’Austria mia sorella ha riportato una confezione di un pane di segale, tipico di quelle zone.

Ma a mamma, a vederlo così scuro, non é piaciuto.
 

 

 
 
 

C'erano, una volta

Post n°123 pubblicato il 05 Agosto 2006 da lilith_0404

E il vecchio diceva,
guardando lontano:
"Immagina questo coperto di grano,
immagina i frutti e immagina i fiori
e pensa alle voci e pensa ai colori..."

Mentre leggevo il post n. 299 di rosalux, e sorridevo alla descrizione della reazione  di incontrollabile repulsione per la tribù di cimici che si é trovata sul davanzale, mi é tornato alla memoria un episodio di qualche giorno fa, in cui la mia nipotina di cinque anni é stata punta da una vespa.

Ora, sui libri dei bambini api, vespe, e svariati altri animaletti hanno aspetti molto accattivanti, ma quando l’ha incontrato de visu, mia nipote non ha trovato di suo gradimento il piccolo insetto. Per dirla proprio tutta ha avuto una vera e propria reazione isterica, e sua madre l’ha dovuta schiaffeggiare per farla smettere di urlare.

Mentre la bambina si calmava, osservavo il bel giardino in cui il fatto é accaduto, con l’erbetta rasata regolarmente dai giardinieri, e ripensavo a come era quel posto quando io ero bambina, ai fiori che mia madre coltivava per averli freschi da portare al cimitero ( solo in circostanze speciali venivano acquistati dal fiorista) che crescevano in parte all’insalata e ai pomodori. E ai tanti animaletti che si potevano vedere abitualmente, in cortile:

le api, le lucciole, le farfalle

i ragni, gli scarafaggi, le cimici, le formiche

i topi, le lucertole, i vermi …

Oggi sono diventati talmente insoliti da provocare perfino reazioni di panico.

Ma c’erano, davvero, quando io ero bambina.

  

Il bimbo ristette, lo sguardo era triste,
e gli occhi guardavano cose mai viste
e poi disse al vecchio con voce sognante:
"Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!"

 
 
 

Madeleinette

Post n°122 pubblicato il 02 Agosto 2006 da lilith_0404

A  volte  per farci amare un libro  basta un concetto, una frase che come per una folgorazione riconosciamo come vera, per averne fatto l’esperienza, magari senza essere riusciti  a trovare le parole per dirlo, e che facciamo nostra, perché meglio non avremmo saputo dire.

Credo che si riferisse a questo Cesare Pavese quando scrisse che ‘leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma.’ 

E credo che siano soprattutto i libri che abbiamo letto da giovani ad avere l’impatto maggiore.

Il ricordo dell'emozione di quando lessi la prima volta 'Il piccolo principe', ha fatto sì che in seguito abbia regalato quel libro ad ogni bambino che ho potuto. E ancora oggi sono convinta che: “é ciò che fai per la tua rosa a renderla unica per te, in mezzo alle centinaia di rose del giardino”

Ma anche  ‘Il segreto di Pollyanna’ letto e riletto in una bella edizione riccamente illustrata che avevano regalato a mia cugina, mi ha lasciato una impronta indelebile, con il suo gioco del ‘tanto meglio così’ in cui si cercano gli aspetti positivi anche nelle esperienze più negative.

Ci sono frasi lette da ragazzi che ci accompagnao poi per il resto della vita. E quando mi é capitato di leggere, nel post n. 653 di SandaliAlSole la frase ‘Gioco con i miei pensieri e cullo piccoli sogni’, come Proust con la sua madeleinette le parole hanno evocato il ricordo  di un libro letto da adolescente.

Ad un certo punto l’autrice fa dire ad uno dei protagonisti:’non sono più un idealista, ma amo coltivare piccoli sogni. E sono molto paziente”.

Mi riconobbi in quelle parole e le trascrissi sul mio quaderno. A trent’anni di distanza, se dovessi dare di me una una definizione, é quella frase che scriverei. Perchè, senza farmi illusioni inseguo i miei sogni con infinita pazienza.

 
 
 

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