A Room of One's Own
This is my letter to the world, That never wrote to me, The simple news that Nature told, With tender majesty. Her message is committed To hands I cannot see; For love of her, sweet countrymen, Judge tenderly of me!
Messaggi di Novembre 2006
Ricordo che da bambina avevo cugini maschi e femmine, con cui giocavo indifferentemente in tutti quei giochi di squadra, nascondino, rincorrersi, con la corda, con la palla, e non ci si poneva problemi che si fosse maschi o femmine, e l’unica discriminante essendo costituita dalle fasce di età . Però ricordo che mamma un giorno, mentre con alcuni cugini giocavamo in soffitta, venne a chiamarmi, perché mi aveva avviato un lavoro con i ferri e la lana, e voleva mostrarmi come farlo. Questo episodio mi é tornato in mente leggendo il post di SandaliAlSole e i commenti di Reduced_noise. Io non ho compiuto studi di psicologia, ma credo che la stragrande maggioranza dei comportamenti che identifichiamo come maschili o femminili siano il risultato di condizionamenti prodotti dall’educazione. Condizionamenti che agiscono fin dai primissimi anni di vita, molto spesso in modo anche inconsapevole, e da parte non solo dei genitori ma dell’ambiente complessivo che ruota intorno ai bambini. L’esempio che porta Reduced-noise della monaca di Monza è illuminante: alla piccola Gertrude venivano regalate bambole vestite da suora, e la piccola veniva complimentata chiamandola ‘madre badessa’. Riportandolo ai nostri giorni, quante volte senza la minima malafede parliamo alle bambine lodando la vezzosità dei vestiti o apprezzando la pettinatura? Faremmo altrettanto se fosse un maschietto? Non è questa una forma di condizionamento che indurrà maschi e femmine ad assumere ‘naturalmente’ e fin da piccoli un diverso atteggiamento nei confronti dell’abbigliamento e dell’aspetto estetico? Sono tanti gli esempi che si potrebbero fare, di messaggi più o meno subliminali di cui i bambini, fin dai primissimi anni di vita vengono inondati, e che hanno come risultato finale l’assunzione di comportamenti conformi al ruolo maschile o femminile che devono assumere. Non so se siano effettivamente dimostrate e dimostrabili le migliori performance che si otterrebbero con le classi unisex. di cui parla SandaliAlSole nel suo post, ma credo che sicuramente in quel tipo di classe sarebbe ancora più facile condizionare gli allievi ad assumere atteggiamenti con connotazioni di genere più accentuate. Ma che questo sia un risultato desiderabile , come sostiene upmarine nel suo messaggio 19 io non ne sono sicura. |
Il 25 novembre è Santa Caterina. Lo so perché mia mamma non manca mai di ricordarlo, ogni anno, citando un proverbio dialettale che suona circa così : ‘a Santa Caterina sa stala ‘l bo e la achina’ . In questo proverbio c’è tutta la sua infanzia, quando da ragazzina i nonni la mandavano a sorvegliare le mucche al pascolo. Ma da Santa Caterina sarebbero rimaste in stalla, fino all’arrivo della primavera.Questo dice il proverbio. A Santa Caterina era anche il compleanno della mia nonna paterna. Lo raccontavo a VegaLyrae, nei commenti al suo post n.45 . L’altra nonna, quella di mia mamma, non la ricordo molto, perché è morta che ero piccola, e di lei ho solo il ricordo di una mattina in cui svegliandomi, bambina, vidi mamma che cercava qualcosa nell’armadio in camera mia e stava piangendo, perché la nonna era morta. La nonna di cui parlavo a Vega invece la ricordo bene, perché abitava di fronte a casa mia, e anche se io ero una bambina troppo introversa e ‘selvatica’, come mi diceva una zia, e c’erano tanti altri nipoti intorno a lei, la memoria mi rimanda alcuni flash. Ricordo il grande camino che c’era nella sua cucina, su cui si potevano arrostire le pannocchie, quando in autunno arrivavano i carri di granoturco e sedute in circolo le donne lavoravano alacremente a ‘scarfogliare’ (si dice così?). O la rivedo seduta vicino alla finestra intenta a leggere romanzi di Liala, i piedi appoggiati sullo scaldino, sotto le lunghe sottane scure di cui era sempre vestita.E d’inverno mamma mi mandava a vedere se avesse acceso la stufa a legna, per lasciarle la teglia con le mele da cuocere nel forno. D’estate invece, seduta sotto il portico, chiamava a turno uno o l’altro nipote che giocava in cortile per mandarlo dal fruttivendolo a prenderle una fetta d’anguria. Quando rimase sola, andò a vivere con una figlia, e papà ristrutturò la sua casa, rifacendola ex novo dalle fondamenta. Ricordo quando tornò a vederla, si aggirava nelle stanze ma ‘non è più la mia casa’, ammetteva, con una punta di tristezza nella voce. Ora è morta da tempo, e il 25 di novembre è il compleanno di mio nipote, che ieri ha fatto due anni. Anche da questo ti accorgi del tempo che passa.
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Post n°155 pubblicato il 24 Novembre 2006 da lilith_0404
La ragazza della Panda rossa. Così un mio amico mi definì, un giorno, tra il serio e il faceto. Perché io e la Panda abbiamo costituito per ventitré anni un binomio indissolubile: come Paolo e Francesca, come Penelope e Ulisse: non si dava l’una senza l’altra. Quando la Fiat annunciò di volerne sospendere la produzione, amici e familiari fecero a gara nel fare commenti scherzosi: chi mi consigliava di comprarne un paio, da tenere di scorta, chi mi suggeriva di procurarmi alcuni veicoli da rottamare, per ricavarne in futuro pezzi di ricambio da usare all'occorrenza . Perché nessuno riusciva ad immaginarmi con una macchina diversa da quella che avevo sempre avuto. Nei primi tempi, quando ancora non era stato recepito da chi mi conosceva che io preferivo la Panda, qualcuno cercava di convincermi dei pregi che rendevano desiderabili e preferibili altri modelli, maggior potenza del motore, migliori prestazioni, ma si doveva suo malgrado arrendere di fronte a risposte del tipo: "beh, cosa ha di diverso la mia da una Ferrari: son rosse uguali…e la mia è più economica da mantenere." Perché per fare sessanta chilometri al giorno, casa – ufficio ufficio-casa, che senso avrebbe avuto una macchina col turbo, sul tipo di quella di cui parla Sblog nel suo post 1068: basta una utilitaria, n’est pas? Tanto ne ero convinta, di quello che andavo dicendo, che di panda ne ho comprate ben cinque, a intervalli di quattro-cinque anni l’uno dall’altra: le prime due rosse, appunto, poi una turchese e due verdi. Poi non le han fatte più, e ho dovuto cambiare modello. A malincuore. |
Una staffetta dovrebbe essere che uno inizia a correre, poi passa il testimone a un altro che corre davanti a lui, e così via finché si arriva al traguardo. Ma io ho una abilità speciale per essere fuori tempo :portavo le gonne lunghe quando andavan di moda le minigonne, e i pantaloni quando andavano le gonnellone, e i capelli cortissimi quando andavano di moda lunghi, e lunghissimi quando andavano i tagli a maschietta, e allora posso anche fare una staffetta passando il testimone a un blogger che è già andato a meta. Il fatto è che anche io come lui ero spaiata, e quando Magdalene57 mi ha contattato per chiedermi di fare questa corsa per Malene, ho avuto un momento di panico, non sapendo a chi poter chiedere di far coppia. Poi da SandaliAlSole ho letto l'appello di Oceano_Irrazionale, e mi ha fatto sorridere quello che scrive in chiusura del suo post n.57, che alle feste faceva lo scemo per far divertire gli altri e loro poi si facevano le ragazze, perché è la stessa cosa che mi racconta sempre un caro amico a cui sono molto affezionata. Sicché ho deciso che era un po’ come se lo conoscessi, e potevo chiedergli di offrirsi volontario per far coppia con me. Chissà che insieme non riusciamo a organizzare una festa molto speciale per Malene! Il suo post lo trovate qui. |
Post n°153 pubblicato il 19 Novembre 2006 da lilith_0404
Confesso di avere una grande ammirazione unita a una punta di invidia nei confronti delle persone che sanno suonare uno strumento musicale. Purtroppo io sono profondamente ignorante in fatto di musica, e non solo non suono, ma neppure capisco più di tanto la musica che ascolto, e nelle canzoni subisco spesso molto più il fascino delle parole che della melodia. Questo mi porta a prediligere alcuni autori che dedicano grande cura ai testi, come ad esempio Branduardi. E appunto mentre questo pomeriggio riascoltavo l’album ‘Cogli la prima mela’ mi sono tornate in mente le considerazioni sviluppate nei commenti al post 129 di Thefairyround, e ho pensato come le canzoni di questo album si prestino ad essere lette come una storia, di cui attraverso le parole dei vari brani ripercorro le tappe, in una carrellata di cui si sono fatte colonna sonora. Incomincia la storia con il brano ‘La raccolta’: “ Della raccolta è il dolce tempo Poi, ‘La strega’ introduce un nuovo personaggio: “Curava l'orto di suo padre Nasce un legame che si fa via via più profondo, e coinvolgente, e lo racconta il brano ‘Donna ti voglio cantare’: “Donna, donna l'amica Ma arriva la crisi, e la tristezza infinita dell’a solo finale, nella ‘Ninna Nanna’ che non posso risentire senza pensare alle lacrime di una sera in cui mi struggevo ascoltando: “…che lui si salvi o vada perduto C’è voluto tempo, ma la crisi é alle spalle, e il brano ‘Cogli la prima mela’ racconta la nuova sicurezza conquistata: “Danzala la vita tua Per approdare alla tranquilla serenità di oggi, nel brano ‘Se tu sei cielo’: “Il tuo passo leggero mi segue sulla via, |
“Sorridendo come sempre,
Mia mamma, per esempio, non è cosi. Quando l’ultima delle mie sorelle un paio d’anni fa se ne andò a vivere a Milano, ne fece anzi una vera e propria malattia, e mise in atto ogni genere di ricatto psicologico ed emotivo per dissuaderla dal fare quel passo. E non aveva davanti la ragazzina adolescente che era Quotidiana_mente quando lasciò la casa dei suoi genitori, e la cui giovane età è stata forse in parte la causa della reazione di rifiuto che i genitori hanno opposto alla sua scelta di vivere da sola. Mia sorella era una donna ormai adulta, laureata e con un compagno, per quanto non sposata. Ma quel distacco sprofondò mia madre in una depressione che la faceva sentire ormai inutile, come non ci fosse ormai per lei altro da fare che aspettare di morire. Quand le era nata quell'ultima figlia, le parenti e le vicine che venivano a farle visita non facevano che ripeterle che quella bambina, arrivatale in una età in cui alcune di loro erano nonne anziché mamme, sarebbe stata quella che le avrebbe garantito compagnia e sostegno nella vecchiaia. E a mia mamma non sarebbe mai venuto in mente di dire una frase come quella che scrive Marion in chiusura al suo post 307. Spesso si legge che in Italia i figli sono mammoni, e che rimandano l’uscita dal nido ben oltre l’inizio dell’età adulta. Ma se i figli non sono ansiosi di rinunciare alle comodità che possono avere a casa, a volte neppure i genitori sono abbastanza pronti e disposti a tagliare il cordone ombelicale che tiene i figli legati a loro, perché ogni separazione é dolorosa, e a volte il coraggio di scegliere il dolore non c’é. “ma il vecchio giardiniere |
Post n°149 pubblicato il 05 Novembre 2006 da lilith_0404
Io la sera mi addormento .................... Così cantava Fiorella Mannoia in una bella canzone di qualche tempo fa. Io invece non sogno mai. Probabilmente il mio sonno é troppo profondo e dei sogni che si dice che tutti facciamo non mi rimane il ricordo al risveglio. Ma nei giorni scorsi leggendo il post 739 di Magdalene57 dove, ricordando le sue paure di bambina, racconta che “quando a volte mi capitava di sognare la morte dei miei genitori, mi ritrovavo sotto le lenzuola a piangere, con il cuscino fra le braccia”, mi sono ricordata che anche per me non é stato sempre così. C’è stato un periodo molto lontano nel tempo in cui ricordo di aver sognato, ma non erano bei sogni. Erano sogni ricorrenti, e mi creavano angoscia. O, più verosimilmente, le angosce esistevano da prima senza che razionalmente ne fossi consapevole e nel sogno trovavano il modo di affiorare. Sognavo di un pericolo incombente, da cui dovevo scappare, ma le gambe erano pesanti come macigni, incollate al terreno, impossibili da muovere. Oppure sognavo di una donna che con un grosso coltello da cucina mi inseguiva per uccidermi, e io scappavo dalla finestra, e andavo a nascondermi in un posto in cui mi barricavo, ma c’era sempre un pertugio, una finestrella, una porta da cui lei riusciva ad entrare, e dovevo ricominciare a scappare. Fin troppo facile ripensandoci oggi decodificare il significato di quei sogni di tanti anni fa. Scrive E.Bronte, in una citazione che trovo nel blog di thefairyround: "Ho sognato nella mia vita, sogni che son rimasti sempre con me, e che hanno cambiato le mie idee; son passati attraverso il tempo ed attraverso di me, come il vino attraverso l'acqua, ed hanno alterato il colore della mia mente.". Qualcosa del genere è successo con le mie paure. Mi hanno accompagnato nel tempo, e hanno impresso la loro forma nella mia mente. Ma ho imparato a guardarle negli occhi, e forse è per questo che ho smesso di sognare. Come i treni a vapore come i treni a vapore |
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