Creato da lilith_0404 il 20/02/2005

A Room of One's Own

This is my letter to the world, That never wrote to me, The simple news that Nature told, With tender majesty. Her message is committed To hands I cannot see; For love of her, sweet countrymen, Judge tenderly of me!

 

Messaggi di Novembre 2006

Naturalmente diversi

Post n°157 pubblicato il 29 Novembre 2006 da lilith_0404
 

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Ricordo che da bambina avevo cugini maschi e femmine, con cui giocavo indifferentemente in tutti quei giochi di squadra, nascondino, rincorrersi, con la corda, con la palla, e non ci si poneva problemi che si fosse maschi o femmine, e l’unica discriminante essendo costituita dalle fasce di età . Però ricordo che mamma un giorno, mentre con alcuni cugini giocavamo in soffitta, venne a chiamarmi, perché  mi aveva avviato un lavoro con i ferri e la lana, e voleva mostrarmi come farlo.

Questo episodio mi é tornato in mente leggendo il post di SandaliAlSole e i commenti di Reduced_noise. Io non ho compiuto studi di psicologia, ma credo che la stragrande maggioranza dei comportamenti che identifichiamo come maschili o femminili siano il risultato di condizionamenti prodotti dall’educazione. Condizionamenti che agiscono fin dai primissimi anni di vita,  molto spesso in modo anche inconsapevole, e da parte non solo dei genitori ma dell’ambiente complessivo che ruota intorno ai bambini.

L’esempio che  porta Reduced-noise della monaca di Monza è illuminante: alla piccola Gertrude venivano regalate bambole vestite da suora, e la piccola veniva complimentata chiamandola ‘madre badessa’. Riportandolo ai nostri giorni, quante volte senza la minima malafede parliamo alle bambine lodando la vezzosità dei vestiti o apprezzando la pettinatura?  Faremmo altrettanto se fosse un maschietto? Non è questa una forma di condizionamento che indurrà maschi e femmine ad assumere ‘naturalmente’ e fin da piccoli un diverso atteggiamento nei confronti dell’abbigliamento e dell’aspetto estetico?

Sono tanti gli esempi che si potrebbero fare, di messaggi più o meno subliminali di cui i bambini, fin dai primissimi anni di vita vengono inondati, e che hanno come risultato finale l’assunzione di comportamenti conformi al ruolo maschile o femminile che devono assumere.

Non so se siano effettivamente dimostrate e dimostrabili le migliori performance che si otterrebbero con le classi unisex. di cui parla SandaliAlSole nel suo post, ma credo che sicuramente in quel tipo di classe sarebbe ancora più facile condizionare gli allievi ad assumere atteggiamenti  con connotazioni di genere più accentuate. Ma che questo sia un risultato desiderabile , come sostiene upmarine nel suo messaggio 19 io non ne sono sicura.

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Santa Caterina

Post n°156 pubblicato il 26 Novembre 2006 da lilith_0404
 

immagineIl 25 novembre è Santa Caterina.

Lo so perché mia mamma non manca mai di ricordarlo, ogni anno, citando un proverbio dialettale che suona circa così : ‘a Santa Caterina sa stala ‘l bo e la achina’ . In questo proverbio c’è tutta la sua infanzia, quando da ragazzina i nonni la mandavano a sorvegliare le mucche al pascolo. Ma da Santa Caterina sarebbero rimaste in stalla, fino all’arrivo della primavera.Questo dice il proverbio.

 A Santa Caterina era anche il compleanno della mia nonna paterna. Lo raccontavo a VegaLyrae, nei commenti al suo post n.45 . L’altra nonna, quella di mia mamma, non la ricordo molto, perché è morta che ero piccola, e di lei ho solo il ricordo di una mattina in cui svegliandomi, bambina, vidi  mamma che cercava qualcosa nell’armadio in camera mia e stava piangendo, perché la nonna era morta.

 La nonna  di cui parlavo a Vega invece la ricordo bene, perché abitava di fronte a casa mia, e anche se io ero una bambina troppo introversa e ‘selvatica’, come mi diceva una zia, e c’erano tanti altri nipoti intorno a lei, la memoria mi rimanda alcuni flash.

Ricordo il grande camino che c’era nella sua cucina, su cui si potevano arrostire le pannocchie, quando in autunno arrivavano i carri di granoturco e sedute in circolo le donne lavoravano alacremente a ‘scarfogliare’ (si dice così?).

O la rivedo seduta vicino alla finestra intenta a leggere romanzi di Liala, i piedi appoggiati sullo scaldino, sotto le lunghe sottane scure di cui era sempre vestita.

E d’inverno mamma mi mandava a vedere se avesse acceso la stufa a legna, per lasciarle la teglia con le mele da cuocere nel forno. D’estate invece, seduta sotto il portico, chiamava a turno uno o l’altro nipote che giocava in cortile per mandarlo dal fruttivendolo a prenderle una fetta d’anguria.

Quando rimase sola, andò a vivere con una figlia, e papà ristrutturò la sua casa, rifacendola ex novo dalle fondamenta. Ricordo quando tornò a vederla, si aggirava nelle stanze ma ‘non è più la mia casa’, ammetteva, con una punta di tristezza nella voce.

 Ora è morta da tempo, e il 25 di novembre è il compleanno di mio nipote, che ieri ha fatto due anni. Anche da questo ti accorgi del tempo che passa.

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La fuoriserie

Post n°155 pubblicato il 24 Novembre 2006 da lilith_0404

immagineLa ragazza della Panda rossa. Così un mio amico mi definì, un giorno, tra il serio e il faceto. Perché io e la Panda abbiamo costituito per ventitré anni un binomio indissolubile: come Paolo e Francesca, come Penelope e Ulisse: non si dava l’una senza l’altra.

Quando la Fiat annunciò di volerne sospendere la produzione, amici e familiari fecero a gara nel fare commenti scherzosi: chi mi consigliava di comprarne un paio, da tenere di scorta, chi mi suggeriva di procurarmi alcuni veicoli da rottamare, per ricavarne in futuro pezzi di ricambio da usare all'occorrenza . Perché nessuno riusciva ad immaginarmi con una macchina diversa da quella che avevo sempre avuto.

Nei primi tempi, quando ancora non era stato recepito da chi mi conosceva che io preferivo la Panda, qualcuno cercava di convincermi dei pregi che rendevano desiderabili e preferibili altri modelli, maggior potenza del motore, migliori prestazioni, ma si doveva suo malgrado arrendere di fronte a risposte del tipo: "beh, cosa ha di diverso la mia da una Ferrari: son rosse uguali…e la mia è più economica da mantenere."

Perché per fare sessanta chilometri al giorno, casa – ufficio ufficio-casa, che senso avrebbe avuto una macchina col turbo, sul tipo di quella di cui parla Sblog nel suo post 1068: basta una utilitaria, n’est pas?

Tanto ne ero convinta, di quello che andavo dicendo, che di panda ne ho comprate ben cinque, a intervalli di quattro-cinque anni l’uno dall’altra: le prime due rosse, appunto, poi una turchese e due verdi. Poi non le han fatte più, e ho dovuto cambiare modello. A malincuore.

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La staffetta

Post n°154 pubblicato il 22 Novembre 2006 da lilith_0404
 

immagineUna staffetta dovrebbe essere che uno inizia a correre, poi passa il testimone a un altro che corre davanti a lui, e così via finché si arriva al traguardo.

Ma io ho una abilità speciale per essere fuori tempo :portavo le gonne lunghe quando andavan di moda le minigonne, e i pantaloni quando andavano le gonnellone, e  i capelli cortissimi quando andavano di moda lunghi, e lunghissimi quando andavano i tagli a maschietta, e  allora posso anche fare una staffetta passando il testimone a un blogger che è già andato a meta.

Il fatto è che anche io come lui ero spaiata, e quando Magdalene57 mi ha contattato per chiedermi di fare questa corsa per Malene, ho avuto un momento di panico, non sapendo a chi poter chiedere di far coppia.

Poi da SandaliAlSole ho letto l'appello di Oceano_Irrazionale, e mi ha fatto sorridere quello che scrive in chiusura del suo post n.57, che  alle feste faceva lo scemo per far divertire gli altri e loro poi si facevano le ragazze, perché è la stessa cosa che mi racconta sempre un caro amico a cui sono molto affezionata.  Sicché ho deciso che era un po’ come se lo conoscessi, e potevo chiedergli di offrirsi volontario per far coppia con me.

Chissà che insieme non riusciamo a organizzare una festa molto speciale per Malene!

Il suo post lo trovate qui.

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Una colonna sonora

Post n°153 pubblicato il 19 Novembre 2006 da lilith_0404

immagineConfesso di avere una grande ammirazione unita a una punta di invidia nei confronti delle persone che sanno suonare uno strumento musicale. Purtroppo io sono profondamente ignorante in fatto di musica, e non solo non suono, ma neppure capisco più di tanto la musica che ascolto, e nelle canzoni subisco spesso molto  più il fascino delle parole che della melodia. Questo mi porta a prediligere alcuni autori che dedicano grande cura ai testi, come ad esempio Branduardi.

E appunto mentre questo pomeriggio riascoltavo l’album ‘Cogli la prima mela’ mi sono tornate in mente le considerazioni sviluppate nei commenti al post 129 di Thefairyround, e ho pensato come le canzoni di questo album si prestino ad essere lette come una storia, di cui attraverso le parole dei vari brani ripercorro le tappe, in una carrellata di cui si sono fatte colonna sonora.

Incomincia la storia  con il brano ‘La raccolta’:

“ Della raccolta è il dolce tempo
da domani il grano cadrà
e curiosa anche tu
ti chiedi chi ti coglierà...,,

Poi, ‘La strega’ introduce un nuovo personaggio:

“Curava l'orto di suo padre
e a guardarla lui si fermò:
era uno strano uomo che
quel che sapeva le insegnò,,

Nasce un legame che si fa via via più profondo, e coinvolgente, e lo racconta il brano ‘Donna ti voglio cantare’:

“Donna, donna l'amica
donna sei nave, donna sei terra
donna, donna sei l'aria
e a volte nuvola sei...,,

Ma arriva la crisi, e la tristezza infinita dell’a solo finale, nella ‘Ninna Nanna’ che non posso risentire senza pensare alle lacrime di una sera in cui mi struggevo ascoltando:

“…che lui si salvi o vada perduto
e mai più non ritorni da me.,,

C’è voluto tempo, ma la crisi é alle spalle, e il brano ‘Cogli la prima mela’ racconta la nuova sicurezza conquistata:

“Danzala la vita tua
al ritmo del tempo che va
ridila la tua allegria
cogli la prima mela, ah! ,,

Per approdare alla tranquilla serenità di oggi, nel brano ‘Se tu sei cielo’:

“Il tuo passo leggero mi segue sulla via,
e sei tu che cammini sulla terra che ho.
[… ]Sei la strada accogliente che il mio passo sa già
e sei vento, sei tempo, sei la terra che ho.,,

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c'era una volta la famiglia...

Post n°152 pubblicato il 16 Novembre 2006 da lilith_0404
 

immagineRiordino un cassetto, e mi capita tra le mani una vecchia fotografia: un gruppo di persone sorridenti, strette attorno ad una signora dallo sguardo dolce e dai capelli candidi, seduta elegantemente in poltrona. Subito la memoria ritorna alla sera in cui venne scattata, tredici anni fa: eravamo a casa della signora in poltrona e stavamo festeggiando il suo novantesimo compleanno.

L’avevo conosciuta alcuni anni prima, per motivi di lavoro, e poiché era seminferma in seguito ad un grave incidente che aveva subito, quando aveva bisogno di incontrarmi non era lei a venire in ufficio, ma io che andavo da lei, e forse per questo i rapporti divennero presto molto cordiali.

Viveva a quel tempo nel ricordo del marito, morto qualche anno prima, e che aveva amato appassionatamente. Mi riceveva nella sua stanza di soggiorno, e mentre prendevamo insieme il caffè mi raccontava che per stare con lui si era messa in urto con la famiglia, appartenente alla buona borghesia cittadina, che non lo accettava accanto a lei, essendo l’uomo all’epoca separato da una precedente moglie dalla quale, si era negli anni trenta, non poteva divorziare.

Per poter vivere con lui, mi raccontava di aver interpretato per anni la parte della governante della sua casa, fino a quando, morta la prima moglie, poterono regolarizzare la loro unione. Con grande scandalo dei parenti il matrimonio venne celebrato senza rispettare il periodo di lutto, ma il momento era stato atteso da talmente tanto tempo, che ogni indugio appariva non più giustificato.

Non posso evitare di pensare a come siano cambiati i tempi, nel giro solo di pochi decenni. Passo mentalmente in rassegna quante coppie conosco che vivono una unione che di fatto è un matrimonio ma legalmente non lo è. Mi chiedo cosa penserebbe la signora nella fotografia del mio collega, per esempio, che vive da tutta una vita con una donna con cui non pensa affatto di sposarsi,sebbene nessun ostacolo si frapponga, e abbiano avuto insieme anche due figli, ormai grandi.

Oggi perfino chi si oppone alla approvazione della legge sulle unioni di fatto non può fare a meno di prendere atto della diffusione di questa modalità di ‘essere coppia’, spesso peraltro adottata in via preliminare e solo per un periodo di tempo, prima di arrivare a formalizzare il rapporto con un ‘contratto ufficiale’ di matrimonio .

Io credo che opporsi alla approvazione della legge che ne definisca comunque giuridicamente le modalità, opponendo la scusa di voler ‘salvaguardare’ il valore della famiglia intesa nel modo tradizionale, o focalizzare l’attenzione sulle coppie omosessuali per esasperare sterilmente i toni della polemica, sia un modo molto miope di gestire un fenomeno che esiste anche senza la legge, e malgrado la sua assenza.

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Regali

Post n°151 pubblicato il 12 Novembre 2006 da lilith_0404
 

immagineUna volta credevo che un regalo fosse una cosa che qualcuno ti dava e che in seguito a ciò diventava tua gratuitamente, senza doverla pagare. Ma ero ancora piccola quando imparai che non è così.

Successe quando ero ancora alle elementari.

Una bambina mia amica arrivò un giorno a scuola con un piccolo quaderno, più piccolo di quelli che usavamo abitualmente per i compiti, con la copertina di cartone rigido, marrone, e le pagine bianche, senza rigature, tenute da anelli di plastica fissati alla copertina.

Un oggetto del tutto insolito per me, che non avevo mai visto altro che i normali quaderni a righe e a quadretti, con la copertina di cartoncino leggero. Ero affascinata da quel quadernetto, e la bambina, accorgendosi del mio desiderio, me lo regalò.

Lo ricevetti come un oggetto prezioso, senza neppure osare di scriverci nulla per non sciuparlo. Ma dopo qualche tempo, dimenticandosi che me lo aveva regalato, la bambina rivolle il suo quaderno. Non me ne detti per intesa, le obiettai che ormai era mio, e finimmo ad azzuffarci, furiosamente, in terra , in mezzo alla strada. Alla fine però le ridiedi il suo quaderno.

Anni dopo, ormai adolescente, al liceo successe che una compagna di classe mi mostrasse un anellino che aveva. Nulla di prezioso, un piccolissimo anello d’argento, ma era grazioso e mi piaceva. ‘Puoi tenerlo’, mi disse, 'te lo regalo' 

Ma quando dopo qualche tempo mi chiese di ridarglielo, non feci alcuna obiezione. Avevo imparato che i regali sono cose che in un modo o nell’altro si devono 'restituire'. Per questo, forse, non so fare regali, e ancor meno li so ricevere.

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Il ciliegio

Post n°150 pubblicato il 08 Novembre 2006 da lilith_0404
 

immagine“Sorridendo come sempre,
le spalle mi voltò
e la vidi in mezzo al prato
verso l'albero guardare:
era l'ultimo mio fiore
e l'inverno viene già. ,,


Dovrebbe essere normale che i figli lascino la casa dei genitori, che ad un certo punto spicchino il volo e facciano la loro strada. Ma non sempre i genitori sono come la Rosa del post n.35 di Lupopezzato, capaci di vedere che il bene del figlio é nell’allontanarsi da loro.

Mia mamma, per esempio, non è cosi.

Quando l’ultima delle mie sorelle un paio d’anni fa se ne andò a vivere a Milano, ne fece anzi una vera e propria malattia, e mise in atto ogni genere di ricatto psicologico ed emotivo per dissuaderla dal fare quel passo. E non aveva davanti la ragazzina adolescente che era Quotidiana_mente quando lasciò la casa dei suoi genitori, e la cui giovane età è stata forse in parte la causa della reazione di rifiuto che i genitori hanno opposto alla sua scelta di vivere da sola. 

Mia sorella era una donna ormai adulta, laureata e con un compagno, per quanto non sposata. Ma quel distacco sprofondò mia madre in una depressione che la faceva sentire ormai inutile, come non ci fosse ormai per lei altro da fare che aspettare di morire.

Quand le era nata quell'ultima figlia, le parenti e le vicine che venivano a farle visita non facevano che ripeterle che quella bambina, arrivatale in una età in cui alcune di loro erano nonne anziché mamme, sarebbe stata quella che le avrebbe garantito compagnia e sostegno nella vecchiaia. E a mia mamma non sarebbe mai venuto in mente di dire una frase come quella che scrive Marion in chiusura al suo post 307.

Spesso si legge che in Italia i figli sono mammoni, e che rimandano l’uscita dal nido ben oltre l’inizio dell’età adulta. Ma se i figli non sono ansiosi di rinunciare alle comodità che possono avere a casa, a volte neppure i genitori sono abbastanza pronti e disposti a tagliare il cordone ombelicale che tiene i figli legati a loro, perché ogni separazione é dolorosa, e a volte il coraggio di scegliere il dolore non c’é.

immagine“ma il vecchio giardiniere
rinunciare come può
all'ultimo suo fiore,
se l'inverno viene già,,

 
 
 

I sogni e le paure

Post n°149 pubblicato il 05 Novembre 2006 da lilith_0404

immagineIo la sera mi addormento
e qualche volta sogno perché voglio sognare
e nel sogno stringo i pugni
tengo fermo il respiro e sto ad ascoltare.

....................

Così cantava Fiorella Mannoia in una bella canzone di qualche tempo fa. Io invece non sogno mai. Probabilmente il mio sonno é troppo profondo e dei sogni che si dice che tutti facciamo non mi rimane il ricordo al risveglio. Ma nei giorni scorsi leggendo il post 739 di Magdalene57 dove, ricordando le sue paure di bambina, racconta che “quando a volte mi capitava di sognare la morte dei miei genitori, mi ritrovavo sotto le lenzuola a piangere, con il cuscino fra le braccia”, mi sono ricordata che anche per me non é stato sempre così.

C’è stato un periodo molto lontano nel tempo in cui ricordo di aver sognato, ma non erano bei sogni. Erano sogni ricorrenti, e mi creavano angoscia. O, più verosimilmente, le angosce esistevano da prima senza che razionalmente ne fossi consapevole e nel sogno trovavano il modo di affiorare.

Sognavo di un pericolo incombente, da cui dovevo scappare, ma le gambe erano pesanti come macigni, incollate al terreno, impossibili da muovere.

Oppure sognavo di una donna che con un grosso coltello da cucina mi inseguiva per uccidermi, e io scappavo dalla finestra, e andavo a nascondermi in un posto in cui mi barricavo, ma c’era sempre un pertugio, una finestrella, una porta da cui lei riusciva ad entrare, e dovevo ricominciare a scappare. 

Fin troppo facile ripensandoci oggi decodificare il significato di quei sogni di tanti anni fa.

Scrive E.Bronte, in una citazione che trovo nel blog di thefairyround: "Ho sognato nella mia vita, sogni che son rimasti sempre con me, e che hanno cambiato le mie idee; son passati attraverso il tempo ed attraverso di me, come il vino attraverso l'acqua, ed hanno alterato il colore della mia mente.".

Qualcosa del genere è successo con le mie paure. Mi hanno accompagnato nel tempo, e hanno impresso la loro forma nella mia mente. Ma ho imparato a guardarle negli occhi, e forse è per questo che ho smesso di sognare.


immagineCome i treni a vapore come i treni a vapore
di stazione in stazione e di porta in porta
e di pioggia in pioggia
di dolore in dolore
il dolore passerà.

 
 
 

Il pane dei morti

Post n°148 pubblicato il 01 Novembre 2006 da lilith_0404
 

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Tecnicamente il primo novembre è Ognissanti, ma da sempre, poiché il primo è segnato in rosso sul calendario e non si lavora, è questo il giorno che si usa dedicare alla festa dei morti.

E non c’era neppure bisogno che si importassero tradizioni che non ci appartengono, come quella anglosassone di Halloween, per dare alla giornata un carattere festoso, anche se la parola festa accostata alla parola morti fa uno strano contrasto. Forse è perché sono rimasta ad abitare nel paese d’origine della mia famiglia, e da sempre i parenti che se ne sono allontanati, in questo giorno ritornano per il giro dei cimiteri, e si aspettano visite fin dal mattino presto.

Ricordo che quando ero bambina, quello più atteso era un fratello di mio papà. Era lo zio di Brescia, in contrapposizione ai parenti della mamma che invece arrivavano da Milano. E i miei genitori, per riferirsi a loro, dicevano proprio così: ‘quelli di Brescia’ ed erano lo zio, sua moglie, i cugini.

A quel tempo, alla mia fantasia di bambina Brescia sembrava un posto mitico, e pieno di cose belle, perché lo zio una volta che venne a trovarci portò in regalo due bambole, le più belle che io avessi mai visto, grandi, con un vestito lungo orlato di pizzo, e una complicata acconciatura,una per me e una per mia sorella. E ai morti di solito, portava un pacchetto avvolto nella carta di una pasticceria della città, con un dolce che io pensavo facessero solo nelle pasticcerie di Brescia, una specie di ricetta segreta, perché da noi in paese non si trovava: il pane dei morti, un dolce squisito con un impasto al cioccolato, e frutta secca e canditi a pezzi grossi.

Passando davanti alla sua tomba, nel cimitero del paese, penso sempre che per me lui é rimasto lo ‘zio di Brescia’ che ci portava il pane dei morti, anche ora che in città ci vado ogni giorno, per lavoro, e il pane dei morti lo prendo al supermercato.


immagineCala Novembre e le inquietanti nebbie
gravi coprono gli orti,
lungo i giardini consacrati al pianto
si festeggiano i morti,
si festeggiano i morti...

 
 
 

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