Creato da lilith_0404 il 20/02/2005

A Room of One's Own

This is my letter to the world, That never wrote to me, The simple news that Nature told, With tender majesty. Her message is committed To hands I cannot see; For love of her, sweet countrymen, Judge tenderly of me!

 

Messaggi di Marzo 2007

Chiare, fresche, dolci acque... (2 di 3)

Post n°196 pubblicato il 29 Marzo 2007 da lilith_0404

immagineOltre a questo, però c’è da dire che se l’acqua è indispensabile per bere, è altrettanto indispensabile in più di un settore produttivo dell’economia. Ci pensavo nei giorni scorsi leggendo gli articoli e i post dedicati  a celebrare la giornata dell’acqua, e  mi sono venute in mente alcune considerazioni.

Senza acqua non può esserci agricoltura, e questo non è un mistero per nessuno. Ma ricordo di aver studiato anche che lo sviluppo industriale nel diciottesimo e diciannovesimo secolo è stato possibile in quei paesi che avevano una abbondante disponibilità di acqua che veniva impiegata per far funzionare mulini da cui ottenere l’energia necessaria alle fabbriche.

Oggi le fonti di energia sono sicuramente più diversificate, ma anche grazie alle scelte  compiute riguardo al nucleare, almeno nel nostro paese l’acqua continua ad avere un ruolo cruciale.  Infatti a causa della siccità e della scarsità di precipitazioni di questo inverno è scattato una specie di preallarme generale da parte delle autorità che devono provvedere all’erogazione dell’energia elettrica in Italia, che paventano di non riuscire a far fronte alle richieste del mercato a causa della scarsa disponibilità dell’acqua che alimenta le dighe che  a loro volta fanno funzionare le centrali.

Io penso  che la quantità di acqua utilizzata dal sistema produttivo sia anche alla base del differenziale di acqua che risulta essere utilizzato nelle diverse zone del mondo: i 700 litri pro capite degli abitanti degli Usa contro i 50 degli africani sono presumibilmente dovuti all’impiego di acqua nel settore industriale e in quello agricolo e non tanto all’uso che ne può fare il singolo cittadino per bere e per lavarsi.

Ci sono infatti coltivazioni, come appunto quelle dei cereali, che necessitano di grandi quantità di acqua, e sono coltivazioni tipiche di quelle zone in cui maggiore risulta essere la quantità di acqua utilizzata pro capite. Con questo non credo certo di giustificare la mancanza di acqua in tante parti del mondo ma voglio solo spiegare a me stessa  la grande quantità utilizzata in altre parti.

(...continua...)

    

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Chiare, fresche, dolci acque...  (1 di 3)

Post n°195 pubblicato il 28 Marzo 2007 da lilith_0404

immagineLe ‘fontanine’ , questo il nome che da bambini davamo alle sorgive che appena fuori dall’abitato costeggiano la strada che dal paese scende al santuario e al fiume.

Ci andavamo a giocare e l’acqua che sgorgava dal terreno era così invitante, nelle calde giornate d’estate, che nessuno si faceva scrupolo di berla, prendendola con le mani unite a coppa.


Oggi un simile gesto sarebbe impensabile.

Ma apparentemente non è solo l’acqua delle sorgive ad essere poco sicura: leggevo qualche tempo fa un articolo in cui si diceva che il ministero della Salute accorda con una certa disinvoltura deroghe ai limiti di sostanze nocive che possono essere tollerate nell’acqua cosiddetta potabile che esce dai rubinetti di casa.

Stando a quello che ho letto, tra le regioni che hanno recentemente ottenuto queste deroghe c’è la regione Lazio, in cui l’acqua potabile contiene troppo arsenico, fluoro, selenio e vanadio, mentre nelle acque della regione Toscana si eccedono i limiti fissati per boro, arsenico, e trialometani.

Non sono un chimico, e forse mi sto lasciando suggestionare dalle parole che non conosco ma penso che probabilmente è per questo motivo che gli affari dei produttori di acqua in bottiglia vanno a gonfie vele, come sottolinea  elly611  nel suo post n. 199. 

Ci si illude che solo perché è pagata  fino a diecimila volte di più di quella che esce dal rubinetto sia più sana e più sicura, anche se poi la maggior parte di noi non saprebbe distinguere l’acqua in bottiglia da quella del rubinetto se dovesse giudicarla ad occhi bendati.

Non so dove ho letto che ci vogliono quaranta giorni di digiuno per morire di fame, ma bastano quattro giorni senza acqua per morire di sete.

Ma anche bere un bicchier d’acqua, oggigiorno, sembra diventata una cosa piuttosto complicata.

 (... continua...)  

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Madame Curie

Post n°194 pubblicato il 24 Marzo 2007 da lilith_0404
 

immagineNella serie di post che nei giorni scorsi SandaliAlSole ha dedicato alle donne mi ha colpito il dato che tra le donne manager ben il 58% non abbia figli. Una percentuale altissima, che sembra confermare come   la scelta di dedicarsi alla carriera sia difficilmente compatibile con la scelta di formare una famiglia.

L’argomento non è nuovo, anche recentemente mi è capitato di discuterne anche qui nel mio blog, ma i post di SandaliAlSole mi hanno fatto considerare la cosa da un nuovo punto di vista.

Osservavo infatti le fotografie inserite nel post n 1382 delle scienziate che sono state escluse dall’assegnazione del premio Nobel , e ho pensato che il periodo storico in cui hanno operato è all’incirca lo stesso in cui ha lavorato Madame Curie.

Lei però ebbe miglior fortuna, perché di nobel ne ottenne ben due: il primo nel 1903 con il marito Pierre Curie per la Fisica,  il secondo  nel 1911 con Henry Becquerel per la chimica. Fu anche la prima donna ad ottenere una cattedra alla Sorbona, subentrando nel ruolo dopo la morte del marito Pierre .

E' questo aspetto della storia di Madame Curie,   il suo rapporto con il marito, che mi è apparso particolarmente interessante: una intesa e una complicità a 360 gradi, nella vita professionale non meno che in quella domestica.  Ecco infatti quello che lei stessa scrisse al riguardo:

Divenne un serio problema come prenderci cura della nostra piccola Irene e della nostra casa senza abbandonare le mie ricerche scientifiche. Tale rinuncia sarebbe stata molto penosa per me, e mio marito non voleva neppure pensarci, egli usava dire che aveva preso una moglie  per dividere tutte le sue preoccupazioni. Nessuno di noi due prese in considerazione di abbandonare qualcosa che era così importante per entrambi. [omissis] Così, la stretta unione della nostra famiglia mi permise di far fronte a tutti i miei doveri.”

Se dietro un grande uomo capita spesso di vedere una grande donna, per una volta tanto dietro una grande donna si é trovato un grande uomo.

   

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Una cosa da donne

Post n°193 pubblicato il 20 Marzo 2007 da lilith_0404

immagineScrive SandaliAlSole nel suo post 1380 : “…si è parlato di quelle realtà, nelle quali l'evento del parto non conosce l'ospedalizzazione del mondo occidentale e continua a essere cosa da donne.”.

Leggendo, penso che non é passato poi così tanto tempo da quando la normalità era questa anche da noi. E mi torna in mente un pezzo che scrissi un paio d’anni fa per il blog Il Museo dei Ricordi. Appunto:

Un affare di donne.

Il 30 di luglio il sole è caldo e le giornate lunghe, e a nove anni si sanno inventare mille espedienti per restarsene fuori a giocare, anche se da sola, perché i miei fratelli stavano in colonia in montagna . Mi sembrava soltanto strano che nessuno mi chiamasse per rientrare.

Quando mi sembrò che fosse ora di cena, ritornai da sola in casa.

In bagno una zia stava risciacquando dei panni nella vasca, acqua rossa in cui galleggiavano lenzuola imbrattate di sangue. Non capivo cosa fosse successo, non capivo perchè fosse la zia a sbrigare quel lavoro in casa mia, non capivo perché non si vedesse mamma in giro.

‘E’ in camera ’ , mi dissero .

Qualche giorno prima era venuta una signora che non conoscevo, e quando se ne era andata mamma aveva riposto una scatola di cartone nel comodino in camera sua.
‘Cos’è ?’, avevo chiesto curiosa
‘Non è una bella cosa ' , aveva risposto brusca mia mamma, 'è un pacco ostetrico.’.
Non conoscevo quella parola, ma non insistetti , perché ormai mamma si era allontanata, come a chiudere il discorso.

La porta della camera era aperta, altre donne erano già dentro, e si scostarono per lasciarmi passare. Mamma era nel letto, mi sorrise vedendomi entrare, sentivo le voci delle donne ma non capivo quello che dicevano, e qualcuno mi spinse vicino ad una culla che non c’era fino al giorno prima : un faccino tutto rosso e grinzoso, con gli occhi chiusi come se ancora non avesse capito come tenerli aperti e due manine chiuse a pugno che sbucavano dalle maniche troppo lunghe di un camicino. E seppi di avere un altro fratello

Era il 1968.

      

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Un rito d'altri tempi (2)

Post n°192 pubblicato il 16 Marzo 2007 da lilith_0404
 

immagineEntrando, una zaffata di tutti gli odori che si mescolavano all’interno, di carne cruda, sangue, vino, spezie, mi investiva e dovevo farmi forza per reprimere la nausea e oltrepassare la soglia.

Sui tavoli i mucchi di carne macinata venivano opportunamente salati e aromatizzati con diverse spezie, e mescolati con le giuste parti di grasso o di cotenna da braccia maschili  che lavoravano alacremente, le maniche della camicia rimboccate fin sopra il gomito, seguendo ricette e dosi codificate in un disciplinare non scritto ma consolidato da generazioni da cui si sarebbero ottenuti, a seconda dei casi,  salami, cotechini o salsicce da mangiare fresche.

Se lavorare la carne era compito degli uomini, le donne erano tuttavia indispensabili per cucire con ago e filo i budelli che mano a mano venivano riempiti con l’impasto preparato,   e i bambini aiutavano a legare  i salami, ormai imbragati nella rete di spago che li doveva tenere in forma,  alle lunghe pertiche a cui sarebbero rimati appesi fino a  che fossero abbastanza asciugati per essere consumati.

Non tutta la carne veniva macinata:alcuni tagli venivano usati interi, per farne coppe e pancette. La lonza anche veniva tenuta da parte,  e  insieme al fegato veniva spartita tra le diverse  famiglie che avevano fornito il proprio aiuto.

Dall’alba  al tramonto, il rito veniva officiato compiendo in successione tutti i gesti stabiliti dalla consuetudine,  anche se alcune operazioni si protraevano poi anche nei giorni successivi: il sangue che era stato possibile raccogliere veniva cotto a formare ‘la torta di sangue’ di cui parlavo nel post di Tanksgodisfriday;  il grasso che non veniva usato per i salami nei giorni seguenti sarebbe stato sciolto a fuoco lento per farne strutto e ciccioli; le ossa  pur essendo state scarnite venivano fatte bollire per non sprecare la carne che il coltello del macellaio non era riuscito a togliere. Quello che non si fosse riusciti a consumare in famiglia, veniva suddiviso tra i vicini, soprattutto quelli che il maiale non potevano permettersi di ammazzarlo.

Un po’ alla volta però le abitudini alimentari sono cambiate, il salame ora si prende già affettato in vaschette di plastica al supermercato, e anche la famiglia non è più quella che era. 

Ci pensavo domenica, quando mia sorella ha portato a mia mamma un cotechino, che un amico contadino le aveva regalato.  Mamma l’ha rifiutato: saremmo state solo io e lei a mangiarlo, e ci sarebbe toccato mangiare cotechino per tutta settimana per consumarlo. Ormai, del maiale non sapremmo più che farcene.

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Un rito d'altri tempi (1)

Post n°191 pubblicato il 16 Marzo 2007 da lilith_0404
 

immagineDel maiale non si butta niente: questo modo di dire mi è tornato in mente mentre scrivevo il commento al post n.403 di Tanksgodisfriday, ricordando un rito che al tempo in cui io ero bambina veniva ancora officiato con la partecipazione corale non solo della famiglia, ma di tutto il vicinato che condivideva l’abbondanza che regnava per quel giorno nella casa.

Il maiale inizialmente  veniva allevato in proprio, in un recinto posto in fondo al cortile, vicino alle gabbie dei conigli e al serraglio delle galline. Ma in seguito si preferì acquistarlo già grosso, e allora di buon mattino, nel giorno stabilito, mio padre andava  a prenderlo dal contadino che lo aveva venduto.

Non ho mai assistito alla sua uccisione, perché era una operazione a cui presiedevano solo i maschi di casa, sotto la guida del ‘masadur ’, il macellaio che dopo aver sezionato la bestia avrebbe anche diretto le operazioni di lavorazione della carne e di confezionamento dei salami.

 Io capivo che era il giorno in cui si sarebbe ucciso il maiale perché al mio risveglio bambino la casa era pervasa da un acre odore di aceto bollito, che mi toglieva il fiato, e che serviva per pulire li budelli nei quali la carne macinata e speziata sarebbe stata insaccata per diventare salame.

Da dentro casa sentivo prima i versi disperati dell’animale che cercava invano di sfuggire alla sorte che lo aspettava, poi le strida cessavano, e nel silenzio che seguiva dalla finestra lo vedevo appeso a testa in giù tra i due pilastri del portico della casa di mia nonna.

Io ero sempre contenta di avere con la scuola un ottimo pretesto per defilarmi velocemente, e quando tornavo da scuola solo se mi chiamavano mi lasciavo persuadere a mescolarmi alla  vociante confusione della  grande cucina della casa di mia nonna in cui, in un ’allegro bailamme  ognuno collaborava secondo le proprie capacità al risultato finale.

(...continua)

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La lezione della storia

Post n°190 pubblicato il 12 Marzo 2007 da lilith_0404
 

immagine“Se non ti avessi ‘imparata’ appena un po' potrei anche pensare che questa marcia, voi donne, aspiriate a farla da sole.”

Così mi scrive Upmarine nei commenti al post precedente e se il primo impulso è stato di rispondere, come ho fatto, che da parte mia non c’è mai stata questa intenzione di ‘escludere’ gli uomini dalla vita delle donne, sorprendendomi che qualcuno potesse ipotizzare una intenzione simile,  riflettendo con più calma sulla cosa, mi sono resa conto che ciò che Upmarine teme  in realtà è esattamente quello che è accaduto all’umanità negli ultimi tre o quattromila anni, solo che a voler marciare da soli non erano le donne ma gli uomini.

Senza voler risalire ad epoche troppo remote, e limitando l’analisi a fatti abbastanza vicini nel tempo, la conquista dei diritti civili che a partire dalla rivoluzione francese ha portato alle moderne forme di democrazia, è stata sempre solo una conquista degli uomini per gli uomini, e le donne han sempre dovuto combattere una battaglia separata, contro i loro stessi compagni per ottenere che tali diritti venissero riconosciuti anche a loro.

La Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789 si chiama così, non perché si riferisca all’uomo in quanto ‘essere umano’, ma per il fatto che si riferisce all’uomo in quanto ‘maschio’ della specie umana. Tant’è che le donne han dovuto promulgarne un’altra, due anni dopo, nel 1791. 

Il diritto di voto è stato ottenuto un po’ in tutta Europa nell’ottocento, ma è stata una conquista degli uomini  solo per gli uomini, e alle donne è stato esteso solo in epoche recentissime: in molti paesi europei, compresa l’Italia , solo nel secondo dopoguerra; e una donna venne chiamata per la prima volta a far parte di un ministero, quello del lavoro, in Francia,  solo nel 1920.

L’accesso  all’istruzione, che per gli uomini esiste da sempre, per le donne è talmente recente che si conosce nome e cognome della  prima donna al mondo che è riuscita a laurearsi: fu Elena Lucrezia Cornaro, nella seconda metà del secolo XVII,  in Italia ( ma da quanti secoli esistevano le università per gli uomini?). E nella evoluta Inghilterra solo nella seconda metà del  XIX secolo, precisamente nel 1870, si ebbero le prime due donne laureate in medicina.

“Sono convinto che sarebbe un bell'augurio da fare a tutta l'umanità quello di un mondo in cui uomini, donne, bambini ed ogni altro essere vivente marciassero tutti insieme verso un futuro migliore”, scrive Upmarine.

Ne sono convinta anche io, ma é agli uomini che bisogna dirlo.

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La lunga marcia

Post n°189 pubblicato il 08 Marzo 2007 da lilith_0404
 

immagineSulla prima pagina de Il Sole 24 ore di ieri c’è un articolo a firma Casarico e Profeta dal titolo: “L’8 marzo? Non c’è nulla da festeggiare”. La tesi sostenuta dai due autori è che nonostante i progressi compiuti  da quando nel lontano 1910 la festa dell’8 marzo venne istituita,   ci sia ancora molta strada da percorrere per arrivare ad una effettiva condizione di parità sociale tra i due generi.

Citano però una ricerca compiuta da Claudia Goldin relativamente agli Stati Uniti, secondo la quale dopo una fase evolutiva caratterizzata principalmente da un aumento della partecipazione femminile alla forza lavoro, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso si è attuata una specie di rivoluzione silenziosa, legata principalmente alle scelte compiute nel campo dell’istruzione, che a cascata si sono ripercosse poi sulle altre scelte di vita: infatti la migliore istruzione ha portato ad avere maggiori aspettative professionali e a spostare in avanti l’età del matrimonio e l’età in cui avere figli.

Oggi, anche in Italia, nella fascia di età dai 25 ai 29 anni sono laureate il 14,3% delle donne contro il 12,3% degli uomini. 

Mi torna alla mente un film con Ingrid Bergman di 50 anni fa, La locanda della sesta felicità. E' ambientato nella Cina prerivoluzionaria e c’è una scena dove una vecchia si toglie le fasce che le avvolgono i piedi, per convincere le giovani mamme a non infliggere quella tortura alle loro figlie.

I piedi delle bambine infatti venivano mantenuti innaturalmente piccoli perché venivano appositamente rotti, colpendoli con pesanti pietre e impedendo poi che si ricomponessero tenendoli fasciati strettamente per tutta la vita. I piedi restavano piccoli, ma la possibilità di camminare ne restava compromessa irrimediabilmente per sempre.

Nel film, le bambine che grazie all’intervento della vecchia non hanno dovuto subire quella pratica atroce, si potranno salvare dall’invasione Giapponese  con una lunga marcia attraverso le montagne.

Nella stessa pagina, sopra all’articolo di cui parlavo all’inizio, c’è una fotografia in cui si vedono insieme Ségolène Royal e Angela Merkel. La seconda è cancelliere di uno dei principali paesi dell’Unione Europea, la prima è in corsa per diventare presidente di un altro.

Osservandole penso che per secoli la mancanza di istruzione é stata per le donne l'equivalente sociale dei piedi fasciati. Ora le bende son state eliminate e la marcia é avviata.  Molta strada resta da fare, ma ora abbiamo piedi per camminare.

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Hic sunt leones

Post n°188 pubblicato il 04 Marzo 2007 da lilith_0404

immagineHic sunt leones: questa scritta nelle antiche carte geografiche indicava il confine della terra conosciuta: cosa ci fosse oltre, non era dato sapere, e si liquidava la questione immaginando che fossero terre selvagge, dominio di bestie feroci.

La frase, che ho trovato scritta nel blog di Odio_via_col_vento, per indicare i blog  ospitati su altre piattaforme diverse da Libero e che lei ha trovato interessanti , mi ha fatto sorridere, perché lungi dall’incitare ad andarli a visitare, sembra suggerire che è meglio tenersene alla larga.

La cosa mi ha portato a riflettere sul fatto che nonostante ci abbia provato alcune volte, non mi sono mai appassionata a blog che non fossero di Libero. Anche quando alcuni blogger che seguivo su Libero hanno annunciato di trasferirsi, questo fatto è stato il motivo che mi ha indotto a smettere di frequentarli anziché un incentivo a seguirli, come succede a volte con amici che per lavoro o altro cambiano città e si allontanano e con i quali, dopo un po’ non si scambiano più nemmeno gli auguri di natale.

I link che in alcuni casi mi ero annotata per blog che ad una prima visita erano sembrati interessanti, come ad esempio SiFossiFoco che avevo trovato nel blog di VegaLyrae ,son rimasti ogni volta inutilizzati fino ad essere definitivamente cancellati.

Alla fine, non so se per pigrizia, o per mancanza di intraprendenza,son solo quelli di Libero i blog che mi piace frequentare, e questo benché mi sia capitato di leggere a volte   considerazioni non molto lusinghiere circa il livello medio dei nostri blog.

Pensandoci un po’ sono giunta alla conclusione che quello che mi manca quando vado nei blog ‘oltre confine’ è la reciprocità. 

Ad esempio, una cosa che sembra un dettaglio e che invece secondo me ha una importanza determinante, è il fatto di riconoscere che qualcuno che conosci  è passato a leggere, anche senza che abbia lasciato commenti.  Il nick, che compare nell’elenco dei visitatori, è come un biglietto da visita lasciato in ingresso  e crea continuità di rapporto.

Negli altri blog, questo mi manca, sicché come il pesciolino rosso  della storiella mi limito a girare in tondo  nella mia boccia di vetro, bastandomi sapere che è appoggiata in una vasca più grande, e che se solo volessi potrei prendere il largo.

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Tirando le somme

Post n°187 pubblicato il 01 Marzo 2007 da lilith_0404

immagineO giorni, o mesi che andate sempre via,
sempre simile a voi è questa vita mia.
Diverso tutti gli anni, ma tutti gli anni uguale,
la mano di tarocchi che non sai mai giocare,
che non sai mai giocare.

Probabilmente scandire il trascorrere del tempo, intervellarne l’uniforme decorso con ricorrenze che servono a misurare il cammino percorso e quello ancora da percorrere, è stato uno degli eventi fondamentali di ciò che chiamiamo processo di civilizzazione.

Difficile, perciò, incontrando uno di questi cippi posti sul nostro tragitto, resistere alla tentazione di guardare indietro alla strada percorsa, per capire valutando le cose in prospettiva quale sia la direzione verso cui si sta andando. E questo non solo per le questioni importanti e fondamentali, ma anche per situazioni più leggere, come può essere la scrittura di un blog.

E’ il motivo, credo, per cui il centesimo post ( e i multipli di cento) viene atteso e festeggiato, con espressione di auguri da parte dei frequentatori del blog e degli amici dell’autore. E spesso quella ricorrenza quasi casuale diventa l’occasione per tirare le somme e fare il bilancio di una esperienza.

E’ quello che è capitato anche a me, la scorsa settimana, quando ho ‘festeggiato’ il secondo compleanno di questo blog.

Ho ripensato, come ha fatto nei giorni scorsi anche Falco58dgl nel suo post n.100, a come si è evoluto nel tempo il mio modo di essere presente: all’inizio  partecipavo solo ai commenti, senza avere un mio blog. Solo la mancanza di espansività del mio carattere mi impediva a quel tempo di abbandonarmi ad un entusiasmo come quello che mostra  Upmarine nel suo post n.44,  e  da più parti mi veniva rivolto l’invito ad aprire un blog a mia volta: ‘così poi possiamo venire anche noi a commentare da te’, mi diceva più d'uno. 

A distanza di due anni mi rimane il sospetto che fosse un modo gentile per indurmi ad essere meno invadente, poiché quasi fin da  subito le persone che mi dicevano questo, pur senza aver mai ‘formalmente’ rotto i rapporti, si sono eclissate.

Altre però ne sono arrivate, e anche se il tempo che ultimamente posso dedicare si è drasticamente ridotto rispetto a due anni fa, continuo a stare qui, e  desidero ringraziare tutti coloro che con la loro presenza mi rendono gradevole ed interessante esserci.

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