A Room of One's Own
This is my letter to the world, That never wrote to me, The simple news that Nature told, With tender majesty. Her message is committed To hands I cannot see; For love of her, sweet countrymen, Judge tenderly of me!
Messaggi di Dicembre 2006
Nella risposta al commento di TerzapPaginaPress al mio post precedente mi sono ispirata al ricordo di un singolare personaggio di cui mi parlava mio padre, da bambina, e di cui,crescendo, mi è capitato di leggere sui giornali locali. Forse è stata quella parola strana:’Vacuolunio’, che non avevo mai sentito, e che per associazione di idee evoca l’astronomia, ma in modo ironico e non serio . E nei ricordi di mio padre, che lo aveva conosciuto, a quell’astronomo i ragazzini davano sulla voce, confutando le sue teorie semplicemente mettendo dell’acqua in un piccolo paiolo e facendolo girare velocemente: benché la pentola si capovolga l’acqua rimane dentro, mi diceva papà , ma l’astronomo ambulante si risentiva di essere messo in ridicolo da un gruppo di ragazzini, e li inseguiva con il bastone alzato, senza per altro riuscire mai a prenderli. Quell'espressione 'la terra non gira, o bestie, con cui era abituato ad apostrofare il suo pubblico é passata in proverbio, per ridere bonariamente di chi pur senza averne la capacità crede di enunciare cose molto intelligenti. E spero di essere abbastanza autoironica da dirmela da sola. |
Non ho mai avuto un buon rapporto con i regali. Né con quelli da fare né con quelli da ricevere Probabilmente è perché sono un po’ spilorcia, e non sopporto che si sprechino soldi per cose inutili, e spesso un regalo, anche quando in astratto potrebbe essere utile, in pratica non lo è nel modo giusto. Come quando mi regalano libri, che in teoria sono cose utilissime, ma essendo di un genere che non mi piace leggere resteranno intonsi ad impolverarsi sullo scaffale. O come quando mi regalano capi di abbigliamento, che però non indosserò perché non rientrano nel mio ‘concetto’ di cose che mi piace portare. Sapendo come son difficile io da contentare, mi figuro che altrettanto lo siano anche coloro a cui i regali li devo andare a fare, e vado ogni volta in crisi all’idea che si verifichino situazioni come quelle gustosamente tratteggiate nei post 229 di Teatromagno Fino a qualche anno fa, il problema non si poneva in modo tanto pressante, perché nella mia famiglia non usavamo scambiarci regali. Da bambini gli unici regali erano quelli di santa Lucia, che ovviamente agiva su commissione, perché la mamma discretamente si informava su quali fossero i nostri desideri. Poi, crescendo, ero adolescente quando sono arrivati i primi regali di compleanno, ma da parte delle amiche, più che della famiglia. Solo in tempi molto recenti, sei, sette anni, è cominciata la moda di scambiarci regali per Natale: è stato da quando abbiamo cominciato a riunirci tutti insieme per il pranzo di Natale, con tutte le famiglie dei fratelli sposati. Ma curiosamente, i regali erano sempre solo per le donne della famiglia. Quest’anno, forse per ricomporre, più o meno inconsciamente, un dissidio che avevo avuto nei mesi scorsi con mio fratello, ho messo insieme agli altri un regalo anche per lui e la cosa è stata subito notata come una stranezza da una delle mie sorelle. Nella mia famiglia anche ricevere regali sembra che sia una ‘cosa da donne’. |
"Dio di misericordia Ho letto diversi post, di diverso tenore, riguardo alla presa di posizione della Chiesa che ha negato le esequie religiose a Welby. Il mio pensiero al riguardo ho già avuto modo di esporlo nei commenti al blog di SandaliAl Sole, ma voglio riassumerlo anche qui. Io mi indigno, mi scrive Ossimora, e non posso evitare di chiedermi : ‘per cosa ?’ ‘E' stata una scelta politica, da parte della Chiesa, che in altre occasioni ha concesso esequie religiose a persone la cui vita e le cui azioni non potevano certo definirsi nel segno del credo’ mi scrive SandaliAlSole. E’ verissimo, non posso che convenirne e molto probabilmente sarebbe stato lo stesso anche con Welby se non si fosse suonata tanto la grancassa da parte dei media intorno alle sue prese di posizione.Con tutto il rispetto per Welby e per la sua sofferenza come individuo, lui ha fatto di se stesso e della sua sofferenza un simbolo, il simbolo di una lotta che va in direzione diametralmente opposta alla posizione che la Chiesa ha fino a qui sostenuto. Avendo collocato le proprie scelte sotto i riflettori al centro della scena, il suo non era più un caso personale, ma un caso politico, e come tale è stato trattato: consentire alle esequie religiose sarebbe stato come un avvallare quelle scelte. Oceano_Irrazionale scrive nel suo post che prima vedeva solo i burattini, ora vede anche i fili che li muovono. Ecco, anche io non posso evitare di vedere i fili, e so che tirando il tal filo si muoverà il tal braccio, e muovendo il tal altro filo si muoverà la tal altra gamba. Io penso che chiedere le esequie religiose sia stato un espediente per poter poi strumentalizzare la risposta che é stata ottenuta. Mi sembra di assistere ad una partita a scacchi, dove chi muove mira a indurre l'altro ad una certa mossa per potergli dare scacco. E intanto Welby è morto, e questo 'No' che chi ha presentato la richiesta di esequie religiose sapeva che sarebbe arrivato fa gioco a coloro che da questa morte vogliono ricavare il massimo dell'impatto per la battaglia che stanno combattendo. Una pantomima, in cui ognuno recita la propria parte, come da copione. Tutto legittimo, ma ai miei occhi anche tutto molto triste, perché quella con cui si sta giocando dopotutto é la morte di un uomo. Fortunatamente, Welby da tutto questo è ormai fuori. Se, come sostiene Ossimora, era credente, la sua partita ora la sta giocando col padreterno, il quale credo e spero che abbia criteri di giudizio diversi da quelli degli uomini. |
Post n°164 pubblicato il 21 Dicembre 2006 da lilith_0404
Quanti baci scambieremo a Natale? Minimo due, ma a volte anche tre, moltiplicato per le n persone che si incontreranno… ecco un problema che vedrei bene sviluppato sul blog di Thanksgodisfriday. Chè non starebbe male accanto al post della maglietta che ‘fa’ gli abbracci. Quella maglietta con i suoi abbracci così ‘impersonali’, mi ha fatto pensare, per associazione di idee, ad un personaggio, di cui ho letto la storia tanto tempo fa, che aveva la fobia del contatto fisico. Parlo di Lawrence d’Arabia, una figura di eroe di cui, all’epoca ero poco più che bambina, mi aveva colpito moltissimo questa caratteristica che aveva, di rifiutare di essere anche solo toccato dalle altre persone.Mi sembrava una dimostrazione di forza interiore, questo ‘non aver bisogno’ del contatto con gli altri. Nella mia famiglia non siamo molto espansivi, ma emulando il mio eroe cominciai a sfuggire anche quelle poche occasioni che c’erano di abbracciarsi, se c’era un bacio da ricevere mi ritraevo, se c’era un abbraccio da dare mostravo di non accorgermene. Un po’ alla volta chi mi conosceva ne prese atto. Sapevano che non gradivo e si astenevano. Mi feci una reputazione di austerità, e quando arrivava il mio turno anziché un abbraccio parenti e amici si limitavano a un sorriso. C’é voluto un pezzo per liberarmi di questo ‘abito’ che mi ero messa, per tornare a dare e ricevere baci e abbracci. Non proprio così gratuitamente come nel video che sta girando in questi ultimi tempi su internet, e di cui parla anche Bluewillow nel suo post n. 179 .Ma a Natale ai parenti che verranno a casa l’abbraccio non mancherà, e due baci a testa, meglio ancora tre. |
“ma dalle 4 alle 8 del mattino ci davamo dentro...e a volte il gioco si rompeva proprio in quel lasso di tempo...” Il commento di Magdalene57 al suo post n.800 mi riporta alla delusione di una mattina di tanti anni fa, quando il mappamondo che avevo appena trovato tra i vassoi di dolci e gli altri regali arrivati per i fratelli, nella luce ovattata e strana di quella mattina in cui ci si alzava molto più presto di quanto si fosse abituati a fare gli altri giorni, il mappamondo che tanto avevo desiderato e che non finivo di far girare e di osservare incantata, bellissimo ai miei occhi con la sua luce che si accendeva dentro a illuminarlo, non so come, ma mi cadde a terra e si ruppe. Santa Lucia era davvero una notte speciale, come racconta Magdalene, non solo per i bambini, ma per tutta la famiglia, ed era preparata e accompagnata da una serie di riti che contribuivano a creare l’attesa e l’incanto. La leggenda di Santa Lucia racconta che era stata accecata, ed è perciò che viene considerata protettrice della vista: quel giorno non si poteva mancare alla funzione che veniva celebrata in chiesa e che avrebbe messo per tutto l’anno a seguire i nostri occhi e la nostra vista sotto la protezione della Santa. Poi, la tradizione voleva che quella sera i ragazzi andassero in giro per le strade del paese a ‘sgùrà le cadene’ e a ‘sunà le tole’, cioè a lucidare le catene e a suonare tolle. Le catene erano quelle che una volta pendevano dalla cappa del camino e che servivano a reggere il paiolo in cui si cucinava la polenta. Annerite dalla fuliggine e dal fuoco, in quella sera dovevano essere trascinate per le strade fino a diventare lustre. Le tolle invece erano pentole di alluminio, o coperchi di pentole, che venivano battuti uno contro l’altro per far rumore. Ricordo come tendevamo l’orecchio, da dentro casa, aspettando di sentire lo strepito del gruppo dei ragazzi che passavano sotto le finestre, banditori che annunciavano il prossimo arrivo della santa con il suo asino carico di doni. Fuori dalla porta poi, doveva essere preparato un po’ di fieno e dell’acqua, perché l’asinello potesse rifocillarsi, e per ringraziare di questo gesto caritatevole Santa Lucia avrebbe lasciato in quella casa un dono per ciascun bambino. A creare l’incanto del tavolo su cui i regali erano disposti, erano soprattutto i vassoi con i dolci e la frutta. Le caramelle tradizionalmente erano quelle di zucchero, e la frutta secca in abbondanza, come ricorda Magdalene, ma soprattutto non potevano mancare i mandarini: il loro profumo è rimasto per me il profumo di Santa Lucia. click |
Post n°161 pubblicato il 10 Dicembre 2006 da lilith_0404
“Ho un problema” Tempo di regali. Tempo di auguri. E tempo di desideri. ‘Se trovassil il genio della lampada, quali desideri vorresti che esaudisse?’ chiede Oceano_irrazionale nel suo post 95. Un bel dilemma. Come ho scritto nei commenti al post citato, spero di non trovarla mai la lampada di Aladino, perché sono sicura che la sprecherei. E già con questa speranza un desiderio me lo sono giocato. Il fatto è che io vado già in crisi la notte di san Lorenzo, perché se mi capita di vedere una stella cadente, non so che desiderio esprimere. Qui addirittura ne dovrei pensare tre in un colpo solo. Il mio cervello è molto più limitato, più di una cosa alla volta non ce la fa a pensarla. E di desideri poi, già riuscire a realizzarne uno sarebbe tanto. Che se uno deve avere un desiderio poi deve anche impegnarsi a realizzarlo, altrimenti, che lo desidera a fare? E se devo impegnarmi, io lo faccio anima e corpo, e non c’è più altro per me, finché non l’ho ottenuto. Ecco perché non può essercene che uno solo per volta. Ma se proprio devo farne un elenco, credo che opterò per quello che propone Gianni Rodari, nella sua filastrocca : ….voglio un gennaio col sole d'aprile, Se voglio troppo, non darmi niente, |
Post n°160 pubblicato il 07 Dicembre 2006 da lilith_0404
“Una mia amica fa lo stesso […] Quando sente o vede uno che le piace, ride.” Questa frase, letta nel post 3592 di scalzasempre mi riporta alla memoria un commento di mia mamma, tanti anni fa, dopo che avevo ricevuto una telefonata . Invece di chiedermi, come mi aspettavo , con chi fossi al telefono, mi disse ‘ si capisce subito quando ti telefona R. Ridi sempre, quando al telefono è lui.’ Sapevo che aveva ragione: ridere era la gioia che mi nasceva dentro a sentirmi innamorata, ridere era il modo di dimostrargli che ero contenta di sentirlo, ma ridere era anche il modo di curare la tristezza che avevo letto nei suoi occhi quando lo avevo conosciuto. Mi riconosco in quello che scrive Pro_mos a proposito di Elena, la protagonista del suo racconto nel post.n. 53, quando pensa che ‘avrebbe potuto far ridere quegli occhi’. Leggendolo ricordo la ricerca di cui parlava bluewillow in un post di qualche settimana fa, e penso che anche se ci sono ferite che teniamo molto ben nascoste, in fondo all'anima, gli occhi non sanno mentire. E se‘la vita è come uno specchio,ti sorride se la guardi sorridendo’ come scrive Linus99linus, quando si è innamorati per ridere basta un pretesto da nulla, anche un tavolino che balla è un motivo sufficiente per ridere insieme, alla fine la cosa brutta del disamore è non riuscire più a ridere, come dice bene Liberante nel suo post 282, in cui la protagonista si sveglia e un pensiero molesto, importuno, doloroso, le occupa la mente: 'Lui non si diverte più con me.’ "Prenditi tempo per ridere, |
Non amo le manifestazioni di piazza. Non mi piace il tono, sempre troppo enfatico, e troppo urlato, per sovrastare i rumori di contorno, dei discorsi che vi si tengono. Capisco che siano un utile momento di aggregazione, che creino un senso di appartenenza e di condivisione di idee, e che siano un formidabile strumento per dimostrare il sostegno popolare ad una causa o la forza dell’avversione a determinati progetti o iniziative, ma non riesco a farmi piacere i toni sempre un po’ demagogici che quasi inevitabilmente usa chi vi parla per esaltare l’entusiasmo dei partecipanti. E questo in generale, è il sentimento che mi ispira ogni manifestazione di piazza. Nel caso della manifestazione di sabato, poi, sentire affermazioni palesemente false accolte da una folla osannante ha ulteriormente aumentato il senso di fastidiosa irritazione che generalmente provo in queste occasioni. In uno spezzone del discorso dell’ex presidente del consiglio trasmesso dal tg l’ho sentito dichiarare di volere una università che fornisce lauree di qualità che aprono le porte al mondo del lavoro. Non ho potuto evitare di chiedermi a chi dunque dobbiamo la situazione attuale, quale emerge da una recente ricerca dell’Isfol, in cui una larga percentuale di laureati che si sono immessi nel mondo del lavoro negli ultimi anni vivono una situazione di precari a vita. Li conosco dunque solo io i laureati che a trent’anni si barcamenano ancora tra uno stage e un contratto a progetto che non si sa ‘se’ e ‘come’ verrà rinnovato alla scadenza? E mi sono chiesta se nessuna delle migliaia di persone presenti nella piazza avesse in famiglia un lavoratore ‘a progetto’ e si sia resa conto della falsità di ciò che stava ascoltando. ‘Tu cosa proporresti?’ mi ha chiesto un amico. Non lo so, le proposte mi aspetto che le faccia chi si presenta chiedendo il mio voto per governare. E mi aspetto che siano proposte sensate e reali, non frasi ad effetto, pronunciate per fare scena. |
Post n°158 pubblicato il 02 Dicembre 2006 da lilith_0404
Fino a poco tempo fa non immaginavo che si potesse insegnare la ‘calligrafia’. Pensavo anzi che ciascuno avesse il suo modo di scrivere, a seconda del suo temperamento. Vero é che nel Davide Copperfield di Dickens si racconta che la moglie dell’amico avvocato si esercita a scrivere nello stile delle cancellerie, ma non avevo collegato questo fatto ad una attività professionale, finché non ho letto nel post di SandaliAlSole di questo lavoro svolto in passato dalla mamma. Sentendola ricordare i set di pennini diversificati a seconda dello stile della lettera da scrivere, mi è tornata in mente la storia dolceamara raccontata da un bel film di tanti anni fa , ‘Policarpo De Tappetti, ufficiale di scrittura’, che avvalendosi di un cast di tutto rispetto, da Renato Rascel a Peppino de Filippo, Carla Gravina ed Ernesto Calindri, narra la battaglia di un piccolo impiegato assunto presso un ministero con mansioni di scrivano contro l’adozione della macchina da scrivere negli uffici pubblici, negli ultimi anni dell ’800. Alla fine il suo orgoglio di calligrafo dovette cedere di fronte alla dura legge che gli imponeva di convertirsi alla scrittura a macchina pena restare senza lavoro. Ma il film si chiude con il piccolo impiegato che professa nonostante tutto il proprio amore alla sua vecchia penna con pennino. Una battaglia persa, quella raccontata nel film, ma in qualche modo riscattata proprio oggi che la scrittura non avviene neppure più su supporti ‘concreti’ ma viene affidata ai caratteri telematici dei file e delle e-mail. I sistemi di videoscrittura permettono infatti di scegliere tra caratteri e stili che una volta venivano faticosamente appresi in ore di paziente esercitazione. Anche se la realtà é quella che i signori del Sundays hanno fotografato nella loro inchiesta, e si sta disimparando perfino a scrivere in corsivo, la 'bella calligrafia' si può ottenere semplicemente con due click sull'icona di 'formatta documento'. |
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