Creato da black_rose_and_moon il 21/07/2011

Astral Night Reverie

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Wrong Love

Post n°22 pubblicato il 09 Dicembre 2011 da oltre_ogni_suono
 

"E se un giorno partissimo per un'isola deserta e non tornassimo più tra la civiltà, ti piacerebbe?"
"Tesoro, è mai possibile che le tue crisi esistenziali coincidano sempre con i miei momenti di massima ispirazione?"
La sua risata risuonò per la stanza, poi comparve alle mie spalle e, dopo avermi scoccato un bacio acquoso sulla guancia, mi disse "Certo, perché proprio le mie crisi ti ispirano" e corse via lasciandomi sulla schiena tante gocce d'acqua.
Mi girai e vidi un asciugamano per terra e la sua testa fare capolino da dietro lo stipite della porta del mio studio.
Jessica aveva i capelli bagnati, era appena uscita dalla doccia, mi alzai di scatto e lei scappò verso la zona notte dell'appartamento. Rideva mentre correva, una risata cristallina e adorabile. Lei, tutta adorabile, una piccola dea bruna, la mia musa.
La trovai appoggiata alla porta chiusa della camera da letto e mi lanciò uno sguardo malizioso; mentre mi fermavo a pochi passi da lei, scappò di nuovo sparendo nella camera e sbattendomi la porta in faccia, la sentii ridere ancora.
Aprii la porta all'improvviso e la trovai nascosta tra le lenzuola, la raggiunsi tuffandomi nel letto ed afferrandola per i fianchi, lei rise nuovamente mentre le riempivo il collo di baci "Te l'ho mai detto che amo la tua risata?"
"Te l'ho mai detto che sei ripetitivo?" fu la sua risposta.

***

Un mattino di tre anni fa, quando non scrivevo ancora libri e venni trasferito in un nuovo ufficio, mi recai in un bar per fare colazione; fui servito da una ragazza bellissima, con un sorriso radioso, in netto contrasto con i suoi occhi, che emanavano tristezza e assenza.
I suoi capelli lunghi ondeggiavano, ad ogni passo, in volute castane, con la sua corporatura esile sembrava quasi una ragazzina, quel mattino mi servì lei, come i mattini successivi.
Rimasi colpito dal suo atteggiamento timido, quasi impaurito. Teneva gli occhi bassi mentre mi chiedeva cosa desideravo. Mentre ordinavo, intravidi tra i suoi capelli mossi una targhetta sulla divisa, c'era scritto il suo nome, Jessica.

Ogni mattina presi l'abitudine di andare in quel bar. Non so spiegare nemmeno io il perché provassi voglia di vederla, speravo di riuscire a conoscerla, sentivo dentro di me che era giusto così. Sin dal primo sguardo, mi aveva attratto qualcosa di misterioso in lei.
Giorno dopo giorno, Jessica riuscì a rilassarsi, ogni mattina mi sorrideva raggiante appena entravo nel bar, ma il suo sguardo era sempre cupo, come se qualcosa la turbasse.

Non dimenticherò mai uno di quei mattini: mentre lei mi stava versando il caffè, un tizio maldestro la urtò e il liquido mi finì sulla giacca; lei, mormorando scuse, andò a prendere uno straccio bagnato per pulirmi, si rimboccò una manica e fu in quel momento che vidi un segno nerastro sul suo braccio. Avvicinai una mano provando l'impulso di spostare ancora la stoffa della manica, lei ritrasse il braccio ma glielo trattenni: la sua pelle era piena di lividi; quando le chiesi come se li era procurati abbassò la testa e rispose che era caduta. Ma, pur non protestando, non le avevo creduto e iniziai ad osservarla meglio.

Con l'inizio della bella stagione Jessica smise di indossare le calze e, ogni qualvolta la sua gonna si sollevava o spostava leggermente al di sopra del ginocchio, scorgevo altri lividi sulle sue cosce. Mi ero affezionato a lei, mi turbava vedere tutti quei brutti segni sul suo bel corpo.

Poi, un giorno la incontrai per caso al parco, aveva l'aria di una creatura terrorizzata: seduta su una panchina, fissava un punto imprecisato a terra, tremando, gli occhi lucidi e le guance umide, a tratti si cullava. Mi avvicinai lentamente, mi sedetti e le cinsi le spalle con un braccio; riscossa, Jessica, provò a divincolarsi, ma la trattenni e la abbracciai. Dapprima, rigida, tentò ancora di liberarsi, ma poi si sciolse e mi abbracciò a sua volta, singhiozzando. Senza che glielo chiedessi, mi raccontò la storia della sua vita, aveva bisogno di sfogarsi, le diedi ascolto senza interromperla.

Jessica è nata in una famiglia dove la violenza era all'ordine del giorno. Il padre, alcolizzato, faticava a trovare un lavoro e passava spesso le sue giornate ad ubriacarsi. La sera tornava a casa pretendendo soldi e picchiando la moglie e la figlia. I soldi che Jessica guadagnava con il lavoro al bar servivano per sfamare la famiglia; la madre lavorava saltuariamente come inserviente o sarta, ma il padre pretendeva soldi per bere.
Più volte, Jessica, aveva cercato di convincere la madre a scappare di casa, ma era tutto inutile perché amava il marito nonostante tutto il male che le facesse.
Guardai quella povera ragazza negli occhi e le chiesi di venire a stare da me fin quando non avesse trovato una sistemazione migliore, lei abbassò lo sguardo dicendomi che non voleva lasciare la madre da sola con quel mostro, andò via per non fare tardi e dare al padre altri pretesti per scaricare la rabbia su di lei.

Quando, giorni dopo, la vidi lavorare con gli occhiali da sole, la aspettai all'uscita del bar alla fine del suo turno: il padre le aveva procurato un occhio nero. Doveva denunciarlo, non solo per il suo bene, ma anche per quello della madre. Mi rispose di no, ma la esortai a pensarci meglio.

 
 
 
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