Astral Night Reverie

Whisky And Ice

Era stata una giornata dura; Charles, ripensandoci, ancora scuoteva la testa: una relazione pronta solo all'ultimo momento, una riunione dall'aria troppo tesa, un cliente indeciso. Non c'era stato nulla di positivo a lavoro e, come se non bastasse, in metropolitana un ragazzo si era permesso di dire che non conduceva una vita felice, chi era quel tizio per giudicarlo? Charles aveva mantenuto la sua fredda calma e detto semplicemente che non gli mancava niente e che la sua vita non era certamente affare di uno sconosciuto. Ma il ragazzo, prima di confondersi tra la folla, aveva detto una frase che, ora, lo stava facendo riflettere un po' "Un giorno capirai cosa sono le cose vere e belle, ora non le hai". Alla fine, Charles concluse che era solo uno stupido ragazzino che giocava a fare il filosofo.

Dopo una giornata così irritante, non c'era niente di meglio che tornare a casa e rilassarsi: disattivò l'allarme del suo appartamento, girò le chiavi nella serratura della porta d'ingresso, entrò e si lasciò alle spalle lo stress.
Mentre riponeva ordinatamente i suoi abiti su una sedia accanto all'armadio, l'acqua scorreva nella doccia, riscaldandosi. Pochi attimi e il bagno si riempì di morbido vapore acqueo, Charles aprì la doccia e vi sparì dentro; un brivido attraversò la sua schiena quando l'acqua calda iniziò a bagnargli la pelle, chiuse gli occhi e si abbandonò a quel calore, lasciando che la giornata scivolasse via come le infinite gocce che, dal suo corpo, si riversavano nello scarico della doccia.

Poco più tardi era in salotto a versarsi del whisky in un bicchiere con tre cubetti di ghiaccio, poi accese lo stereo e si mise seduto in poltrona. Per lui era quella la parte più bella della giornata: le luci  di Manhattan si accendevano pigre sullo sfondo di un tramonto magico, lui era lì a guardarle sorseggiando il liquido ambrato e inspirando a fondo il suo profumo, mentre la musica soffusa lo cullava e lo lasciava senza pensieri.

Il suono del campanello lo riportò alla realtà, sbuffando andò alla porta chiedendosi chi diavolo fosse.
Victor, migliore amico nonché socio in affari, entrò raggiante in casa con una bottiglia di champagne e dei documenti.
"Cosa si festeggia?" chiese divertito Charles.
"Un affare d'oro!"
"Mi entusiasma che tu sia venuto fin qui a dirmelo di persona... fuori orario lavorativo"
"In questo progetto punto su di te e voglio parlartene in privato... perché aspettare a domani?"
"Ok. Di cosa di tratta?"
"Una coppia di ricconi vuole una mega villa lussuosissima. Appena ho incontrato questo tizio e mi ha parlato dei suoi progetti, ho pensato a te: se ti chiedono le scale al contrario, tu falle realizzare"
"Qualcosa non quadra... perché non te ne occuperai tu stesso?"
"Perché ho poco sangue freddo: quelli del paesino non vogliono che venga abbattuta parte del bosco per realizzare la villa, pur sapendo che è proprietà del nostro cliente. Noi siamo la quinta azienda alla quale si rivolgono, gli altri architetti sono scappati dinnanzi a quei cavernicoli con forcone"
"Ho capito tutto... quattro pazzi del villaggio non mi daranno alcun problema"
"Ecco perché sei il migliore"
Il cellulare di Victor emise un flebile bip, un messaggio venne immediatamente letto dal proprietario dell'apparecchio mentre diceva a Charles "Ora devo scappare, goditi lo champagne anche per me. Ricordati che dobbiamo incontrare il signor Williams domani mattina, ti farò aggiornare da Maggie".

Victor sparì veloce nell'ascensore, Charles richiuse la porta e tornò in salotto, riprese il suo whisky, ormai senza quasi ombra di ghiaccio, fece una smorfia e si riaccomodò sulla poltrona ad osservare la notte newyorkese che iniziava a scorrere frenetica oltre le enormi lastre di vetro. Poi iniziò a leggere i documenti che Victor gli aveva lasciato.