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Astral Night Reverie

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The Veil of Grief

Post n°57 pubblicato il 15 Aprile 2014 da black_rose_and_moon
 

Si era appena svegliata, Alessia, anche se non era esattamente la cosa che più desiderava in quel momento.
Un sottile filo di luce filtrava da una stecca rotta della tapparella che le invadeva il viso. Una smorfia accennata. Pian piano infilò entrambe le mani sotto le estremità del cuscino: seguì un gesto lento e solenne come una processione religiosa, con il quale lo rivoltò in modo che la testa vi scomparisse al di sotto.
Mentre protraeva l'apnea ai limiti dell'asfissia, Alessia sentì un respiro lungo provenire dalla sua sinistra. Fu un rumore profondo ed ancestrale, inquietante, come il preistorico sibilo di un rettile assopito.
Il cuscino non la protesse da quel richiamo e,  lentamente, tanti minuscoli fili pendenti iniziarono ad annodarsi nella sua dolorante testa. Le salì su il sapore della tequila e dovette reprimere l'acida nausea che le ricordò i tanti margarita che avevano allietato la notte precedente. 

Sollecitata da quei bagliori di lucidità, si fece forza ed alzò il capo, sorreggendosi con i gomiti ben puntati nel materasso. Gli occhi ridotti a sottili fessure riuscivano a malapena a mettere a fuoco la figura che aveva accanto: un ologramma sfocato, inconsistente come uno spettro in fuga nelle segrete di un castello. Quella figura le apparve d'improvviso maledettamente reale. Una matrice ronzante di punti sul reticolo della sua mente che ora acquistava peso, ossa, carne e muscoli.

Si alzò facendo meno rumore che poteva, Alessia.  Per il momento non voleva preoccuparsi di quella sagoma senza padrone che occupava l'altra metà del suo letto. Aveva troppo bisogno di una pastiglia per il mal di testa. Passò davanti allo specchio del corridoio - tappa obbligata per recarsi in cucina - e quello che si riflesse nei suoi occhi chiari come vetro al sole, fu un fantasma stanco ed invecchiato.
Calò la pastiglia in tre dita d'acqua e lo sfrigolare la inghiottì, la portò indietro a quel giorno. O meglio al giorno prima di quel giorno.

Socchiuse gli occhi ed i fotogrammi di quel pomeriggio scorsero nitidi davanti al buio della sua mente. Si rivide sorridente provare l'abito bianco, mentre sua sorella sistemava i risvolti dello strascico. Poi suonarono alla porta e le facce lunghe che vide portarono via i sogni che si nascondevano nelle pieghe del suo vestito da sposa.

"Ti senti bene?"
Una mano le si posò sulla spalla. Alessia riaprì gli occhi e, nella breve frazione di secondo in cui vide gli ultimi granelli di aspirina sciogliersi, inesorabilmente vinti dalla prepotenza dell'acqua, ripercorse lo stesso viaggio nel tempo che la tormentava ogni sera prima di addormentarsi. L'abito da sposa si era disciolto nel nulla come la pastiglia. Non  più truccata come una star del cinema, ora si sentiva smunta e sciatta, con indosso una maglietta nera "oversize" con il pipistrello di "Batman" sul petto.
"Sisi sto bene"
Desiderava liquidare quella scomoda presenza in fretta ed in modo indolore. Non aveva voglia di ascoltare nessuno in quel momento, men che meno quel semisconosciuto che si era ritrovata nel letto.
"Ti lascio qui il mio numero. Chiamami appena puoi"
"Sisi ti chiamo" sospirò come un automa senza emozioni.

Alessia sospese l'irritazione di quegli attimi su ognuno di quei "sisi", rapidi come lame nel buio. Ogni "sisi" soffiato via era uno spintone che scacciava il malcapitato più vicino all'uscita. Ogni "sisi" che le cadeva dalle labbra era un sassolino che deglutiva per calmare il bruciore che le infiammava lo stomaco.
Ben presto il semisconosciuto capì che non era esattamente ben desiderato dalla padrona di casa. Così la porta si chiuse, risucchiando dietro di se una scia di silenzio.
 
Rimasta finalmente sola, si guardò attorno, nel tentativo di riordinare ulteriormente le idee. Sul lavello della cucina c'era una malinconica bottiglia di vodka, vuota per metà. Ed un bicchiere. Dal rossetto stampato sul bordo dedusse che era il suo. Se ne versò un po' ed avvicinò il naso. L'odore pungente le pizzicò le narici. Strinse gli occhi e si allontanò.

Con il palmo della mano a tapparle il naso, si accasciò sullo sgabello del lungo tavolo all'americana che occupava il centro della cucina. Si tirò su i capelli dal viso e l'occhio cadde su quello che in un primo momento riconobbe come un libro. Era aperto con il dorso della copertina verso l'alto, come se qualcuno lo avesse lasciato a metà di una ipotetica lettura. Mise a fuoco il titolo e lesse: "Ale & Marco".
Altri fili pendenti nella sua memoria, come per incanto, tornarono a legarsi.

Era passato già un anno da quel maledetto giorno.
Alessia stava riguardando l'album delle loro foto, le foto di lei e Marco insieme. Giunta a metà non aveva retto ed era ripiombata nell'ennesima crisi. Aveva iniziato a bere, come ormai le capitava troppo spesso ultimamente. Poi, ubriaca, si era preparata in quattro e quattr'otto ed era uscita per locali. In uno di questi aveva incontrato il tipo con cui era finita a letto. Ecco, era andata così. L'ennesima notte brava, l'ennesimo tentativo di fuga dal passato.

"Di alcool si muore"
Si era detta un giorno Alessia. Se lo era gridato forte nelle orecchie. Voleva svegliarsi da quel torpore, da quel senso di apatia che dipingeva di bianco le sue giornate. Voleva tornare la bella ragazza che era un tempo. Rimettere su i chili che aveva perso, cancellare le occhiaie, stendersi lo stomaco con una bella tisana. Ma non ci riusciva. Era prigioniera del nemico, dei segni sull'asfalto, del lenzuolo che copriva la moto e non solo. Lui stava venendo da lei quel pomeriggio per salutarla prima del gran giorno. Voleva vederla un'ultima volta prima che l'abito da sposa l'avvolgesse. Lei non gli avrebbe aperto. Al suono del campanello avrebbe riso. "Ora non puoi vedermi" gli avrebbe cinguettato.

Non ebbe il tempo di imprimere quella visione sulla carta carbone della realtà. Ci fu ugualmente un rintocco di campanello, ma fu tetro come note d'organo. Facce scure, uomini in divisa. Le mani sfilarono i cappelli dalla testa per rispetto del dolore che, di lì a poco, avrebbe invaso la stanza come un gas verde, denso e mortale.
"Signorina, dobbiamo darle una brutta notizia".
Non finirono di parlare che Alessia scoppiò a piangere.
Seduta al tavolo della cucina, Alessia si trovava di nuovo innanzi alla sua vita rigirata come un guanto, rivoltata come il suo stomaco che implorava pietà. 

Alessia, quella mattina, si ritrovò di nuovo sola con il suo album di foto tra le mani.

E la mezza bottiglia di vodka che le strizzava l'occhio, promettendole l'ennesimo bagno di oblio.

 
 
 
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