A Room of One's Own
This is my letter to the world, That never wrote to me, The simple news that Nature told, With tender majesty. Her message is committed To hands I cannot see; For love of her, sweet countrymen, Judge tenderly of me!
« Alita e gli altri | Perchè in Darfur? » |
Post n°202 pubblicato il 26 Aprile 2007 da lilith_0404
Ebbene, si, lo ammetto, faccio parte di quel 54,5 % di italiani che secondo le indagini dell’Istat citate da SandaliAlSole nel suo post 1444, in famiglia si esprimono in dialetto. In effetti, come ho scritto qualche settimana fa in risposta ad un commento in cui venivano sottolineate le mie lacune in fatto di lingua italiana, la mia lingua madre è il dialetto bresciano: me ne accorgo specialmente quando sono arrabbiata, che mi vengono parole ed espressioni dialettali che solo in seconda battuta traduco in italiano, con risultati non sempre del tutto efficaci. Non che di questo io pensi di dover essere particolarmente orgogliosa. Ci sono anzi stati dei momenti in cui mi sono sentita in imbarazzo per il mio accento, come quando al primo esame in università la professoressa che mi interrogava lo notò e me lo fece notare. Ma quando io ero piccola, nell’ambiente sociale in cui vivevo parlare in Italiano era considerato uno snobismo, una cosa di cui poi farsi beffa. Chiaro, alla maestra, al dottore, in genere alle persone ‘istruite’ che venivano da fuori ci si rivolgeva in italiano, ma tra di noi, con i genitori, con la gente del paese, finanche con il prete e con il sindaco, parlare in italiano sarebbe stato considerato un volersi dare delle arie. Non ricordo con esattezza quando le cose han cominciato a cambiare, ricordo però molto bene che fu con i bambini. La cosa avvenne in modo del tutto spontaneo, niente di simile a quello che racconta Pelino55 nel suo commento al post di SandaliAlSole citato. Da un certo momento in poi, si cominciò a usare l'italiano quando ci si rivolgeva ai bambini piccoli, come se così facendo fosse più semplice farsi capire, anche se poi per parlare con la mamma e con il resto della famiglia si tornava tranquillamente al dialetto. Sicuramente il processo era già ben avviato quando a metà degli anni settanta nacque l’ultima delle mie sorelle. Benché tutti parlassimo abitualmente dialetto tra di noi, perfino mio papà quando parlava con lei usava l’italiano. Non saprei dire se questo sia stato un bene o un male per la sua generazione, non sono del tutto sicura che il dialetto sia effettivamente un patrimonio linguistico inestimabile la cui perdita sia da considerare un danno. Però questo è il motivo per cui mia sorella, al pari degli altri giovani della sua generazione, pur comprendendolo perfettamente, quando vuol parlare dialetto sembri stonata, e si può tranquillamente includerla tra quel 45,5% di popolazione che in famiglia parla in Italiano.
|
https://blog.libero.it/lilith0404/trackback.php?msg=2612890
I blog che hanno inviato un Trackback a questo messaggio:
AREA PERSONALE
ULTIMI COMMENTI
Inviato da: MARIONeDAMIEL
il 24/04/2021 alle 22:24
Inviato da: cassetta2
il 27/07/2020 alle 15:44
Inviato da: occhiodivolpe2
il 03/04/2020 alle 08:30
Inviato da: occhiodivolpe2
il 28/04/2017 alle 11:18
Inviato da: occhiodivolpe2
il 21/04/2014 alle 08:49
LINK
- vento
- Marion
- la scatola di latta
- thanksgodisfriday
- nonsmettodisognare
- elastigirl
- Vi Di
- scatti
- Fajr
- Cloud
- Ossimora
- carpediem56
- ufo
- Scalza
- lorenza
- capitano
- nitida-mente
- Michela
- sorelle
- Voglioscendere
- diversamente occupati
e includo in questo, come primaria, la perdita di significati e portati culturali che con le parole e le espressioni sono inscindibilmente legati.
anche perché difficilmente (e solo in minima parte) il dialetto ha prodotto letteratura. e quindi, certi valori, non potrebbero nemmeno affidarsi a quelle tracce scritte per tentare di sopravvivere.