A Room of One's Own
This is my letter to the world, That never wrote to me, The simple news that Nature told, With tender majesty. Her message is committed To hands I cannot see; For love of her, sweet countrymen, Judge tenderly of me!
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Post n°248 pubblicato il 16 Ottobre 2007 da lilith_0404
La discussione che si è sviluppata nei commenti al post precedente mi ha indotto a fare alcune riflessioni. Sono partita dalle considerazioni espresse da Lupopezzato in merito alle discriminazioni di cui, di fatto, sono tuttora vittime le donne in ambito lavorativo:secondo i dati che cita Lupopezzato il 20% delle donne lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio per mancanza di asili nido, mentre le retribuzioni e gli avanzamenti di carriera delle donne hanno dinamiche decisamente più contenute di quelle maschili. Sono dati che non mi giungono nuovi, la situazione, al di là dei dati statistici penso che sia percepibile a occhio nudo e non è contestabile. Ma riflettendo su questi dati, mi è capitato di ricordare un film che ho visto tempo fa, Mona Lisa Smile. C’è una scena in quel film, che quando la vidi mi lasciò sconcertata, e ci ho messo un po’ a digerirla, perché va decisamente contro a quello in cui ho sempre creduto. La scena a cui mi riferisco è quella in cui la ragazza, che ha ottenuto l’ammissione ad una prestigiosa università, comunica alla professoressa che non ne farà niente, perché lavorare e fare carriera non è il suo sogno, quello che lei vuole è avere figli e una famiglia di cui occuparsi. Confesso che vedendo la scena la prima volta non potei fare a meno di pensare ‘che terribile spreco di intelligenza!‘ . Eppure, passato il primo momento di sconcerto, ho dovuto riconoscere che quella mostrata dal film è , più spesso di quel che mi piacerebbe, la realtà. Di fatto, passando in rassegna le mie conoscenze, trovo un certo numero di donne che non hanno lasciato il lavoro per necessità ma per scelta, e che hanno scelto di prendersi del tempo per occuparsi di figli e famiglia, pur non essendo questa scelta così ‘obbligata’ come sembrerebbero suggerire le statistiche, e senza affatto preoccuparsi di precludersi in questo modo avanzamenti di carriera e aumenti di stipendio. Lette alla luce di queste ulteriori informazioni le cifre mostrate dalle statistiche assumono un significato un po’ diverso: e cioè che per un certo numero di donne la carriera e il lavoro non hanno la stessa importanza e la stessa priorità che hanno per i maschi. Ma forse questo modo di pensare femminile é a sua volta una conseguenza dell’educazione che le donne ricevono fin da piccole, e quindi, di nuovo, il risultato di un ‘condizionamento’ discriminatorio. Anche questa in effetti è un’ipotesi che non mi sento di scartare del tutto. |
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Solo alcuni anni fa, quando i cicli della vita erano ancora legati alla terra, il problema non si poneva e la donna mai avrebbe dovuto scegliere tra una carriera e la maternità, anche perchè non esisteva competizione con l'uomo, ma una solida complementarietà, si lottava entrambi per arrivare al giorno dopo e la cosa non era così scontata come adesso, anche per questo i matrimoni duravano tutta la vita.
Oggi non è più così e siamo riusciti anche a diventare da soci ad avversari.
Credo che la maternità, come anche la paternità sia un momento importantissimo nella vita di una persona, la realizzazione di un progetto che si perpetua da milioni di anni e dovrebbe essere la società stessa che se ne fa carico, perchè di fatto è in gioco la stessa sua sopravvivenza.
In tutta onestà ritengo meno realizzata una donna che scimmiotta un uomo nella sua parte peggiore che è quella competitiva, di una donna che riesce a trovare il suo centro in quel miracolo che perpetua la vita
Alex
Secondo me sono proprio questi dati "reali" che evidenziano quello che si continua a nascondere ovvero il burka discriminatorio che la donna occidentale indossa sotto i suoi jeans.
vorrei però aggiungere una considerazione e chiedo perdono se è molto calata nella mia realtà. io credo che quando si vuole veramente qualcosa, allora ci si sacrifica per ottenerla. io non ero più dotata o più fortunata di altri, non avevo situazioni economiche favorevoli alle spalle, eppure hio voluto fortemente sia figli che carriera. e li ho avuti entrambi. quello che ho pagato è stato essenzialmente in termini di fatica e stanchezza, l'ho pagato io e l'ho pagato volentieri, perché realizzava il mio duplice sogno. insomma: si può desiderare entrambi e anche senza avere gli aiuti governativi si può fare.
Perciò penso che sia fuori posto l’esibizionismo di frasi-rosa tipo “la felicità si basa su altri valori che non quello economico”. Una frase che nel contesto della discussione c’entra come i cavoli a merenda ed allo stesso tempo ignora che componenti della felicità sono anche e soprattutto la giustizia sociale, la parità dei diritti, le pari opportunità ed il rispetto.
Tu chiamale se vuoi provocazioni (Battisti – Mogol – Lupopezzato).