Creato da lilith_0404 il 20/02/2005

A Room of One's Own

This is my letter to the world, That never wrote to me, The simple news that Nature told, With tender majesty. Her message is committed To hands I cannot see; For love of her, sweet countrymen, Judge tenderly of me!

 

Messaggi di Luglio 2007

Numeri

Post n°224 pubblicato il 31 Luglio 2007 da lilith_0404

E tu bel bimbo, bimbo mio dolce,
dimmi, cosa vuoi che io ti canti?
Cantami dei numeri la serie,
sino a che io oggi non la impari...

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Com’è il numero di XY…? La domanda è rivolta a mia mamma, e la risposta, puntuale, senza esitazione, e rigorosamente in dialetto non si fa aspettare.

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Si, perché a differenza di me, mia mamma ricorda perfettamente tutti i numeri di telefono, quelli della famiglia e quelli che si usano abitualmente. Visto che le somiglio tanto fisicamente, mi chiedo allora come sia possibile che invece io non abbia alcuna memoria per tutto quello che è numero e  formula matematica.

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Quando andavo a scuola, i buoni voti che riportavo in matematica erano il risultato dei tanti esercizi che facevo, non perché i concetti mi risultassero particolarmente ostici, ché una volta capito il procedimento,  poi gli esercizi eran tutti più o meno uguali. Ma dovevo farli per memorizzare le formule, che durante i compiti in classe non sarei stata in grado di ricordare se non dopo averle ripetute innumerevoli volte.

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Così per i numeri di telefono. Come raccontavo nei commenti al post n. 521 di Tanksgodisfriday  a stento ricordo quei tre o quattro: quello di casa, quelli dell’ufficio. Già il mio numero di cellulare è un’impresa ardua, e non sempre mi riesce di ricordarlo per intero. Dipende da come parto a dirlo, se arriverò  a dirlo giusto fino alla fine.

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Per fortuna ci sono le rubriche elettroniche. Nell’ultimo cellulare c’è anche la funzione per cui per richiamare i numeri che si usano maggiormente basta digitare uno dei numeri da 1 a 5 e automaticamente il numero di telefono  associato a questi si compone da solo. Niente più sforzi di memoria e nemmeno più bisogno di leggere il numero da comporre.


Ma poi penso che probabilmente è anche questa la causa della mancanza di memoria. A furia di non usarla, si disimpara a servirsene.


Mia mamma non ha un cellulare, ed è una causa persa cercare di insegnarle ad usare qualunque tipo di congegno elettronico, tipo la funzione di rubrica memorizzata nel telefono di casa. Perciò ha allenato la mente a ricordare a memoria i numeri che le interessano. Io, nonostante non sia esattamente un’aquila, queste diavolerie le uso abitualmente, ma se mi chiedono il mio numero di telefono, devo aprire la rubrica per poterlo dire.

 

Cantami dei numeri la serie,
sino a che io oggi non la impari…

 
 
 

Una stufa che cammina

Post n°223 pubblicato il 28 Luglio 2007 da lilith_0404

La mia prima macchina l’ho avuta a 18 anni, e fu una cinquecento, di terza o quarta mano. Ci pensavo leggendo il post n.905 di Vieniviaadesso nel blog di Ossimora , e le sue considerazioni sulla presentazione della nuova Cinquecento della Fiat.

In famiglia una macchina già c’era, una vecchia e pesante Giulia Alfa Romeo,  ma era di papà, che la usava per andare al lavoro, quindi non era mai a casa e non ci si poteva far conto. Confesso che mi intimidiva anche un po’ guidarla, credo di averci provato in tutto un paio di volte.

La cinquecento invece, almeno per un anno, finchè anche mia sorelle non prese la patente,fu solo mia e arrivo’ alcuni mesi dopo la patente: papà la comprò senza  che nessuno gli avesse chiesto di farlo, e senza consultare nessuno in merito, come del resto era sua abitudine fare.

Pure vecchia come era, mi sembrò perfetta per me: mi dava finalmente il modo di non restare confinata in paese, di potermi muovere senza il vincolo soffocante degli orari e del tragitto della corriera.

“Bene di consumo emozionale”: non so bene cosa significhi, ma per me l’emozione dell’automobile era solo questo : possibilità di muovermi con una certa autonomia, e questo è quello che ho continuato a vedere anche in seguito in una macchina. E resto del tutto indifferente alle promesse suadenti della pubblicità, alle lusinghe delle innovazioni tecnologiche e alle sollecitazioni estetiche dei nuovi modelli.

Per venticinque anni, dopo la cinquecento ho guidato una Panda. Non sempre la stessa Panda, cinque Panda diverse, in successione. E di  fronte all'entusiasmo per l'acquisto di un nuovo modello mi sento sempre un po' a disagio:perché  forse non mi spingerei a definire l’automobile una stufa, ma  per il mio concetto di macchina é necessario e sufficiente  che cammini. Questo solo e nient'altro.

 
 
 

Beep Beep e Wile Coyote

Post n°222 pubblicato il 22 Luglio 2007 da lilith_0404

Sarà che nonostante l’età anagrafica lo smentisca, mi sento "giovane".

Sarà che nonostante lavori da venticinque anni, l’anzianità contributiva maturata è sensibilmente inferiore, ragion per cui la fatidica soglia 96, se mai ci arriverò, é di là da venire.

Sia quel che sia, il fatto è che alla pensione non ci penso proprio mai, e questo mi fa guardare con una  simpatia mista a divertimento alle reazioni di amici e conoscenti cinquantenni di fronte alle notizie che si susseguono sull’argomento riforma delle pensioni.

Come nel caso di Vi_Di, anche un mio carissimo amico sta in questi giorni facendo calcoli e ricalcali, per capire quando potrà finalmente ottenere l’agognata rendita.

‘’Mi sembra di essere Wile Coyote che insegue Beep Beep,’’  mi ha detto ieri, dopo aver letto le prime notizie dell’accordo raggiunto in seno al governo,  ‘’ogni volta allungo la mano pensando di riuscire a prenderlo, e ogni volta schizza via e rimango col candelotto di dinamite in mano.’’.

Piu o meno la stessa considerazione me l’ha fatta una signora che lavora da un cliente. Ha un tono sconfortato mentre osserva  rassegnata che gli attuali cinquantenni  sono particolarmente penalizzati dalle riforme che si stanno susseguendo ormai a ritmo continuo, vedendo continuamente spostato in avanti il traguardo, che inutilmente si affannano a voler raggiungere.

La simpatia e l’amicizia mi portano a solidarizzare con loro , anche se guardandoli vedo persone ancora nel pieno delle forze. Ma quanti pensionati anche più giovani e in buona salute ho conosciuto negli anni passati , che grazie alla pensione hanno potuto dedicarsi a viaggiare e a coltivare hobbies a tempo pieno: e chi non vorrebbe poterlo fare?

Io che il problema pensione non me lo pongo, li osservo, e mi chiedo se il fastidio al limite dell’insofferenza che vedo in loro nei confronti del lavoro sia la causa o la conseguenza di questa rincorsa sempre frustrata verso una meta che non si lascia raggiungere.

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Relatività

Post n°221 pubblicato il 18 Luglio 2007 da lilith_0404

L’archeologia e la preistoria non sono esattamente la mia passione, faccio un po’ fatica ad entusiasmarmi per scheletri e ciottoli, ma a volte ci sono ritrovamenti che anche una non addetta ai lavori con scarsa fantasia come me riesce a trovare commoventi, e ad immaginare la storia che forse ci sta dietro.

Come quello di cui parla Odio_via col_vento nel suo post 118 : come non ricordare Shakespeare  e immaginare una destino dolce e tragico  di fronte ai due scheletri abbracciati?

O come l’uomo riemerso dai ghiacci di cui parla Tanksgodisfriday, nel suo post 506, di cui colpisce la ‘normalità’ di abbigliamento, di strumenti, elementi che ci aprono uno spiraglio per intuire una vita fatta di gesti quotidiani che altrimenti non avremmo forse potuto immaginare.

Per associazione di idee, mi torna in mente Lucy. Lessi di lei su una rivista quando la ritrovarono, nel 1974, e già allora ricordo che mi colpì la sua età : tra i venti e i venticinque anni, e secondo chi scriveva era piuttosto vecchia.

Mi ha colpito questa relatività del concetto di giovane e vecchio, nelle diverse epoche storiche: all’epoca del ritrovamento io avevo 15 anni e pensai che se fossi vissuta ai tempi di Lucy oltre metà della mia vita sarebbe stata già trascorsa.

Oggi che ho circa il doppio degli anni di Lucy, ripensando a quante volte nel corso della mia vita ho rimandato scelte da fare, impegni da portare a termine, è ancora questo fatto a colpirmi:  siamo abituati a pensare alla nostra come ad un’epoca frenetica, mentre in realtà era quella di Lucy ad esserlo: per quella antica progenitrice, tutto doveva essere fatto tre volte più rapidamente, perché non ci sarebbe stato tempo in seguito, di fare ciò che si era rimandato.

 
 
 

Le macchine e io

Post n°220 pubblicato il 15 Luglio 2007 da lilith_0404

Quando quasi  trent’anni fa, neopatentata, durante una delle prime uscite in macchina, una vecchissima cinquecento, rimasi in panne e chiamai papà perché venisse a salvarmi, la cosa che mi sentii  chiedere fu: ‘’ma la benzina ce l’hai messa? ‘’ e questo è più o meno il credito di cui ho goduto sempre nei miei rapporti con macchine e congegni meccanici.

Con i computer le cose non sono mai andate molto meglio. Ricordo quando arrivai in ufficio, venticinque anni fa, mi annotai su un quaderno i comandi da dare per accendere e spegnere il commodore 64 con cui all’epoca lavoravo, e tanta era la confidenza con cui lo usavo che ero perennemente preoccupata di schiacciare qualche tasto con cui tutto il lavoro si sarebbe cancellato.

Anche in seguito,  non sono mai stata quel che si dice ‘un fulmine’ nel capire i meccanismi del funzionamento di queste benedette macchine. Forse anche perché ho sempre avuto chi, studiato il problema, mi forniva la soluzione ben impacchettata, evitandomi la necessità di scervellarmi a trovarne una da sola.

Questa volta però, credo che  non sia stata una questione di comprensione mia, ma proprio una presa di posizione del mio pc, che ha deciso probabilmente che non gli vado a genio, sicché domenica scorsa, mentre cercavo di visualizzare una e-mail, ha dato un botto, si è spento e si è rifiutato categoricamente di riaccendersi.

A nulla son servite minacce e lusinghe, tentativi di resistenza e proposte di compromesso. Ho provato a togliere e rimettere cavi, accendere e spegnere interruttori, nulla, non dava più segni di vita.

A malincuore, ho deciso che forse era arrivato il momento di fare quello che finora avevo sempre accuratamente evitato di fare, comperarne uno nuovo.Detto, fatto, e nel giro di qualche giorno il computer nuovo fa ufficialmente l'ingresso in casa. Deve ancora essere messo a punto, ma é un dettaglio trascurabile.

Quello  ‘rotto’, ormai detronizzato dal nuovo arrivato, l’ho caricato in macchina e l’ho riportato in ufficio, da dove alcuni mesi fa l’avevo preso in prestito . Il mio collega, che lo aveva in dotazione prima che lo ospitassi a casa mia,  ha voluto vedere se poteva individuare il problema e ha collegato i cavi, e premuto il pulsante di accensione, e il perfido si è acceso senza alcuna esitazione… e mi son sentita chiedere se ero proprio sicura di essere sveglia, domenica scorsa quando ho sentito il botto e si é spento.  

Che anche le macchine abbiano le loro simpatie e antipatie, come le persone?

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Tutti insieme, appassionatamente.

Post n°219 pubblicato il 05 Luglio 2007 da lilith_0404

La mia bambina con la palla in mano,
con gli occhi grandi colore del cielo
e dell’estiva festicciola: << Babbo
- mi disse – voglio uscire oggi con te >>.

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Questi versi si affacciano alla memoria leggendo nel post n. 163 di Odio_via_col_vento, la descrizione delle sue passeggiate domenicali con il babbo, in una Firenze in bianco e nero in cui il ricordo ha l’atmosfera di un sogno.

Tutt’altro ritmo hanno i ricordi delle domeniche della mia infanzia:  non capitava che in via del tutto eccezionale che si uscisse con i genitori, e mi chiedo se fosse il diverso ambiente sociale o il fatto di vivere in campagna anziché in città a fare la differenza.

Solo nel giorno della mia prima comunione ricordo di essere andata in chiesa con i miei genitori, e dopo la cerimonia ricordo una delle rare uscite con mio padre: io e lui soli, perché la mamma restò a casa con i piccoli.  Ricordo che andammo a fare una gita al lago e di quel giorno mi é rimasto nella memoria il riverbero del sole sull’acqua osservata dalla terrazza di un locale sulla riva,  l’azzurro intenso del cielo d'aprile, e lo zucchero filato che mi comprò. 

C’era però un’altra occasione in cui a papà ‘toccava’ di portarci fuori, ed era in occasione della festa dei ‘morti in campo’. Era la ricorrenza di non so più quale antica battaglia che era stata combattuta in un paese vicino e che veniva ricordata con bancarelle e giostre  allestite in un campo in cui si raccontava che la battaglia fosse avvenuta. Tutto questo lo scoprii molto tempo dopo, sui libri di storia locale. A quel tempo, i 'mort dei camp'  era solo un giorno in cui  papà ci caricava tutti quanti, non solo noi fratelli, ma anche i cugini che abitavano in parte a casa nostra, e si partiva alla volta di questo posto mitico, dove l’idea della morte evocata dal nome della festa era del tutto cancellata dalla allegria di uno sciame di ragazzini in uscita straordinaria.

La festa del patrono era invece l’unica occasione in cui si uscisse con tutta la famiglia al completo, tutti tirati a lucido con i vestiti della domenica. In piazza veniva allestito un vero luna park, con musica a tutto volume, stand per il tiro al bersaglio in cui si vincevano pesciolini rossi, autoscontro per i grandi e giostre per i più piccoli.

Papà acquistava alcuni biglietti per ciascuno,  ma ricordo che si potevano vincere dei biglietti omaggio riuscendo ad afferrare e staccare una coda di pelo, che l’operatore della giostra ci vaceva penzolare davanti al naso. Ma quando capitava a me di poterla prendere  anzichè stringere forte la mano per staccarla e vincere il mio premio, mi spaventavo e lasciavo regolarmente scappare quella cosa morbida e pelosa che mi faceva l’effetto di  un vero animale vivo.

 
 
 

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