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LA COTOLETTA ALLA MILANESE di Teresa Ramaioli

Post n°15883 pubblicato il 14 Ottobre 2014 da dinobarili
 

LA COTOLETTA ALLA MILANESE 

di

Teresa Ramaioli

 
iltuonoilgrillo il 13/10/14 alle 18:58 via WEB
LA COTOLETTA ALLA MILANESE--Ci sono due preparazioni con qualche rassomiglianza. La cotoletta viennese, viene citata in un libro di cucina del 1798 “Piccolo libro di cucina austriaca”, dove è descritta una fettina sottile di carne, ricavata dalla noce di vitello, passata nella farina, nell’uovo sbattuto e nel pane grattugiato e poi fritta nel grasso di maiale; la cotoletta milanese è ricavata dalla lombata del vitello, conservandone l’osso, passata nell’uovo sbattuto e nel pane grattugiato e poi fritta nel burro chiarificato. Ma la differenza sta soprattutto nel fatto che le viennesi sono sottilissime, ben battute e larghissime, mentre le nostre devono essere alte quanto l'osso, poco battute. I medici medioevali prescrivevano l'assunzione dell'oro quale antidoto alle malattie di cuore, pertanto molte portate erano rivestite con polvere d'oro purissimo. La borghesia milanese, molto attenta alla destinazione dei suoi danée (soldi) si rese ben presto conto che non era tanto il metallo, bensì il suo colore a favorire la digestione e quindi sostituì l'oro costosissimo con il pane grattugiato dorato dalla frittura così come si può rilevare dalla lista delle vivande offerte nel 1134 ai canonici di S. Ambrogio nel giorno della festa di S. Satiro che comprendeva un pasto di nove portate fra cui i "lombolos cum panitio". L’abitudine dei milanesi di cospargere d’oro le vivande trova una valida testimonianza nella cronaca di Bernardino Corio che descrisse il pranzo imbandito in occasione delle nozze di Violante Visconti, figlia di Galeazzo II con Lionello Plantageneto duca di Chiarenza, erede di Edoardo III d’Inghilterra, al Palazzo dell’Arengo di Milano il 15 giugno 1368, dove furono serviti pesci e carni ricoperti da oro finissimo. Fra gli illustri invitati era presente Francesco Petrarca, che soggiornò per una quindicina d’anni a Milano.. Successivamente il prezioso metallo venne sostituito dallo zafferano e dal pane grattugiato: simboli della cucina milanese.Ciao Teresa Ramaioli

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iltuonoilgrillo
iltuonoilgrillo il 14/10/14 alle 14:02 via WEB
IL RISO----Nei libri di ricette del ‘300 e del ‘400 ci sono molti piatti a base di riso, come nel Libro de Arte Coquinaria di Maestro Martino da Como, ma gli autori sono tutti cuochi di corte, evidentemente il costo non aveva importanza. La diffusione del riso porta una data certa: quella di una lettera del 27 settembre 1475 inviata da Galeazzo Maria Sforza al Duca di Ferrara, nella quale annuncia il dono di 12 sacchi di riso da semina perché “potesse sperimentare nelle sue terre la coltivazione del riso, pianta coltivabile anche in terreni acquitrinosi.” Il riso veniva coltivato anche nelle abbazie cistercensi, l’Abbazia di Chiaravalle si impegnò alla selezione e alla semina di varietà sperimentali. Il contributo letterario al riso è di Carlo Maria Maggi (1630-1699), lettore di latino e greco presso le Scuole Palatine, Segretario del Senato di Milano, Accademico della Crusca, autore di poesie e commedie in milanese, ed è relativo alla sua passione per il ris in cagnon, citato nella sua commedia “Il Barone di Burbanza” (Atto III° Addio di Meneghino): El vost car Meneghin/ El va in lontan paes…/ Se pu no s’vedaremm, a revedès!/ Mortadell di Tri Scagn/ Busecca de la Goeubba / Passaritt di Trii Merla / Ris in cagnon del Fus… Senza dimenticare la golosità di Carlo Porta per il risotto giallo; cantava le lodi alla consorte Vincenzina Prevosti per le sue doti culinarie espresse soprattutto nella cura riservata al risotto e altrettante lodi al cuoco della sua osteria preferita, l’Osteria de La Nos, nella piazza dove ogni mercoledì e sabato si teneva il mercato di cavalli e bovini più importante della Lombardia (oggi piazza XXIV maggio).Ciao Teresa Ramaioli
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iltuonoilgrillo
iltuonoilgrillo il 14/10/14 alle 14:06 via WEB
Castello Visconteo di Pavia Il complesso fu concepito come dimora di caccia e di svago nel 1360, all'inizio della signoria di Galeazzo II Visconti, che pensò anche ad un collegamento con Milano attraverso un canale navigabile, quello che sarà più tardi il Naviglio. Non si sa chi fu esattamente l'ingegnere militare che assecondò il progetto di Galeazzo II di creare un grande palazzo, di 142 m. di lato e 4 torri angolari, in forma militare: vi era contenuto infatti accanto alla più grande biblioteca del tempo (circa 2000 incunaboli) e alle residenze signorili anche la più grande armeria del periodo. Fu ultimato alla fine del XIV sec., ma pesantemente danneggiato durante la battaglia di Pavia del 1525, combattuta nel parco retrostante, per l'egemonia sul ducato, tra Spagnoli e Francesi. Andò distrutta insieme alle due torri posteriori l'ala settentrionale, vera espressione del vivere cortese visconteo, con le sale affrescate dal Pisanello e con i finestroni sulla tenuta di caccia. Dal 1525 al 1921 fu adibito a caserma. Oggi gli spazi interni ospitano i Musei Civici. Saluti da Pavia Teresa
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