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MILANO di Teresa Ramaioli

Post n°19980 pubblicato il 12 Giugno 2015 da dinobarili
 

MILANO 

di Teresa Ramaioli

iltuonoilgrillo
iltuonoilgrillo il 11/06/15 alle 18:02 via WEB
17Febbraio 1904 al Teatro alla Scala di Milano prima rappresentazione di “Madama Butterfly--- ----È forse l’opera più popolare di Giacomo Puccini che riuscì a dipingere uno dei più teneri ritratti femminili del suo teatro. Madama Butterfly su libretto di Lugi Illica e di Giuseppe Giacosa andò in scena per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano il 17 febbraio 1904. La rappresentazione di Milano non ebbe successo, ma dopo pochi mesi a Brescia l’Opera fu un vero e proprio trionfo che da allora non è mai mancato ad ogni nuova rappresentazione. La vicenda si svolge in Giappone dove la geisha quindicenne Cio-Cio-San (detta Butterfly) sposa il tenente della marina americana Pinkerton che, dopo poco tempo rientra negli Stati Uniti, abbandonando la ragazza senza nessun rimorso. Cio-Cio-San, al contrario, continua ad amarlo e aspetta il suo ritorno soprattutto dopo che dall’unione è nato un figlio. Solo dopo tre anni, Pinkerton ritorna con la moglie americana Kate, che nel frattempo ha sposato e Butterfly solo allora capisce: consegna il figlio alla coppia e si suicida. Ciao TeresaRamaioli

 

 

 

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iltuonoilgrillo
iltuonoilgrillo il 13/06/15 alle 13:40 via WEB
ERBA TINTORIA "IL GUADO"-Il Museo dei colori naturali è ospitato negli spazi del chiostro dell'Abbazia di San Michele Arcangelo a Lamoli, frazione del comune di Borgo Pace, provincia di Pesaro Urbino. I monaci benedettini fin dal sesto secolo, quando era stato costituito l’ordine monastico del santo di Norcia, edificavano chiese e monasteri nei punti strategici di passaggio dei pellegrini, offrendo ospitalità e cure mediche grazie alla conoscenza delle proprietà guaritrici delle erbe. I protettori della natura erano loro, che vegliavano sulla salute dei boschi, oltre a coltivare viti, olivi, ortaggi ed erbe officinali. Nel motto “prega e lavora” era compreso lo studio e la sua traduzione in pratiche benefiche per il corpo e la mente. In alcune sale di quello che era stato il monastero a Lamoli, a 600 m. di altitudine, c’è il Museo dei Colori Naturali, che illustra specie di piante tintorie quali: la robbia, la reseda ed il guado. Interessante è la pianta di guado, pianta che si usava in passato per tingere i tessuti in blu. In una vasta area intorno a Sant’Angelo in Vado (Pesaro Urbino), la si era coltivata e lavorata come l’unica per ottenere questa tinta fino a che l’indaco, originario dell’India, dal seicento in poi è stato preferito per le sue qualità superiori. I documenti testimoniano che il guado di questa zona era venduto a Prato, in Toscana, celebre per i suoi tessuti subito dopo Firenze. In omaggio all’erba tintoria, che ancora si trova nei prati di questa zona dell’Appennino, una stanza del museo è dedicata per intero al colore blu prodotto in Europa, in Africa, in Asia con materia vegetale per tingere i tessuti e minerale per la pittura su pergamena, legno e tela. Nel museo ci sono anche le foglie, i fiori secchi, la polvere o le scaglie colorate, le lane tinte e tutto ciò che aiuta a conoscere un'arte antichissima. Dall’ottocento in poi la tintura naturale è stata sostituita da quella chimica, ma oggi la necessità di recuperare il lavoro artigianale per evitare la dispersione delle tradizioni e per ridurre l’inquinamento, sta ridando slancio alle tecniche antiche. Da vegetali, animali e minerali abbiamo avuto la possibilità di gioire dei colori sui nostri vestiti e su tutti i manufatti che hanno accompagnato la civiltà. In passato sono stati simbolo di condizione sociale: il blu, raro e costoso, contraddistingueva i nobili; il rosso porpora, il più bello e intenso, altrettanto costoso, era il colore dei potenti. Il giallo più bello per la pittura si otteneva dall’orpimento (minerale usato come colorante), che è solfuro di arsenico. Il colore degli abiti dei poveri era il marrone, perché era spesso il colore naturale di certe fibre tessili. Il bianco, per i tessuti si otteneva sbiancando le fibre con la lisciva e l’esposizione al sole, mentre nei dipinti si usava la polvere di calcite.Ciao ciao Teresa Ramaioli
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iltuonoilgrillo
iltuonoilgrillo il 13/06/15 alle 13:44 via WEB
CLEOPATRA---A Marco Antonio e a Cleopatra si deve il merito d'aver creato una delle prime associazioni gastronomiche della storia. La scoperta e traduzione di alcuni papiri rinvenuti nell’oasi del Fayum, la più ricca del regno di Cleopatra, ha rivelato interessanti indicazioni sulla gastronomia di quel tempo.Raffinatezza e lusso erano le parole d'ordine della superba Regina, che ovviamente non poteva non trasferire anche nel suo modo di mangiare. I sontuosi banchetti organizzati da Cleopatra per sedurre Antonio rimangono memorabili e si tramanda che cucinasse persino lei stessa alcuni piatti, selezionando carni pregiate e frutta. La sua era una dieta mediterranea, sana, ricca di verdure che abbinava con carni ovine, pesce del Nilo o selvaggina, come il piccione portata principale di molti banchetti, arricchiti con formaggi delicati, dei quali Cleopatra andava matta e zuppe di legumi o cereali. Non mancavano i dolci, prelibati tortini di fichi e noci, ricoperti di miele, tutto innaffiato da buon vino e birra. Il culto del mangiar bene era talmente forte che insieme ad Antonio fondarono uno dei primi circoli gastronomici della storia: "Circolo degli Inimitabili" dove fra divertimento e lusso, le somme di denaro spese da entrambi in cibo erano davvero smodate. Un evento narrato da Plinio, e ritrovato in numerosi dipinti, racconta che Antonio era sempre alla cercare di cibi rari ed esotici, Cleopatra aveva speso cifre importanti in costosi manicaretti, sciogliendo inoltre in una coppa di aceto uno dei suoi orecchini di perle di grande valore. Ciao Teresa Ramaioli
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