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Il coraggio non mi manca. E' la paura che mi frega. (Antonio Albanese)

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immagineVergine (23 agosto - 22 settembre)


"La mia ferita emotiva più profonda è stata anche una fonte inesauribile di gioie". Non ti rivelerò perché questa frase è molto importante per me: è una questione troppo personale. Ma tu, Vergine, potresti fare un'affermazione simile? Potresti interpretare la tua vita in modo da vedere un'esperienza dolorosa come una fonte di intuizione, ispirazione e vitalità? Il 2009 sarà l'anno ideale per compiere questo cambio di percezione. E il periodo intorno al solstizio d'inverno è il momento perfetto per cominciare. (Rob Brezsny)

 
 

Blo(g)cco Note

Sulla via che mi porta al lavoro c'è una casa abbandonata che, mi hanno detto da qualche giorno, è abitata dai fantasmi.
Non lo sapevo. Ma appena me l'hanno detto ho pensato: la compro io.
 

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(Josè Seves)


 
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Messaggi di Settembre 2006

Post N° 386

Post n°386 pubblicato il 29 Settembre 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

Mi sono svegliata con l'eco di un incubo tra gli ultimi brandelli di sonno.
Un bulldozer impazzito e senza guida, demoliva con un rumore assordante la casa che mio padre ha costruito con tanta cura e amore.
Ne ho tratto pessimi presagi.
Prendendo il caffè ho acceso il pc, come ogni giorno, per leggere le notizie, ma c'è lo sciopero dei giornalisti, così che l'atto di informarsi si è consumato in una rapida lettura di titoli vecchi.
Detesto quando qualcosa sconvolge il tran tran quotidiano. Perchè quando succede sono costretta a sostituire una consolidata abitudine con il pensiero casuale (che casuale poi non è mai) e questo esercizio ultimamente mi costa una fatica immane. Così mi sono messa a pensare proprio alla mia maniacalità, alla mia incapacità di fare le cose 'basta 'c sia'... Faccio poche cose, ma quelle poche devono essere fatte come dico io e se così non è sto male o meglio, entro nel panico.
E' scattata allora la piccola analisi delle cose cominciate bene e finite in un disastro.
Ho iniziato l'anno con una dieta così stretta che se si sparge la voce, mi ricoverano alla neuro d'urgenza, la sto continuando testardamente e sto ingrassando di mezzo chilo a settimana.
Da quando mi sono ammalata ho seguito le terapie senza sgarrare ed eccomi recidivante con un collo che sembra una portaerei.
Sorvolo sulle vicende sentimentali e sul sesso.
Sul piano socio-politico, ho votato con coscienza e scrupolo e mi ritrovo i soldati italiani in Libano e Mastella ministro della giustizia.
Viene davvero da pensare che non ne azzecco una.
Mia sorella grande direbbe che ho una congiunzione astrale negativa. Mia sorella piccola direbbe che è solo sfiga marcia.
Io piango.
E' da quando mi sono svegliata che piango e l'unico desiderio che ho è di poterlo fare a lungo, per bene, fin che mezza lacrima trova alloggio tra le mie palpebre. Voglio, per una volta in questo anno maledetto, iniziare una cosa e finirla, spremermi gli occhi e singhiozzare fino a sfinirmi e poi come per i bimbi, tra un singulto e l'altro addormentarmi.

E che non mi si svegli.

 
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Post N° 385

Post n°385 pubblicato il 25 Settembre 2006 da betulla64
 



Un piccolo piccolo post per dirvi che sto bene.

Ho bisogno di dedicarmi a me, di non distrarmi da quanto sento succedermi dentro, perchè seppur difficile, ho idea che sia qualcosa di importante.
E allora io e me da sole per un po', non so quanto.
Nel frattempo vi leggo con attenzione e mi viene da pensare che sarà l'autunno, sarà la luna che è venuta strana, ma siamo tutti un poco in deficit di serenità.... E allora come saluto vi lascio un panorama e una canzone. Il primo è quello che quando lo guardo penso al culo che ho a stare dove sto, la seconda è qualcosa che se l'ascolto ad occhi chiusi, immagino un'auto scoperta, un amore al mio fianco, una strada sconosciuta e un orizzonte da scoprire. L'insieme che ne viene fuori è la felicità, la stessa che, con tutto il cuore, vi auguro di trovare se la cercate e di conservare se già l'avete.
Besos!


 
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Post N° 384

Post n°384 pubblicato il 13 Settembre 2006 da betulla64
 


Chiuso
per inventario


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Post N° 383

Post n°383 pubblicato il 12 Settembre 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

Ieri sono andata dal mio medico, ma ho trovato la porta sbarrata.
E' in ferie da un mese e a quanto pare ci si trova bene....


Ho bisogno di risposte alle mille domande che mi si affollano in testa.
Mi serve un qualche straccio di rassicurazione.

Sono stanca.


Stanco aspettarti, parto
Aspettare stanca
Agosto interminabile
Soffoca città
STOP
Stanco cucina cinese
In solitaria
Stanco romanzi gialli in terrazza
Stanco tuo infinito ritardo
Mia pazienza
Caldo
Lavoro, lavoro
Delitto tuo stavolta
Quasi perfetto, complimenti
STOP

Stanco aspettarti, parto
Aspettare stanca
Agosto interminabile
Soffoca città
Lascio terrazza appartamento
Lascio tuo ritardo
Mia pazienza
Lascio lavoro
Caldo
Provincia e città
Lascio anche nuovo indirizzo
E attendo
STOP
 
(Ivano Fossati)
  

 
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Post N° 382

Post n°382 pubblicato il 11 Settembre 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

Che strano il destino del mese di settembre.
Che strano inquietante ripetersi di date. Di numeri. Di orrori.



11 Settembre 1973
9:10 A.M.

Sicuramente questa sarà l’ultima opportunità in cui posso rivolgermi a voi.
La Forza Aerea ha bombardato le antenne di Radio Magallanes.
Le mie parole non contengono amarezza bensì disinganno.
Che siano esse un castigo morale per coloro che hanno tradito il giuramento: soldati del Cile, comandanti in capo titolari, l’ammiraglio Merino, che si è autodesignato comandante dell’Armata, oltre al signor Mendoza, vile generale che solo ieri manifestava fedeltà e lealtà al Governo, e che si è anche autonominato Direttore Generale dei carabinieri.
Di fronte a questi fatti non mi resta che dire ai lavoratori: Non rinuncerò!
Trovandomi in questa tappa della storia, pagherò con la vita la lealtà al popolo.
E vi dico con certezza che il seme affidato alla coscienza degna di migliaia di Cileni, non potrà essere estirpato completamente.
Hanno la forza, potranno sottometterci, ma i processi sociali non si fermano né con il crimine né con la forza.
La storia è nostra e la fanno i popoli.
Lavoratori della mia Patria: voglio ringraziarvi per la lealtà che avete sempre avuto, per la fiducia che avete sempre riservato ad un uomo che fu solo interprete di un grande desiderio di giustizia, che giurò di rispettare la Costituzione e la Legge, e cosi fece.
In questo momento conclusivo, l’ultimo in cui posso rivolgermi a voi, voglio che traiate insegnamento dalla lezione: il capitale straniero, l’imperialismo, uniti alla reazione, crearono il clima affinché le Forze Armate rompessero la tradizione, quella che gli insegnò il generale Schneider e riaffermò il comandante Ayala, vittime dello stesso settore sociale che oggi starà aspettando, con aiuto straniero, di riconquistare il potere per continuare a difendere i loro profitti e i loro privilegi.
Mi rivolgo a voi, soprattutto alla modesta donna della nostra terra, alla contadina che credette in noi, alla madre che seppe della nostra preoccupazione per i bambini.
Mi rivolgo ai professionisti della Patria, ai professionisti patrioti che continuarono a lavorare contro la sedizione auspicata dalle associazioni di professionisti, dalle associazioni classiste che difesero anche i vantaggi di una società capitalista.
Mi rivolgo alla gioventù, a quelli che cantarono e si abbandonarono all’allegria e allo spirito di lotta.
Mi rivolgo all’uomo del Cile, all’operaio, al contadino, all’intellettuale, a quelli che saranno perseguitati, perché nel nostro paese il fascismo ha fatto la sua comparsa già da qualche tempo; negli attentati terroristi, facendo saltare i ponti, tagliando le linee ferroviarie, distruggendo gli oleodotti e i gasdotti, nel silenzio di coloro che avevano l’obbligo di procedere.
Erano d’accordo.
La storia li giudicherà.
Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita e il metallo tranquillo della mia voce non vi giungerà più.
Non importa.
Continuerete a sentirla.
Starò sempre insieme a voi.
Perlomeno il mio ricordo sarà quello di un uomo degno che fu leale con la Patria.
Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi.
Il popolo non deve farsi annientare né crivellare, ma non può nemmeno umiliarsi.
Lavoratori della mia Patria, ho fede nel Cile e nel suo destino.
Altri uomini supereranno questo momento grigio e amaro in cui il tradimento pretende di imporsi.
Sappiate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passerà l’uomo libero, per costruire una società migliore.
Viva il Cile! Viva il popolo! Viva i lavoratori!
Queste sono le mie ultime parole e sono certo che il mio sacrificio non sarà invano, sono certo che, almeno, sarà una lezione morale che castigherà la fellonia, la codardia e il tradimento.

Santiago del Cile, 11 Settembre 1973.

 
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Post N° 381

Post n°381 pubblicato il 10 Settembre 2006 da betulla64
 
Foto di betulla64

Ricordo esattamente dov'ero l'11 settembre 2001: stavo salendo le scale di casa a Roma, quando squillò il cellulare e una voce mi disse di accendere la TV. Era una voce tremante che mi fece impressione. Finimmo di salire le scale, io e il mio amico grande, e arrivammo in tempo per vedere la prima torre bruciare e il secondo aereo schiantarsi.
Non ho invece ricordi nitidi di un altro settembre. Era il 1982 e mentre io festeggiavo i miei 18 anni, Sabra e Chatila iniziavano la loro agonia.


"Nell'inferno di Sabra e Chatila"
di Bruno Marolo
1986 SUGARCO ed.

Cominciamo dunque da Sabra e Chatila: La prima strage poteva essere evitata? La forza multinazionale intervenuta nell'Agosto 1982 per sovrintendere all'esodo dei combattenti palestinesi lasciò il Libano tra il 10 e il 13 settembre. Il massacro nei campi palestinesi cominciò tre giorni dopo.
Chi fece partire i soldati, quando si sapeva benissimo che sarebbe stato il diluvio? Chi impedì loro, quando tornarono per far fronte alla nuova emergenza, di fare in modo che a Sabra e Chatila non dovesse scorrere tanto altro sangue? La richiesta ufficiale di intervento di una forza multinazionale di interposizione fu consegnata il 19 Agosto 1982 dal ministro degli Esteri libanese Fuwad Butros agli ambasciatori di Stati Uniti, Italia e Francia.
Il piano fatto accettare dal mediatore americano Philip Habib a libanesi, palestinesi e israeliani prevedeva l'intervento di 800 soldati americani, 800 francesi e 400 italiani per garantire l'ordine durante il ritiro delle forze dell'OLP da Beirut. Il mandato della forza multinazionale era di un mese, dal 21 Agosto al 21 Settembre, e avrebbe potuto essere rinnovato su richiesta dei libanesi in caso di necessità.
Tutti i combattenti palestinesi avrebbero dovuto essere partiti entro il 4 Settembre e in seguito la forza multinazionale avrebbe collaborato con l'esercito libanese per portare una sicurezza durevole in tutta la zona di operazioni. Una sicurezza durevole. Era questa la principale condizione su cui aveva insistito il capo dell'OLP Yasser Arafat, che rinfacciò poi ai paesi garanti di aver mancato ai patti. Nel Luglio 1983, in un'intervista televisiva che gli feci a Tunisi, mi disse di aver avuto "precise garanzie" per l'incolumità dei civili palestinesi da Philip Habib.
Il 17 Settembre dello stesso anno, a Tripoli nel Libano dove era tornato in cerca di fortuna che non ebbe, mi parlò di "impegni scritti". Ma non aveva documenti da esibire. Vergata nero su bianco c'era soltanto quella generica promessa di "sicurezza durevole" che non fu mantenuta. Il primo scaglione della forza multinazionale (347 paracadutisti della legione straniera francese) sbarcò a Beirut il 21 Agosto rispettando il calendario stabilito, e il giorno stesso una nave greca portò qualche centinaio di fedayin verso l'esilio. Arafat lasciò il Libano a fine Agosto e, dopo un breve scalo in Grecia, arrivò il 3 Settembre a Tunisi, dove il direttore del ministero degli esteri francese Francis Gutman lo aspettava per consultarlo sulle prospettive che si schiudevano in medioriente.
Il primo Settembre il presidente americano Ronald Reagan aveva annunciato il suo piano di pace: ritiro di Israele dai territori occupati e costituzione in Cisgiordania di una regione autonoma palestinese in "qualche modo associata" con la Giordania. Ero andato anch'io a Tunisi per raccogliere la prima reazione di Arafat. Ma non era del piano Reagan che egli voleva discutere con Gutman.
Era preoccupatissimo per la sorte di Sabra e Shatila e supplicò il diplomatico francese di adoperarsi perché la forza multinazionale rimanesse in libano anche dopo il 21 Settembre. "Altrimenti", avvertì, "sarà una carneficina".
Un fatto nuovo aveva reso più acuto il pericolo.
Il 23 Agosto il Parlamento libanese, riunito nel settore Est di Beirut controllato dagli israeliani e dai loro alleati falangisti, aveva eletto Beshir Gemayel presidente della repubblica. La scelta era avvenuta prima che la forza multinazionale fosse al completo: i marines americani sarebbero sbarcati soltanto il 25 Agosto e il battaglione dei bersaglieri italiani "Governolo", comandato dal colonnello Bruno Tosetti, li avrebbe raggiunti il 26. In una Beirut ancora preda al caos Israele aveva spinto al potere l'uomo che per anni aveva armato e sostenuto nella crociata contro l'OLP.
Trentaquattro anni, corporatura tozza, una predilezione per le tute mimetiche e un'abilità notoria nel maneggiare mitra e coltello, Beshir era il figlio più giovane del capo storico falangista Pierre Gemayel e si era affermato come uomo forte del partito. Aveva poche idee ma chiarissime. Una soprattutto: non un solo palestinese armato doveva rimanere nei 10452 chilometri quadrati del Libano. "I palestinesi devono capire", mi diceva in quei giorni uno dei suoi portavoce, "che in Libano per loro non c'è più posto e se partiranno sarà meglio per tutti. Prenderemo in mano la situazione a Sabra e Chatila, questi focolai di sovversione sfuggiti per troppo tempo a ogni controllo". Replicai che stringendo il tizzone ardente anche la mano del potere rischiava di bruciarsi. Risposta: "No, perché sarà una mano di ferro".
Questo programma spaventava non soltanto i palestinesi, ma gli stessi libanesi musulmani che avevano combattuto contro Beshir. Non mancavano naturalmente i notabili che correvano a giurare fedeltà al nuovo padrone ma neppure i gruppi armati che si preparavano a vendere cara la pelle. Anche dopo la partenza dei fedayin nel settore ovest di Beirut rimanevano milizie potenti: i "Morabitun", nasseriani, gli sciiti del movimento "Amal", i comunisti, i drusi del partito socialprogressista di Walid Jumblat avevano blindati e mortai. Prima di andarsene i palestinesi avevano consegnato loro le armi pesanti. Non era poi detto che le "Forze libanesi" le milizie cristiane di Beshir, avrebbero avuto facilmente partita vinta. Per imporre la sua autorità su Beirut ovest il presidente eletto aveva ancora bisogno dell'aiuto di Israele: La forza di interposizione gli era d'intralcio.
Del resto, neppure i paesi che avevano mandato le truppe erano entisiasti all'idea di lasciarle ancora a lungo nella gola del lupo. L'evacuazione delle forze dell'OLP fu conclusa il primo settembre, in anticipo sul programma stabilito da Philip Habib, e nei giorni successivi i tre contingenti della forza multinazionale preparavano i piani per andarsene tra il 10 e il 16 settembre, una settimana prima cioè della scadenza (rinnovabile) del 21 prevista in origine.
Mentre la polizia di Beshir Gemayel affilava le armi, anche i più moderati tra i musulmani mostravano di aver paura. Nei quartieri in cui probabilmente ci sarebbe stata battaglia si trovavano le loro famiglie. Il 6 Settembre il primo ministro Shafiq Wazzan e una delegazione di notabili sunniti chiesero ai comandanti della forza multinazionale che rimanessero fino a quando le truppe israeliane non avessero tolto l'assedio a Beirut. Il 10 Settembre, cedendo alle insistenze dei musulmani, il ministro degli esteri cristiano conservatore Fuwad Butros dichiarò "Il governo libanese desidera la presenza a Beirut della forza multinazionale almeno fino al 21 Settembre". Era una richiesta ufficiale? "No", si schermì il ministro, "questo è soltanto il nostro desiderio". Wazzan e Butros erano allora le massime autorità in Libano. Secondo la costituzione, Beshir Gemayel non avrebbe assunto la presidenza fino al 23 settembre, un mese dopo l'elezione.
Ma l'uomo del momento era lui e prevalse la sua volontà. Il rinnovo del mandato della forza multinazionale, "desiderato" dal governo, non venne chiesto ufficialmente. In questa fase una ferma politica degli Stati Uniti e dei loro alleati europei avrebbe forse potuto evitare il massacro, salvare il Libano e porre le premesse per un negoziato in cui il problema libanese avrebbe potuto essere affrontato insieme con quello palestinese. Bastava che le truppe israeliane si ritirassero di qualche chilometro e la forza multinazionale si assumesse il compito di pacificare Beirut ponendo come condizione il disarmo di tutte le milizie comprese quelle cristiane. Ma nessuno osò prendere l'iniziativa. Tra il 9 e il 10 Settembre si imbarcarono i marines. Il giorno dopo se ne andarono i bersaglieri e il 13 Settembre anche i francesi presero il largo. Per l'invasione di Beirut ovest il campo era libero. "Nei prossimi giorni assisterete a un bello spettacolo, una cosa veramente grossa", confidò Beshir a un giornalista suo amico. Le milizie cristiane si concentrarono a Shweifat, sulla collina che domina l'aeroporto di Beirut.
Ai loro piedi si stendevano, facile preda, i campi di Sabra e Chatila indifesi dopo la partenza dei fedayin. Anche la forza multinazionale che avrebbe potuto e dovuto difenderli se n'era andata. Il 12 Settembre le "Forze libanesi" cominciarono ad ammassare a Shweifat non soltanto i camion per il trasporto delle truppe ma anche i bulldozer che sarebbero serviti per demolire i campi e scavare le fosse comuni. Beshir Gemayel sapeva, allora, in quale spaventosa strage di innocenti si sarebbe risolta la conquista di Sabra e Chatila? Se anche egli aveva pianificato il massacro, non visse abbastanza per vederlo. Il 14 Settembre una carica di tritolo esplose nella roccaforte cristiana di Ashrafie ed egli fu tra i ventuno morti. Scoperto ed arrestato dalle "Forze libanesi" una settimana dopo, l'attentatore, Habib Shartuni, confessò di appartenere al "Partito social nazionalista siriano", un movimento libanese collegato con Damasco, e di aver agito in nome dei suoi "ideali politici". Soltanto con il tempo sarebbero emersi i particolari della congiura. Il padre di Shartuni, un cristiano nemico dei falangisti, era stato ucciso dalle squadre di Beshir Gemayel nei primi anni della guerra civile. Nel 1979 il giovane Habib chiese udienza a Beshir. "Mio padre è morto", gli disse, e io non so dove andare.
Sono libanese come voi, cristiano come voi. Lasciate che torni ad abitare ad Ashrafie" Ashrafie è il quartiere cristiano di Beirut: All'inizio della guerra civile le falangi dei Gemayel avevano cacciato dapprima i musulmani e i drusi, poi chiunque osasse manifestare un'idea diversa dalla loro. La famiglia Shartuni possedeva qui un alloggio nello stesso edificio in cui era la direzione delle "Forze libanesi". Tra gli inquilini non avrebbe mai dovuto infiltrarsi un dissidente, per elementari ragioni di sicurezza. Ma Beshir Gemayel ebbe uno dei suoi slanci di paternalismo e prese il figlio del nemico morto sotto la sua protezione. Habib Shartuni andò ad abitare con la sorella un piano sotto l'ufficio di Gemayel e cominciò subito a preparare l'attentato. Aveva giurato di vendicare il padre e insieme decapitare le "Forze libanesi". Cento grammi per volta, superando i controlli delle guardie di Beshir che cominciavano a conoscerlo bene e a fidarsi di lui, portò l'esplosivo in casa fino a metterne insieme 25 chili. Un lavoro durato tre anni. Il "Partito social nazionalista siriano" gli aveva procurato un detonatore con radiocomando di fabbricazione giapponese, abbastanza perfezionato perché le onde della radio falangista, che trasmetteva dallo stesso quartiere, non provocassero l¹esplosione nel momento sbagliato. Quando Beshir Gemayel venne eletto presidente, Habib Shartuni decise di agire.
Bisognava liberare il Libano dal dittatore prima che fosse troppo tardi. Da un bar presso casa telefonò alla sorella, l'attirò fuori con un pretesto per salvarle la vita e fece scoppiare la bomba. La morte del presidente eletto fece precipitare la situazione. La mattina dopo, 15 Settembre, le truppe di Israele invasero Beirut ovest. Il 16 Settembre il generale israeliano Amir Drori, comandante del fronte nord, ricevette in un ufficio del porto di Beirut il nuovo capo delle "Forze libanesi" Fadi Frem e il responsabile dei servizi speciali Elias Hobeika. Venne deciso di affidare ad Hobeika il comando dell'operazione a Sabra e Chatila. Da Shweifat, le "Forze libanesi" scesero verso l'aeroporto occupato dagli israeliani e da qui raggiunsero Beirut attraversando il sobborgo sciita di Uzay. Per segnalare la strada avevano tracciato ai crocevia, dove sarebbe rimasto visibile per molti mesi, il loro simbolo: un triangolo inscritto in un cerchio. Alle cinque di sera del 16 Settembre entrarono in Sabra e Chatila.
Veniva buio e gli israeliani dai bordi dei campi sparavano razzi illuminanti per facilitare l¹irruzione. Alle sette un gruppo di donne palestinesi corse achiedere aiuto ai soldati del generale Drori, uno dei quali avrebbe poi testimoniato davanti alla commissione d'inchiesta: "Le donne gridavano che i falangisti stavano ammazzando la gente a caso. Avvertii i miei ufficiali ma mi risposero che era tutto in regola". Una prima ondata di civili in fuga si riversò nella "foresta dei pini", un parco che era l'orgoglio della città prima di essere ridotto dalle bombe israeliane ad una distesa di tronchi senza vita. Fu qui che si diffusero le prime notizie del massacro. Un giovane palestinese, Zakaria Sheikh, soccorse una donna piangente e da lei seppe quello che stava avvenendo. Sull' unica grande strada, sempre piena di polvere o fango, che attraversa Chatila c'era il negozio di bicicletta di un tale Abu Walid Harb.
La donna abitava nella baracca accanto. Il marito e il figlio più grande si erano messi in salvo qualche ora prima, quando era giunta voce che stavano arrivando le milizie cristiane. Ma lei era rimasta, con il figlio più piccolo. Gli arabi, in genere, non ammazzano donne e bambini. Sono le mogli che restano a custodire la casa quando gli uomini scappano. Una legge non scritta della guerra impone di rispettarle. Ma quella sera le "Forze libanesi" volevano vendicare Beshir Gemayel e non avevano più legge.
Quando tre miliziani sfondarono la porta, la donna strinse più forte il bambino, come cercando di nasconderlo tra le vesti. Un uomo l'afferrò per il collo mentre gli altri le strappavano il figlio dal petto. Ridevano. Sbatterono il bambino in un angolo e presero la mira con i fucili. "Non uccidetelo", gridò la donna, "per amor di Dio, no!". Si buttò avanti per ripararlo con il suo corpo, fu ricacciata con il calcio del fucile nel petto. E ridevano. Il bambino cominciò a strisciare, piano paino, tremando, verso la madre. Uno dei tre miliziani l'afferrò per un piede, come si afferra un pollo, e lo ributto nell¹angolo. "Uccidete me invece", gridava la donna, "in nome di Dio, pietà". "No, è lui che vogliamo. Tra pochi anni diventerebbe un terrorista". Adesso non ridevano più. Il bambini gridava "Mamma, mamma" quando una raffica gli crivellò il corpo. Nella stessa strada abitava il vecchio Abu Diab con la figlia di diciassette anni, Aida.
Pensava di non aver nulla da temere perché era cristiano. Palestinese, ma cristiano. La sua morte ebbe una testimone, Umm Wisam, una vecchia che viveva nella stanza accanto e che nascosta dietro un mobile in cucina, udì, attraverso una parete sottile, lo schianto della porta sfondata e subito dopo una raffica di mitra. Alcuni proiettili bucarono il muro. Anche qui gli intrusi ridevano. Ci fu un rumore come di lotta, ma come avrebbe mai potuto lottare il settantenne Abu Diab contro un manipolo di miliziani in armi?
Poi un grido, inconfondibile, e allora Umm Wisam capì: stavano violentando Aida, Aida che adesso gemeva debolmente mentre il padre ripeteva con voce bassa e fremente un'unica frase: "Dio vi maledica". Un nuovo urlo, terribile, si spense tra il crepitare di altre raffiche. Un breve, profondo silenzio sullo sfondo del cannone che in lontananza continuava a tuonare, poi i passi dei miliziani che se ne andavano. Umm Wisan osò uscire soltanto il giorno dopo, quando ormai le milizie si erano spostate verso altri quartieri di Sabra e Shatila. Il corpo di Abu Diab era sull'uscio, braccia e gambe legate, un grande squarcio sulla spalla sinistra, vicino al collo.
Lo squarcio di un'accetta. Aida, seminuda, stava sul pavimento, il petto e il collo profondamente graffiati, due fori di pallottola vicino al cuore. La vecchia cercò di ricomporle le vesti e soltanto allora si accorse che dal ventre spuntava il manico di una baionetta. Dal tetto di un caseggiato che domina Chatila gli ufficiali israeliani seguivano l'operazione. Per tutta la notte e per tutto il giorno seguente le "Forze libanesi" si abbandonarono ad un macello sistematico. Mentre alcune compagnie procedevano al rastrellamento, altre bivaccavano in un edificio abbandonato presso l¹ambasciata del Kuwait pronte a dar loro il cambio.
Gli israeliani fornivano i viveri: sul posto venne poi trovato un mucchio di scatolette di carne con le etichette in caratteri ebraici. I palestinesi in età di portare un'arma venivano concentrati in uno stadio in rovina al margine di Chatila.
Molti vennero uccisi prima di arrivarci. I morti venivano seppelliti nei crateri aperti dalle bombe dell'aviazione durante l'estate e coperti dalla terra smossa dai bulldozer. Molti non vennero più ritrovati. Selma, tredici anni, è scampata per caso al massacro. "Eravamo in cinque", racconta, "mio padre, mia madre, mio fratello, la nonna ed io. Rimango soltanto io.
Era la sera del 16 Settembre. Stavamo da ore nascosti in un rifugio e siamo usciti perché non potevamo più respirare. I falangisti scendevano dalle dune al bordo del campo di Chatila. La mia gente è corsa loro incontro, agitando fazzoletti bianchi e implorandoli di non sparare. Hanno cominciato a far fuoco sugli uomini. Poi, anche sulle donne e i bambini. Mi sono nascosta in un gabinetto e di lì ho visto ammazzare la mia famiglia e quasi tutti i miei vicini. Il quartiere veniva rastrellato casa per casa. Gli uomini venivano uccisi subito, le donne e i bambini venivano portati in uno spiazzo, davanti a casa mia. A un certo punto ho messo il naso fuori dalla finestra e un falangista mi ha sparato, senza colpirmi. Poi ha detto a una vicina di venirmi a chiamare. Ero stata chiusa cinque o sei ore nel gabinetto, soffocavo. Sono uscita nel buio e il falangista ha puntato una torcia elettrica per vedere se ero una ragazza o un ragazzo. "Sei palestinese?", ha gridato, "voi palestinesi volevate rubarci il Libano". "Sullo spiazzo c'era la famiglia di mio zio. Mio cugino di nove mesi piangeva.
Il falangista ha gridato: "Perché piange? Mi ha rotto le scatole", e gli ha sparato in una spalla. Io ho supplicato di risparmiarlo e allora lui lo ha afferrato per una gamba e con una baionetta lo ha ucciso. In qul momento è arrivato mio zio Feisal. Un tipo picchiatello, che rideva o parlava da solo, oppure si metteva a cantare all'improvviso. Ho implorato i falangisti che non gli sparassero: "Avete ucciso tutta la mia famiglia, mi resta soltanto lui". Siamo rimasti così tutta la notte, mentre i razzi illuminanti esplodevano alti sopra di noi. Al mattino sono arrivati camion e furgoni per raccogliere i cadaveri. I falangisti hanno detto a mio zio Feisal di aiutarli. Tra i mucchi di corpi senza vita Feisal ha trovato sua madre. Per tutta la notte aveva canterellato senza capire cosa stava succedendo ma allora si è messo a piangere, perché sua madre era morta. Hanno portato i cadaveri nello stadio e li hanno messi nelle buche scavate dai bombardamenti aerei di quell'estate. Poi hanno condotto nello stadio anche noi e ci hanno detto di aspettare.
Ci hanno tenuto lì fino alla mattina di sabato 18 Settembre. Ho visto un bambino di due anni, figlio dei miei vicini, sepolto vivo sotto il corpo di sua madre. L'ho tirato fuori, ho trovato una coperta e gliel'ho buttata addosso. Non so cosa ne è poi stato di lui. Il sabato i falangisti se ne sono andati ordinandoci di non muoverci. Dopo un po' sono scappata, ho chiesto aiuto ad alcuni soldati israeliani, che mi hanno portata verso il centro con un¹auto e mi hanno lasciata andare. Ho dormito nel parco dell'Università americana. Domenica sera sono tornata a Chatila, con altri vicini, per cercare le nostre famiglie.
Le strade del campo erano coperte di cadaveri. Sono tornata a casa. Ho trovato mio zio Feisal, quello che li aveva aiutati a raccogliere i corpi dei morti. Prima di andarsene avevano ammazzato anche lui". La notizia della strage cominciò a circolare venerdì 17 Settembre e alcune ambasciate informarono i loro governi. Le "Forze libanesi" adesso dovevano fare in fretta. Spararono allora su tutto ciò che ancora si muoveva a Chatila, alla rinfusa, senza più curarsi di raccogliere i cadaveri che rimasero accatastati nella polvere dei vicoli. Intanto altri reparti rastrellavano i quartieri di Sabra e Fakhani, ammassando centinaia di prigionieri tra le macerie dello stadio bombardato presso i campi palestinesi.
Di questi ostaggi non si sarebbe saputo più nulla: soltanto una parte venne ritrovata nelle fosse comuni. La mattina di sabato 18 Settembre l'operazione era conclusa. Un plotone di soldati israeliani entrò finalmente in Sabra e Chatila. Fece cessare la strage ma lasciò che gli assassini se ne andassero per la strada da cui erano venuti portando con loro i prigionieri. Nessuno saprà mai il numero esatto dei morti: 460 secondo l¹inchiesta ufficiale libanese, duemila secondo le valutazioni dei superstiti. Le fosse comuni scavate dalle "Forze libanesi" non vennero mai più aperte. L'esercito libanese, che intervenne qualche giorno dopo, si limitò a sgomberare in fretta e furia i corpi rimasti insepolti a Chatila: soprattutto libanesi sciiti, uccisi a caso dalle milizie ebbre d'odio. La preoccupazione principale dei soldati libanesi non era certamente di far luce sul massacro. L'ordine era di distruggere il maggior numero possibile delle baracche i cui abitanti erano morti o scappati, prima che fossero riparate e servissero a perpetuare l'odiata presenza palestinese. La strage di Sabra e Chatila raggiunse lo stesso effetto che i terroristi israeliani avevano attenuto 35 anni prima a Deir Yassin, un villaggio della Palestina i cui abitanti furono fatti a pezzi dai seguaci del futuro primo ministro Menachem Begin.
I superstiti fuggirono atterriti lasciando il campo libero ai conquistatori. Soltanto donne e bambini troppo poveri per sapere dove andare rimasero accampati tra le rovine. Ed erano loro, testimoni che l'inchiesta ufficiale non volle mai ascoltare, a raccontare che sotto le case demolite dai militari, sotto il terreno spianato dai bulldozer, erano rimasti molti cadaveri che nessuno aveva interesse a contare. I corpi recuperati venivano gettati in una buca all'ingresso di Chatila, presso l¹unica fontana cui le donne del campo potevano allora attingere l'acqua. Soltanto dopo l'insurrezione dei musulmani di Beirut ovest nel Febbraio 1984 fu costruita qui una sorta di sacrario. Finchè la forza multinazionale, tornata dopo il massacro, rimase a Beirut per sostenere le autorità libanesi, queste non permisero che fosse posta una lapide sulla fossa comune, riconoscibile perché la terra ammucchiata in fretta sui morti formava una montagnola. Le delegazioni parlamentari europee che durante quel periodo venivano a spendere belle parole di circostanza sulla tragedia del popolo palestinese non mancavano mai di farsi scortare fino a questo Monte Calvario che per gli stranieri era diventato quasi un¹attrazione turistica. Ma i passanti libanesi non lo degnavano di uno sguardo e se i bambini palestinesi, che avevano madri e fratelli sottoterra, volevano ogni tanto portare un fiore, dovevano farlo prima dell'alba, quando ancora non circolavano le pattuglie dell'esercito libanese sempre solerti nel reprimere questi atti sediziosi. L'inchiesta ufficiale fu affidata al procuratore militare Asaad Germanos. Il massacro, secondo i testimoni, era stato compiuto da 1500 uomini che parlavano il dialetto di Beirut e indossavano l'uniforme delle "Forze libanesi". Beirut non è così grande da rendere impossibile l'identificazione, tanto più che le indicazioni dei superstiti erano precise: tra gli assassini si erano distinti i reparti dei comandanti Elias Hobeika, Dib Anastas, Joe Edde, Pussy Ashar. Ma quando gli domandai se avrebbe interrogato questi personaggi, il magistrato rispose con altera dignità: "Non posso lasciarmi influenzare dalle voci". No, il procuratore Germanos non andò a Sabra e Chatila, e i palestinesi superstiti che dalla "legalità" libanese avevano tutto da temere si tennero ben lontani dal suo ufficio. Dimostrarono maggior zelo gli inquirenti israeliani della commissione Kahane, che a un certo punto vennero anche a Beirut per documentarsi. Ma a loro interessava soltanto accertare le responsabilità morali del primo ministro Begin e del generale Sharon, ministro della Difesa. I nomi degli esecutori materiali dell¹eccidio non vennero mai resi pubblici nemmeno in Israele, con grande sollievo degli interessati. Il giorno in cui fu presentato il rapporto della commissione Kahane, nei quartieri cristiani di Beirut molta gente era incollata alla radio, per sapere se sarebbero stati pronunciati certi nomi. A Sabra e Chatila trovai invece l¹indifferenza più assoluta. Nessuno, letteralmente nessuno, aveva sentito le notizie. "E a noi che importa se Sharon perderà il posto?" mi disse la gente del campo. "Le sue dimissioni non faranno rivivere i nostri morti e nemmeno daranno a noi che siamo vivi una casa decente, un luogo dove stabilirci sicuri che domani non saremo noi ad essere scannati. Parole profetiche, perché alcuni tra i palestinesi che interpellai quel giorni sarebbero poi stati messi a morte dagli sciiti.
Il 21 Giugno 1983 anche il procuratore Germanos concluse la sua inchiesta con un¹affermazione meravigliosamente levantina: Israele veniva indicato come responsabile morale del massacro del quale non si trovavano gli esecutori materiali. Né il partito falangista né le "Forze libanesi" che ne sono l'organizzazione militare, sostenne il procuratore, avevano dato ai miliziani l'ordine di fare una strage. Era dunque impossibile distinguere fra "azioni di guerra" e "crimini individuali" e il verdetto fu di non luogo a procedere.
Da quel momento in Libano di Sabra e Chatila non si parlò più. La stampa locale rispettò la consegna del silenzio, quella straniera venne censurata. Soltanto una volta, nel Settembre 1983, mentre già infuriava la rivolta dei musulmani e dei drusi contro il regime, il muftì sciita Abdel Amir Kabalan, una delle massime autorità religiose, sbottò durante una predica: "Se il governo avesse perseguito i colpevoli delle stragi con lo stesso impegno messo nel censurare la stampa che ne parlava, ora non ci sarebbero nuovi massacri in tutto il Libano." Nuove guerre insanguinano oggi la bolgia libanese. La strage di Sabra e Chatila è quasi dimenticata, come tante altre in questa parte del mondo: la "Quarantena" di Beirut, Tell Ez Zaatar, Damur, Hama in Siria, nomi a cui il tempo ha tolto ogni significato.
Ma forse i soldati italiani che per diciassette mesi hanno montato la guardia presso la fossa comune non dimenticheranno tanto presto. Erano tornati in Libano all'indomani di Sabra e Chatila per difendere i superstiti, vennero coinvolti nel sostegno di un regime che arrestava e torturava le vittime, e proteggeva gli assassini.

 
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Post N° 380

Post n°380 pubblicato il 09 Settembre 2006 da betulla64
 
Tag: dap
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Oggi per il mio compleanno, ho scelto di regalarmi un funerale.
Io che rifiuto puntualmente ogni invito a matrimoni, battesimi e affini, improvvisamente ho accettato di attraversare mezza provincia (che non a caso chiamano GRANDA) per partecipare alle esequie di una sconosciutissima parente di una parente di mio marito.
La giornata è iniziata con la sveglia alle 7.30, un cielo che più triste non si può e gli auguri di un coniuge vispo come solo lui sa essere tre secondi dopo aver aperto gli occhi. La mia risposta è stato un grugnito seguito dal pensiero: "ma chi me l'ha fatto fare?".
Incerta tra la fuga strategica verso il letto adducendo il solito panico e la vergogna per essere sempre la solita rompiballe, mi sono drogata con un esageratissimo milligrammo di xanax e ho dato il via alle danze.
Tutto si è svolto in modo tranquillo e rilassato. Cerimonia rapida e intima, condoglianze di rito e via verso casa. Essendo ormai ora di pranzo e sentendomi sufficientemente a mio agio protetta dalla pillolina magica che un poco mi rincoglioniva l'animo, ma molto mi sollevava lo spirito, abbiamo deciso di fare sosta in un un ristorante cinese, dove ho tenuto un comportamento encomiabile, riuscendo a rimanere seduta per tutto il tempo, a spazzolare con sfrontatezza quanto di commestibile l'orientale fanciulla mi sventolava sotto al naso e a concedermi perfino un digestivo che però, ahimè, ad un certo punto deve essersi scontrato con il famoso milligrammo di xanax il quale guardandolo stupito deve aver esclamato: "che ci fai tu qui????" Il tempo di salire in auto e arrivare a casa, e i due si erano scambiati saluti e affettuosità, così che la catalessi già mostrava i primi sintomi. Mi sono risvegliata dopo tre ore, nel mio bel lettino, con un mal di testa da paura e un pensiero fisso: com'è che ho deciso di partecipare a questo funerale? L'unica risposta che mi è venuta in mente, non so quanto logica e non so quanto rassicurante per me, è che ai funerali, al contrario delle mille altre occasioni che nella vita ci portano "fuori", nessuno ti chiede di essere felice. Che poi succeda di esserlo e di avere in regalo uno dei compleanni più simpatici degli ultimi anni, questo è il Dio delle piccole cose...



 
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Post N° 379

Post n°379 pubblicato il 08 Settembre 2006 da betulla64
 

C'era una volta una panchina...
 
           ... sospiro ...


Il faut de la musique!



Les botzaris c'est sous la Lune
Les blés d'Chaumont dans la brume
Je longe les rendez-vous
Ils seront là, ils seront tous fous
Les amoureux d'aujourd'hui
Savent qu'il reste des bancs dans Paris
Demain, le Soleil d'hiver
Caressera les bouquets fébriles.
De l'espoir plein la gibecière
Ils iront tranquilles

Les pigeons perdront leurs plumes
Avec elles nous écrirons
L'histoire des coeurs du bitume
Qui dans l'espoir nous survivront
C'est sans fin que l'amour citadin
S'allonge sur du bois vert
C'est depuis toujours qu'y habitent l'amour
Et ses discours
On pourrait croire qu'assassin, le temps nous casse
On pourrait croire que le destin, fatalement, se trace
Quitte un jour, ou abandonner son tour
À deux paires d'yeux, deux peaux de pêche
Éclats de rire de la jeunesse

Mais ce matin il n'en est rien
Je t'ai vue de loin
Ton journal à la main
La nuit d'hier, d'aujourd'hui, de demain
Tu portes, fière, l'image
De ta promesse, mais sans savoir
Qu'c'est à moi qu'elle s'adresse

Tant qu'il y aura des bancs reste un pays de sentiments...

(Mano Solo)


 
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Post N° 378

Post n°378 pubblicato il 06 Settembre 2006 da betulla64
 
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ma in fondo in fondo,
vada come vada,
quien me quita lo bailado?

 
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Post N° 377

Post n°377 pubblicato il 05 Settembre 2006 da betulla64
 
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Me lo ha detto pure l'amico mio grande che forse non è il caso, ma io sono capocciona e da quando ho saputo che il giorno dell'intervento si avvicina, non riesco a fare a meno di spulciare tutti i siti che parlano di tiroidectomia. Ci ho passato la mattinata, come se leggendo i particolari più morbosi fosse possibile esorcizzare il terrore.
Ho trovato di tutto, compreso un forum dove ci si iscrive e si aspira a diventare lupetti, privilegio questo riservato solo a chi abbia subito lo sgozzamento rituale (e possibilmente totale), che sia per Basedow o sia per noduli, l'importante è che si sia passati indenni attraverso le due ore e mezza di intervento e che si sia in grado di descrivere con precisione svizzera il post-operatorio, dal numero di punti di sutura applicati, alla quantità di cannule di drenaggio che spuntano dalla ferita...
Vorrei scappare.
Al panico ci sono abituata, so gestirlo alla perfezione ormai e anche il gesto istintivo di afferrare la mano di mio marito e sussurrare: "panico....portami a casa" è qualcosa di così normale che non mi crea più il minimo imbarazzo. Ma questo no. Questo è umano terrore e in quanto tale, mi trasforma in una umanissima vigliacchissima pusillanimissima e, udite udite, NORMALISSIMA persona che pagherebbe qualsiasi cifra pur di non dover affrontare il chirurgo. Non passa giorno, o ora, o minuto senza che senta il desiderio prepotente di farmi abbracciare da qualcuno (andrebbe bene anche il postino) e chiedergli di consolarmi, di dirmi che non sentirò male, che non perderò la voce, che non diventerò una balenottera rotolante giù per i monti cuneesi.... Ma ho paura e mi vergogno come una ladra a dirlo. Mi vergogno a piangere, io che ho sempre pianto così come respiro. Mi vergogno a chiedere conforto perchè una voce dentro mi dice che devo essere coraggiosa, almeno questa volta.... Ma porca puttana! Da vent'anni mi spavento per le cazzate più assurde e ora censuro l'unica paura legittima della mia carriera di dappista?
Vorrei sparire. Vorrei addormentarmi e risvegliarmi tra cent'anni, quando con una pillolina un medico stile Star Trek mi riporterà la ghiandola a dimensioni e prestazioni normali.... non importa se le orecchie mi verranno a punta. Voglio Spock!
 

 
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Post N° 376

Post n°376 pubblicato il 04 Settembre 2006 da betulla64
 
Tag: dap
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Chiedo scusa.
Per la prima volta cancello un post.
Fa troppo male e non ne vale la pena.
Non risolve i miei problemi e fa solo stare peggio.
L'amore è più importante della rabbia e di amore ce n'è tanto.

 
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Post N° 375

Post n°375 pubblicato il 02 Settembre 2006 da betulla64
 
Tag: dap
Foto di betulla64

Oggi pomeriggio, dopo tanto, tanto tempo, sono tornata a passeggiare lungo il torrente. Ancora qualche turista, molte mamme e nonne con i bambini, varia umanità a godere di questa inaspettata giornata estiva.
Il mio torrente soffre la sete e i frassini sulle sue rive sono impolverati e un poco tristi, ma è sempre lui, in ogni ansa, in ogni pietra è lo stesso corso d'acqua che ho lasciato mesi fa perchè assalito da orde di vacanzieri joggheggianti, lo stesso che ha visto uscire dalle mie scarpe pensieri e paure e che mi ha regalato una piccola, intima primavera di libertà fuori da questa cucina.
Sarebbe bello tornare a risentire quello stimolo al "fuori", quel desiderio di aria e cielo che mi fa lasciare a casa l'angoscia e sfilare i piedi dalle ciabatte per saggiare l'asfalto e la pietra. Se provo ad essere logica e razionale, mi viene da chiedermi cosa possa essere così forte e prepotente da impedirmi queste uscite, poi mi ricordo che il panico non ha nulla di logico e ancor meno di razionale. Voglio provare con la teoria dei piccoli passi: domani magari un'altra uscita e magari approfittando della compagnia di mio marito, potrei spingermi fin dentro al paese. Ho voglia di vestirmi da donna, di mostrarmi, di esserci. Da lunedì potrei fare piccoli percorsi senza allontanarmi troppo, ogni giorno una curva, uno spazio che si apre, un orizzonte nuovo.
Piccoli passi per traguardi importanti, per arrivare a ottobre, mese di svolte, forse. Mese di depressione, sempre. Quest'anno non posso permettermi sbandamenti perchè so di non essere in grado di riprendermi. Quest'anno devo arrivarci preparata e combattiva e allora, piccoli passi ogni giorno nel fuori per ricordarmi che esisto, respiro, vivo.
Dio, fammi arrivare ad ottobre psichicamente integra.
E dopo sia quel che sia.



(Foto:
Agosto 2005 - Rocca dell'Abisso 2755 m.)





Aggiornamento a domenica 03/09/06

Ci ho preso...

Oggi festa della Contea con rievocazione storica e mercatino annesso.






Il matrimonio del Conte....














Duello dell'amor cortese...







...E le foto le ho fatte io...

Grazie a tutti gli ectoplasmi presenti :)

 
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Post N° 374

Post n°374 pubblicato il 02 Settembre 2006 da betulla64
 
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Rubato a
sera_nera


In una parola, spiega perche e' terminata la tua ultima relazione: Disillusione
Chi ti ha fatto ridere oggi?: Tremonti....
Cosa stavi facendo questa mattina alle 8?: Stavo a letto a pensare
Cosa stavi facendo 15 minuti fa?: Sorseggiavo il caffè
Dicci qualcosa che ti e' successo nel 1985: Sono stata chiesta in sposa e ho risposto "sì"
La tua cena di maturita' con i parenti?: Non ho permesso a nessuno di decidere se e quanto fossi matura :)
L'ultima cosa che hai detto urlando?: "NO!"
L'ultima cosa che qualcuno ti ha detto gridando?: "Ziaaaaaaa, il palloneeeeeeeeeeee!!!"
Il peggior programma televisivo?: Esiste la categoria dei migliori?
Cosa hai trovato oggi nella cassetta della posta?: Ancora non ho trovato nulla, ma essendo sabato sarà la pubblicità del supermercato.
Quante bevande hai bevuto oggi?: Acqua e caffè
Qual è la parte della giornata che preferisci?: Un tempo era la notte, ora detesto ognuna delle 24 eternissime ore che la compongono
La tua lista delle cose da fare?: Sistemare casa, cucinare, trovare una scusa per non uscire
Dove si trova adesso la tua migliore amica?: Non ho una migliore amica
Di che colore e' il tuo spazzolino da denti?: Bianco
Cosa c'e' dietro alla tua porta d’ingresso?: L'attaccapanni
Cosa farai venerdi' sera?: Quello che faccio ogni sera
Il tuo negozio preferito per fare acquisti?: Ferramenta
L'ultima cosa che hai comprato?: Un regalo per mia sorella
Ultimo regalo ricevuto?: Un mouse
La cosa piu' divertente che tu abbia mai sentito?: Signori si nasce...e io (modestamente) lo nacqui!
Una persona stupida ma della quale non puoi fare a meno?: Me stessa
Di che colore e' la porta della tua stanza?: Noce scuro
La prima cosa che hai fatto questa mattina?: La pipì
Ultima cosa che hai mangiato?: Un plum cake
Il tuo cellulare e' passato?: Se sì, lo ha fatto in punta di piedi.....
Cosa non vedi l'ora di fare nelle prossime sei settimane?: Eliminare la maledetta ghiandola
Cosa ti annoia?: La TV
C'è una persona a cui stai pensando in questo momento?: Al dottor Emmolo
L'ultimo posto in cui sei andata?: Al supermercato sabato scorso
L'ultima persona che hai chiamato?: Il mio amico grande
Assomigli di piu' a tua madre o a tuo padre?: Fisicamente a papà. Il carattere a volte somiglia pericolosamente a quello di mamma....
Sorridi spesso?: Non lo so più
Pensi che ci sia qualcuno che sta pensando a te in questo momento?: Col cuore certamente. Magari la mente ce l'ha in linux :)
Hai mai espresso un desiderio guardando una stella cadente?: Sì...e non funziona
Deodori le tue scarpe ogni volta che le togli?: Ma siamo matti?
Ti piace il sushi?: No
Uccideresti qualcuno?: No
L'ultima volta che hai pianto?: Mercoledì sera
Ti piace la tua calligrafia?:T  No
Sei una persona amichevole?: Lo ero assai
Hai un segreto inconfessabile?: Uno??????
In quale letto hai dormito la scorsa notte?: Il mio
Di che colore sono le tue coperte?: In queste notti "indosso" un copripiumone verde

 
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Post n°373 pubblicato il 01 Settembre 2006 da betulla64
 
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tic-tac...

tic-tac...

tic-tac...


y yo que amo lo que es mío

que es la pregunta como la respuesta

vivía todo eso como detrás de una puerta

apenas entreabierta.


(Ivano Fossati - Josè Seves - L'orologio americano)





ricordatelo la prossima volta
così ti puoi organizzare
... magari scappando

 
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Radiobet


 

È tempo di...



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Parole al vento...

 "Laudato sie, mi signore,
cun tucte le tue creature..."


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"El bosque precede al ombre
pero le sigue el desierto"
 

"Grande importante malattia quella di Basedow!... tutti gli organismi si distribuiscono su una linea, ad un capo della quale sta la malattia di Basedow che implica il generosissimo, folle consumo della forza vitale, il battito di un cuore stremato, e all'altro stanno gli organismi immiseriti per avarizia organica..."

da "La coscienza di Zeno"
 
 

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