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L'algoritmo del paté reloaded

Post n°533 pubblicato il 23 Dicembre 2011 da LaDonnaCamel
 
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Questo è un repost. Ormai sono passati molti anni dalla prima volta ma mi piace farlo ancora allo stesso modo: viene sempre diverso, forse pure meglio o forse invece è sempre uguale, è difficile dirlo. Non lo faccio solo a Natale, qui ne andiamo tutti ghiotti, ma a Natale non posso farne a meno, tutti se lo aspettano e io non li deluderei mai.
Il pane, ognuno ci mette sotto quello che preferisce.

L'algoritmo del paté è una metafora: per forza: il paté è un'arte, non una scienza esatta. Impossibile riprodurre il rapporto stechiometrico degli elementi, nemmeno con la bilancia atomica. Nemmeno controllando temperatura-pressione-umidità relativa. La materia culinaria proviene dalla vita, proprio come la materia narrativa. Una vita un po' meno consapevole, quella delle galline che generosamente hanno donato il proprio fegato per il compimento della sublime miscela. Ma non è detto.
Il risultato è sempre maggiore della somma delle sue parti ma l'ingrediente fondamentale è l'amore. L'amore che bisogna mettere in tutte le cose per la migliore riuscita, se no la maionese impazzisce, la torta non lievita, il racconto non convince.
Se vuoi cimentarti in questo esercizio di stile, procurati 200/300 grammi di fegatini di pollo, mondati dalle loro amare pellicine, e 100 grammi di fegato di vitello.
Un bagnetto nel latte li renderà più soavi, ma se preferisci le sensazioni forti lasciali così, nature. Una grossa cipolla verrà tagliuzzata e adagiata in una padella larga e accogliente, una foglia d'alloro e un rametto di salvia le faranno buona compagnia, ma solo durante la cottura, perché l'intensità di certi sapori deve essere ambigua come un secondo piano di lettura. Una generosa fetta di burro servirà ad appassire questi vegetali, finché non siano degni di accogliere i fegati, scolati e tagliati a pezzetti. Il fuoco sia dolce e il cucchiaio di legno.
È cotto? Allora aggiungi il sale e butta tutto nel robot.
Ma non è ancora finita: bisogna metterci il prosciutto cotto, che potrebbe essere cento grammi, e la besciamella. Per la prima esperienza ti concedo quella industriale, che si munge dal parallelepipedo di cartone, ma in seguito, quando non ti accontenterai delle frasi fatte, sono certa che interverrai anche in questa fase del processo per controllarne ogni minimo particolare. Quanta? poca: due, tre cucchiaiate. Come certe descrizioni paesaggistiche, serve per legare, ma diminuisce il sapore.
E poi il burro crudo. Tanto, tanto burro. Il burro è il sistema portante del patè, la sua struttura. Non essere tirchio: almeno 200 grammi.
E ora gira, macchinetta. Trita, mescola, monta.
Ho detto tutto? No, manca ancora un particolare: è solo in questo finale, decisivo momento, che io aggiungo un bicchierino di cognac. Mi piace farlo mentre il magma vitale si contorce e la metamorfosi si compie. Il liquido dorato viene inghiottito, esalando sospiri inebrianti e spiritati.
Non assaggiarlo ora, golosone: il patè deve essere freddo, altrimenti certi sapori prevaricheranno gli altri e ti sembrerà di avere sbagliato tutto.
Lascia invece che la tua opera viva di vita propria. Ciò che è stato è stato. La ricerca della perfezione verrà nella reiterazione dei gesti iniziatici, i particolari verranno resi sublimi con la ripetizione rituale della formula, quando non avrai più bisogno di consultare gli appunti ma l'avrai fatta tua.
Per sempre

 
 
 
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