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Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

 

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Fotoromanzo - Backstage e contenuti speciali

Post n°473 pubblicato il 23 Luglio 2011 da LaDonnaCamel
 

Avvertenza: questo post è autoreferenziale. Se non hai letto le puntate precedenti peggio per te.

 

Oggi sono saltata in groppa alla mia solitudine. Andiamo a farci un giro sulla Martesana? le ho sussurrato tra le orecchie.
La casa era vuota, era l'una e mezza e nessuno mi aveva detto se veniva a mangiare. Nessuno mi aveva detto nemmeno che non veniva a mangiare, stavo nella terra di nessuno.
Dai, mi ha fatto lei scrollandomi giù, andiamoci con la bici invece.
Eh, ho argomentato io, così come al solito mi tocca pedalare a me.
Facciamo un po' per uno?
Ma quando mai.
Lei ha girato gli occhi da una parte e ha mosso un baffetto, fa così quando le scappa da ridere, la conosco.
Va bene. Ho accettato. Dopotutto potrebbe staccarmi la testa con un morso in qualsiasi momento.
Mentre pedalavo mi è venuto in mente che non avevo raccontato niente dei guai che mi erano successi l'ultima volta.
Hai voluto fare il finalone a effetto, mi fa lei, e adesso ti lamenti.
Dai sempre la colpa a me.
È perché non ascolti i consigli.
Son stata zitta, era inutile ricordarle che di consigli non me ne aveva dati affatto e avevo dovuto cavarmela da sola. Per modo di dire. (*)


La missione era partita male dall'inizio, forse perché ero uscita di casa più presto delle altre volte, certi rituali vanno rispettati nei minimi particolari. Appena avevo imboccato la ciclabile vicino al naviglio mi era saltato via un pedale. Di fronte a me arrivava una piccola comitiva di adulti e bambini, son riuscita in qualche modo a frenare e a mettere giù i piedi senza travolgerne nessuno. Questa cosa non mi era mai successa. Son tornata indietro a prendere il mio pedale e ho visto che si era svitato, ci voleva qualche attrezzo che, ovviamente, non avevo. C'era anche un tappo incastrato a nascondere la vite, o il bullone, si vedeva dall'altra parte la filettatura, in modo che non potessi nemmeno indovinare la forma dell'attrezzo che, eventualmente, mi serviva.
Spingendo la bici a mano - non sapevo se sarei stata capace di pedalare con un piede solo - sono uscita dalla ciclabile. Pensavo di andare dal benzinaio che c'è lì vicino o, in subordine, al supermercato a comprarmi almeno un cacciavite per estrarre il tappo e vedere che altra chiave o brugola o cosa.
Cammina cammina, certo che è molto comodo spingere una bici senza pedale che ti intralcia contro le caviglie, sono arrivata al distributore. Era chiuso. Però c'era un gruppo di persone che parlavano e scherzavano tra loro.
Deve far benzina? mi ha chiesto uno ridendo.
Eh, mi piacerebbe, avessi ancora la macchina. Gli ho mostrato il pedale, che avevo messo nel cestino davanti. Mi sono venuti tutti intorno, come succede in questi casi, e ciascuno aveva un buon consiglio da darmi. Era capitato anche a loro, molte volte, una signora era addirittura caduta.
Vediamo qua, ha detto quello che mi voleva fare il pieno. Gli ho porto il pedale, lui l'ha guardato e ha tirato fuori dalla tasca una chiave. Non era una brugola, era chiave del gabbiotto del distributore.
Sono salva, ho pensato.
Difatti con un cacciavite ha tolto il tappo e poi con una chiave da dieci o da dodici, non so, mi ha riavvitato il pedale. Mi ha anche limato un po' il filetto che si era danneggiato e non prendeva più bene, il tutto tra gli applausi dei presenti e i miei più sentiti ringraziamenti.
Son ripartita circospetta, per via del filetto, ripromettendomi di farla vedere dal mio biciclettaio non appena possibile. Poi non l'ho fatto, ovvio. Però sto molto attenta e vado pianissimo dove è sconnesso. Per precauzione mi sono messa in borsetta il mio coltello da marinaio, così almeno il tappo lo posso levare io.
Con questa storia del pedale mi sono bruciata tutto l'anticipo e sono arrivata vicino al punto ics più o meno alla stessa ora delle altre volte. Mancava ancora una manciata di pedalate quando sento un guarda là che mi mette all'erta. Erano un padre e un figlio che mi venivano incontro. Guardo subito là anche io e vedo quella bellissima nutria che nuota in mezzo al canale. Butto la bici sul prato e mi precipito, tutta emozionata.
Le prime foto vengono uno schifo, e meno male che quella andava avanti e indietro pavoneggiandosi altrimenti non avrei portato a casa un bel niente.

Ero emozionata, mi tremava la mano, scattavo prima che fosse a fuoco, scattavo prima di inquadrare, mi fotografavo i piedi, il parapetto, il prato, il cielo.
Calma e sangue freddo.
Ho preso un bel respiro.
Ho inquadrato.
Ho aspettato il bip che con tutta quella luce non si vede niente sul display e bisogna andare a orecchio.
Ho scattato. Almeno una è andata.
Poi ho provato con lo zoom, ma non c'è verso di mettere a fuoco. Sì, sì, avevo detto che avrei preso la macchina vera. L'ho detto? Però la sim era rimasta nel computer di qualcuno e senza memoria potevo contare su quattro foto. Che me ne faccio di quattro foto? Per tirarne fuori una passabile ne devo fare almeno duecento, hai mai provato a mettere in mano una macchina fotografica a una scimmietta?
Intanto la nutria faceva esercizi da circo a mio beneficio: si tuffava con una capriola e poi riemergeva poco più avanti, piluccava le alghe sul fondo, mi veniva incontro muovendo le orecchie. Io la seguivo sul diplay e ogni tanto riuscivo anche a prenderla nella foto, un godimento.
Poi a un certo punto si è stufata e si è arrampicata sulla riva, dall'altra parte, sparendo nelle frasche.
Bè, comunque grazie. Adesso vado al posto dell'altra volta, chissà se è la stessa o un'altra.
Inforco la bici e passo sotto il ponte. Il posto preciso l'ho localizzato oggi, è dove la via Ponte nuovo incontra la Martesana, se vai su google map lo vedi, ci sono anche le foto. La nutria vecchia, la "mia" nutria l'ho vista dopo il ponte, verso Crescenzago, quella nuova invece poco prima del ponte, nell'ultima parte del parco.
E difatti era proprio lì che mi aspettava, la "mia" nutria. Non poteva essere la stessa, con la bici avevo fatto presto. E poi, per non smentirsi, appena mi ha vista è scappata dentro la tana: era lei, era lei! Bastarda.
Quindi adesso devo fare una confessione: quella della foto era una nutria altrui. Mi perdoni?

Del resto oggi ho potuto appurare che di nutrie ce ne sono parecchie. Ne ho vista una piccolina, una cucciola. Le ho fatto anche un filmino: una scena molto intensa, da National Geographic. Lei era li che mangiucchiava erbe per conto suo sull'angolino di un'isola galleggiante e una paperetta l'ha aggredita a beccate e l'ha fatta scappare, chi è la stronza, eh? Ho filmato tutto e te lo farei anche vedere ma purtroppo su Libero viene fuori un messaggio, tipo il servizio è momentaneamente non disponibile, ti risulta? E poi non è che si veda benissimo. Sentire si sente ma mi sembra un po' troppo poco.
Invece oggi ho fatto la foto al baretto, questa è per Simurgh che mi ha tolto il saluto dopo che ha visto quella dell'altra volta. Eccomi pronta per tornare, e non dire che sono una che non fa quello che promette.


Il baretto e gli occhiali neri

Forse stavolta è davvero il finale. Ho detto tutto e non so se ci sarà spazio per un sequel.
Però, chi lo sa. Mai dire nutria se non ce l'hai nel sacco.


(*)il prologo invece è dedicato a Guido Catalano, da cui ho plagiato la tigre. Ciao Guido, spero che non ti scocci la citazione, lo sai che le tue poesie mi piacciono molto e ho comprato anche i tuoi libri.

 
 
 
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