Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

 

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Prendere il largo

Post n°30 pubblicato il 12 Novembre 2006 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

La barca bianca e celeste si stacca dal molo. Scivola veloce e sicura sull'acqua calma. Intorno a me l'assolata inoperosità della domenica pomeriggio. Windsurf stesi sulla riva. Tre signore in costume chiacchierano sullo scivolo di cemento, con i piedi in acqua. I soliti sfaccendati, appoggiati al parapetto, guardano le barche uscire o rientrare. Criticano le manovre lanciandosi l'un l'altro sguardi di intesa e indossano l'aria di chi avrebbe saputo fare molto meglio. La brezza leggera accarezza la mia pelle abbronzata troppo in fretta, ma è un refrigerio ingannevole.

-Mamma, vorrei sistemare un po' la mia camera.
Non ero sicura di aver capito bene. Riordinare "spontaneamente" quella specie di retrobottega di rigattiere che per abitudine continuavamo a chiamare camera di M.?


Arrivata all'altezza del frangiflutti la piccola randa passa e la barca bianca e celeste accosta a sinistra. La manovra ha solo una lieve incertezza, poi riprende la sua rotta. Non lontano un uomo con la muta e le bombole sta per immergersi. Siede sul bordo di un gommone dando le spalle all'acqua. Tenendo una mano sulla maschera si rovescia all'indietro e sparisce tra gli spruzzi.

Guardavo la fila di scatoloni allineati in corridoio. Bambole, peluche, mobili in miniatura. E poi piattini, pentoline, una cucinetta completa, perfino il cavallo a dondolo.
-M., ma sei sicura di voler dare via tutta questa roba?
Mia figlia mi sorrideva bonariamente, con la pazienza di quello che spiega a chi non vuol capire:
-Ne ho tenute quattro, le mie preferite. Per ricordo. È tanto che non ci gioco più. Il cavallo lo passo a F.


Cammino sulla banchina per seguire la barca bianca e celeste che costeggia il frangiflutti. M. timona bene, ci ha già preso la mano. La sua scia la segue bella dritta, pulita. Eppure ha visto questa barca per la prima volta solo un'ora fa. Ha esaminato le semplici manovre, abbiamo nominato insieme i pochi pezzi che ne compongono l'armamento. C'è una sola vela, grande quanto una tovaglia: ha una strana forma irregolare, con un albero così corto da sembrare finto; la deriva è una tavola da inserire in una fessura che mi ricorda quelle scatole dove i prestigiatori fanno sparire le ragazze e poi ci infilano assicelle da ogni lato per dimostrare che non c'è trucco.
Il timone è un altro pezzetto di legno incernierato fuori dallo specchio di poppa e lo scafo poco più che una cassetta della frutta: sembra la vaschetta dove le facevo il bagno. Ci sta dentro giusto un bambino, da solo.

Avevo riempito la macchina di scatoloni. Col caldo e la fatica non pensavo neanche a quello che facevo. Poi il ragazzo che mi aveva aiutato a scaricare all'associazione aveva fatto tanto d'occhi, ghiotto, e non finiva più di ringraziarmi.


Facendomi schermo con la mano la sorveglio da lontano, strizzando un po' gli occhi per la luce (e per la miopia). Sta entrando nella caletta dei gavitelli. La vela ben regolata, sfrutta le raffiche per risalire il vento. Evita le barche ancorate, bordeggia veloce, come se non avesse mai fatto altro nella vita.
Mi accorgo che sto mormorando: "Sì, dai, brava. Adesso! Pronta a virare? Vira! Bene, tira il bordo ancora un po'. Brava, vai così…"
Un signore, incuriosito, si mette a fissare anche lui nella mia stessa direzione. Mi verrebbe voglia di dirglielo. Ma invece tiro dritta: meglio di no.

Me ne ero resa conto solo tornando a casa, la macchina svuotata.
La mia bambina. Quel fagottino di due chili e poco che mi aveva guardata negli occhi, all'età di cinque minuti, lasciandomi intontita dallo stupore.
Meno male che ero sola così non dovevo spiegare a nessuno le lacrime che mi venivano giù a goccioloni, appannandomi gli occhiali. Potevo anche singhiozzare ad alta voce, protetta dall'intimità della mia auto. E avevo tutto il tempo di ricompormi, prima di arrivare.


Rasenta il pontile, con la mano libera dal timone fa un saluto. Anch'io agito il braccio. Ha imparato proprio bene. Da suo padre, da me, dagli amici. Ha fatto il suo tirocinio uscendo con noi e con gli altri bambini. La vela è un gioco. Lo è anche per me. Ma in solitario è un'altra cosa. Quando sarai sola sulla tua barca nessuno ti dirà quello che devi fare.
M. si volta verso di me. Io annuisco, e le faccio un gesto con il braccio, enfatico, teatrale, per indicare il mare aperto. Riesco ad immaginare il suo sorriso.

Fa un'altra virata e dirige verso il largo.

 
 
 
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