Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
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Seppie senz'osso

Post n°180 pubblicato il 27 Giugno 2007 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Di questa storia non so molto, mi è stata raccontata tante volte, è vero, ma ero piccola e il ricordo sbiadito.
Mi è rimasta la ricetta delle seppie, che era l'unica cosa che sapeva cucinare: una grossa cipolla e tanto olio, tagliuzzare e rosolare e poi mettere le seppie a pezzetti, scottare bene e poi aggiungere i pomodori, pelati o freschi fa lo stesso, e lasciare sul fuoco fino a che il sugo diventa marroncino e le seppie tenerelle. Io le assaggio e di solito non ci metto neanche il sale, niente prezzemolo, vino bianco, niente: solo olio, cipolla e pomodoro, il perché lo capirai.

Mio padre ha fatto il militare in marina, dev’esserci nello scatolone di mia madre una foto che si era fatto in licenza con quella sua divisa bianca e il colletto come paperino. La ferma durava tre anni, è stato imbarcato, ma non so dove, come puntatore mitragliere, e ha toccato varie città. A Taranto, per esempio, gli abitanti locali dicevano nu marinero s’appiccicò co nu cristiano: si trattava di una rissa, le definizioni rendono bene l’idea della segregazione che ci doveva essere tra i marinai in franchigia e la gente comune, i cristiani. Mio padre non si tirava di certo indietro in quei casi e di botte ne ha date e prese parecchie: quando ero bambina si vedeva ancora una piccola cicatrice sotto uno zigomo: un tirapugni di un inglese. Perché poi, nel dopoguerra, i soldati in libera uscita quando si incontravano se le davano, non so nemmeno se c’era bisogno di un motivo, lui questo non me l’ha detto. Mi ha detto che gli americani erano molto sportivi e se per caso si incontravano due gruppi, che so, gli italiani in cinque e gli altri in sette, due degli americani si facevano da parte a braccia conserte a guardare quelli che si menavano e non intervenivano nemmeno se i propri connazionali stavano soccombendo, era una questione di onore, credo. Invece gli inglesi erano scorretti, attaccavano specialmente in superiorità numerica e usavano tutti i mezzi leciti o meno per averla vinta.

A Venezia deve esserci stato per un po’, e comunque deve essere stato un periodo bello, perché ne parlava sempre con nostalgia, ci aveva portati tutti quanti almeno un paio di volte, e poi a mangiare a Malamocco e si vedeva che conosceva i posti, che ci tornava con piacere.
Erano al Lido, era lì che andavano a pescare le seppie con una reticella tipo quelle per le farfalle, ma più grande, non so se da una barca o dal bordo di un canale, da una banchina. La tecnica è molto semplice ma occorre avere riflessi pronti e mano ferma: le seppie navigano a reazione e vanno avanti oppure indietro. Una volta che hanno cominciato a muoversi in una direzione fanno molta fatica a invertire il senso di marcia, specialmente se sono spaventate tendono a scappare veloci sempre dalla stessa parte, anzi accelerano; quindi quello che il pescatore doveva fare era guardare bene l’acqua, appena vedeva una seppia che stava per mettersi in moto le ficcava davanti il retino e la seppia entrava dentro da sola. Sembra strano e non so come loro l’abbiano saputo, forse guardando i pescatori veneziani, chissà. Quando ci penso mi fa venire in mente uno che deve tirare un rigore e aspetta quel movimento impercettibile che gli farà capire da che parte si tufferà il portiere. Magari non c’entra niente, ma è così che me lo immagino.
La pesca era sempre abbondante, tanto che la metà veniva venduta per comprare l’olio. Il pomodoro e le cipolle invece costavano poco. Per questo la ricetta non prevede altri ingredienti, erano ragazzi poveri che se la dovevano cavare con la paga e il rancio, si arrangiavano come tutti in quegli anni là. Del resto io la faccio come mi è stata tramandata e nessuno si è mai lamentato.

Non so e non mi ricordo bene come fu che a un certo punto dalla marina mio padre si trovò in montagna coi partigiani. So solo che il suo nome di battaglia era foca, credo per via dei baffi.

(Grazie a M_S per la foto: la gondola costa!)

 
 
 
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