Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

 

« CateneTocca ammazzare qualcuno »

Wikka

Post n°216 pubblicato il 01 Dicembre 2007 da LaDonnaCamel
 

Gordon Comstock è l'ultimo degli irriducibili.
Diceva "Eh, una volta ci si trovava giù al bar di usenet, si facevano due chiacchiere, si beveva un cicchetto. Adesso vi siete fatti tutti il blog, non scendete più in piazza, vi andate a trovare a casa uno con l'altro e vi offrite il tè. Siete diventati vecchi, tutti convenevoli e vecchi merletti."
Sarà anche così, Gordon, la vita va avanti. Non ci si può fermare. Stiamo al uebduepuntozero, non te l'hanno detto baby?
Epperò alla fine l'è istess. Quando una cosa è bella, è bella e basta. Come questo tuo vecchio pezzo che voglio mettere qui, anche se sta già là a imperitura memoria. Ti offro un nuovo pubblico, magari meno smaliziato. Fai che sia una sortita, un blitz, una ospitata come da Fabio Fazio.
Immaginati la Filippa che annuncia: Cari blogspettatori, ecco a voi: Gordon Comstock con uno dei suoi pezzi più belli: Wikka!



- La voglio! La voglio! La voglio! - Con l'approssimarsi del Natale, il
ritornello si era fatto sempre più insistente. Giorno dopo giorno,
invocazione dopo invocazione, scoprivo in mia figlia una determinazione
ostinata che ancora non le conoscevo. A volte mi sembrava perfino di
scorgere in lei il riflesso di quella sottile perfidia che da ultimo avevo
scoperto in Laura.
- Le ha già dato un nome, Gordon: l'ha chiamata Wikka! - azzardò Laura. Ciò
che mia moglie non aggiunse suonava più o meno così: e se non gliela compri
sei un gran figlio di puttana.
- Hai un'idea di quanto costa? - replicai stizzito.
- Se è per questo si buttano via tanti soldi ... Parli proprio tu, poi!
Potresti almeno far felice tua figlia ... - almeno una volta, sembrò
aggiungere silenziosamente. Già, come se fino ad allora le avessi lasciate
vivere di stenti. Era un pezzo che Laura mi parlava in quel modo: il
messaggio vero stava sempre nella frase muta. O forse ero io che stavo
diventando paranoico.
- La voglio! La voglio! La voglio! -
In fondo avevo sempre saputo che non sarei riuscito a dire di no. Il lavoro
stava andando bene, ed anche per quel Natale potevo permettermi di comprare
la pace familiare. Ah, i soldi! Quale miglior difesa contro il mondo?
Dunque. Per Laura il solito gioiello l'invidia delle amiche avrebbe
certamente compensato la mancanza di originalità, e forse anche di
sentimento. Per me, quel nuovo set di ferri da golf: l'inserto in tungsteno
prometteva miracoli, e in ogni caso non avrebbe certo peggiorato i miei
score. E per Giulia, naturalmente, Wikka.

Non scorderò tanto facilmente l'espressione di Giulia la mattina di Natale,
quando vide sotto l'albero la scatola con il logo Microfriends. Volò tra le
braccia di Laura e la strinse forte, mi gratificò di un bacio frettoloso e
cominciò ad armeggiare con la confezione. Laura la aiutava, e perfino lei
sembrava sinceramente emozionata; più che per il suo rubino.
- Aspetta, aspetta! Dev'essere Giulia ad aprire la scatola! L'imprinting ...
sono programmate per affezionarsi al primo volto che vedono -
- Ma, Gordon, è già ... accesa? -
- Viva, vuoi dire - corresse Giulia, piccata.
Beh, non esageriamo, pensai: la vita è un'altra cosa. Certo, Wikka non era
una semplice bambola: era un sofisticatissimo bio-giocattolo. Di carne, e
ossa, e sangue: poteva camminare, ballare, parlare... perfino pensare,
dicevano; entro certi limiti, si capisce. Solo, non sarebbe mai cresciuta.
Sarebbe rimasta per sempre una bambola quasi viva.
Giulia la estrasse dalla confezione con una delicatezza che mi sorprese, e
se la pose in grembo chiamandola sottovoce per nome, dolcemente. Wikka per
un po' sembrò non reagire, poi si mosse. Alzò lo sguardo verso Giulia, e,
dopo qualche istante, le tese le braccia. Giulia la strinse a sé, e prima di
piangere calde lacrime di gioia mi sorrise del sorriso più grande che un
padre abbia mai ricevuto in dono la mattina di Natale.

Era incredibile. Davvero incredibile. Si muoveva come ... come un essere
umano; solo, in miniatura. Poco mancò che Conchis, da brava messicana
timorata di Dio, si facesse il segno della croce vedendola. Perfino Laura
era incredula (è strano, mi sorpresi a pensare: non l'ho mai vista
incredula).
Giulia ci tenne un breve corso sulle qualità di Wikka, anche più completo di
quanto avesse saputo fare il negoziante, rilevai con orgoglio paterno. A
poco a poco Wikka avrebbe imparato a fare cose sempre nuove, e forse anche a
parlare. Era però importante interagire correttamente con lei, perché se
trascurata o lasciata a se stessa non avrebbe imparato nulla e si sarebbe
addirittura rotta; anzi, ammalata di tristezza, diceva il depliant. Ma
Giulia giuro' che Wikka non sarebbe mai stata una bambina triste.
Bene, pensai, anche questa è fatta; soddisfatto, mi dedicai finalmente al
mio nuovo set di ferri. Bilanciai tra le mani il ferro 7, e mi apprestai a
mimare uno swing di prova proprio nei pressi della poltrona preferita di
Zorba.
- Spostati, gatto, lasciami lavorare! - Ma Zorba, stranamente, non mi stava
degnando della minima attenzione. Lui che fuggiva ventre a terra al solo
veder apparire un ferro da golf, era immobile come una sfinge: stava
fissando Wikka. Nessuno ci fece caso, ma per tutta la giornata Zorba non le
tolse gli occhi di dosso, nemmeno per un istante.

Fu così che Wikka entrò a far parte della nostra famiglia. Giulia aveva
occhi solo per lei. Non era pero' come ogni bambina con la sua bambola:
Giulia era per Wikka una maestra attenta e premurosa. Si era ripromessa di
insegnarle a parlare sul serio, anche se sapeva che non sarebbe stato
facile. Su questo il contratto d'acquisto parlava chiaro: erano garantite le
risposte random a frasi predefinite, e perfino una certa capacità di
autoadattamento a situazioni-tipo, ma il linguaggio vero e proprio era una
*funzione superiore*, e le *funzioni superiori* non erano coperte dalla
garanzia.

Un giorno Wikka parlò. Parlò sul serio, voglio dire. Era notte fonda, e mi
ero svegliato di soprassalto, senza alcun motivo particolare, i sensi subito
all'erta. Tutto era silenzio. Mi alzai senza fare rumore: dalla camera di
Giulia filtrava una debole luce. Giulia si stava rigirando nel letto, in un
sonno inquieto. Wikka era seduta a cavalcioni del comodino e la guardava con
una espressione stranamente matura; senza girarsi mi disse:
- Non è nulla. Solo una cattiva deframmentazione -
Non era la prima volta che sentivo Wikka parlare, ma questa volta . non era
più la bambola che diceva mammina-ti-voglio-bene-mammina quando veniva presa
in braccio. Credo di essere rimasto a bocca aperta per un pezzo.
- Un cattivo defrag. Un brutto sogno - continuò senza nemmeno guardarmi.
- Quando si dorme il cervello rimette assieme tutti i pezzi, li riorganizza
nell'ordine stabilito. Ma a volte, mentre vengono spostati, alcuni pezzi si
attaccano tra di loro e con altri che non c'entrano niente, ed assieme
riescono a saltare fuori e a costruire i sogni -
Si girò a guardarmi, un'espressione talmente seria che avrei voluto ...
Restai in silenzio, impietrito. Wikka lentamente tornò a guardare Giulia.
- A volte sono belli ma a volte sono brutti. Se i sogni sono brutti, e se
succede quando sei sveglio, dicono che sei pazzo -
Capii che dovevo dire qualcosa.
- Anche tu fai brutti sogni, Wikka? -
Per un lungo istante rimase in silenzio, tant'è che pensai - sperai - di
essermi immaginato tutto.
- Io sono sempre sveglia. Sì, forse sono pazza -
- Cosa ... cosa vuoi dire? Cosa diavolo... - Giulia si svegliò in quel
momento.
- Papà! -
Mi sforzai di apparire calmo
- Un brutto sogno, tesoro, solo un brutto sogno - le dissi accarezzandole la
fronte - Non è nulla; dormi, ora -
Wikka la abbracciò, e, come se fosse davvero solo una bambolina, le sussurrò
all'orecchio con la sua vocina più dolce:
- Dormi, mammina, ci sono io con te -
- Oh, Wikka! -
- Ti voglio bene, mammina -
Giulia se la strinse al cuore, felice; il brutto sogno era solo un ricordo.
Di sopra la sua spalla, Wikka mi guardava, seria.
Uscii nel corridoio. Un lieve strusciare contro la gamba mi fece sobbalzare:
Zorba. Ci rifugiammo in cucina. Zorba attese paziente che scaldassi un po'
di latte. Ma la mia mano tremava, e nel posare a terra la ciotola sparsi
buona parte del latte sul pavimento. Zorba mi osservò con benevola
comprensione.
* * *

[molti anni dopo .]

La cosa che più mi piace del golf è che ci puoi giocare da solo, provando la
stessa gioia di quando, bambini, non si torna a casa finché non è davvero
buio. E come un bambino conosce alla perfezione ogni angolo dei cortili di
periferia dove si sbuccia le ginocchia in epiche sfide, il golfista impara a
conoscere ogni palmo del percorso, insidia per insidia.
La buca undici, ad esempio, non è difficile. Non vi sono laghi pronti ad
inghiottire le tue palline sino al giorno del giudizio, né maestose querce a
sbarrarti il passo. E' un normale par tre di centocinquanta metri scarsi. Un
ferro cinque è più che sufficiente per arrivare in green, ma devi evitare di
rimanere corto, perché altrimenti vedrai la tua palla rotolare indietro ed
indietro fino al centro di quel cratere di velluto verde scavato ad arte; e
devi evitare di andare troppo a destra, dove ti attende la sabbia infida di
un bunker.

- Vedi, Wikka, il vero problema della buca undici, credimi, è che viene
prima della dodici, che è la più difficile - ma anche la più bella - del
percorso. Questo ti porta a strafare: cerchi di strappare al campo quel
risultato che temi di non poterti permettere alla dodici. -
Io le parlo, ma Wikka non può rispondermi. Non più. Non so nemmeno se
comprenda le mie parole. Si muove lentamente, quasi con circospezione. Si
guarda intorno senza vivacità, come assorta in meditazioni che ormai mi sono
precluse.
- Proprio qui, una volta, col primo colpo la misi a due spanne dalla buca -
Ero un principiante, e non so quale Dio mi guidò in un colpo del genere.
- Ma mentre mi avvicinavo al green riuscivo a pensare ad una cosa sola: e se
adesso la sbaglio? e se adesso la sbaglio? Beh, la sbagliai: da quaranta
centimetri. E sai una cosa? Da allora, tutte le volte che arrivo a questa
buca, tutte le volte mi ritorna in mente quel colpo sbagliato. Tutte le
volte. -

Ci sono cose che rimangono impresse nella nostra memoria per sempre, con una
chiarezza straordinaria. Da quando Wikka è tornata, mi sorprendo spesso a
rivivere alcuni attimi di molti anni fa: come la mattina di quel Natale, e
la felicità assoluta nel sorriso di Giulia. E, naturalmente, la notte in cui
Wikka mi parlò con parole di ghiaccio. Quella notte ebbi paura. Paura di
Wikka, e del rapporto così stretto che ormai la legava a mia figlia. Paura
di sbagliare, qualsiasi cosa avessi deciso di fare. Come avevo sbagliato
quella palla che pure era così facile, quella volta, sul green della undici.

Uno swing ampio e ritmato. Ben prima di colpire sento che sarà un buon
colpo. E' così, infatti: la pallina schizza in alto leggera, contro il sole
d'autunno che tramonta. Un istante dopo, strizzando gli occhi, la vedo sul
green a pochi metri dalla bandiera. Wikka si volge verso di me e mi concede
un sorriso.

Non sorrideva affatto quella mattina di molti anni fa, quando la portai alla
sede della Microfriends, di nascosto da Giulia. Ero riuscito ad ottenere un
appuntamento con un pezzo grosso del reparto tecnico, e sospettavo che Wikka
ne conoscesse perfettamente il motivo. Dopo infinite discussioni segrete con
Laura, quella era sembrata la cosa migliore da fare. Per il bene di Giulia,
per il bene di tutti, ci ripetevamo. Ipocriti tutti.
Il pezzo grosso si rivelò essere poco più di un ragazzo, con tutta l'aria di
uno stronzetto. Mi fece subito irritare parlando a Wikka con un tono così
falsamente normale da suonare perfino offensivo in quella situazione. "Non è
una stupida, brutto stronzo, diglielo che state per deprogrammarla, bruciare
la sua memoria e farla tornare ad essere soltanto una bambola di carne".
Quello invece continuava a trattarla come ... come una bambolina sciocca.
Non potevo sopportare oltre quella farsa; mi alzai e balbettai una scusa per
uscire dalla stanza e lasciare che tutto si compisse lontano dai miei occhi.
Wikka si voltò verso di me e disse, semplicemente:
- Digli almeno di fare in fretta. Ti prego. Dì a questo stronzo di fare in
fretta - Lui rimase a bocca aperta; e dire che gliel'avevo spiegato, il
problema. Proprio uno stronzo. Gli girai le spalle disgustato:
- Andiamo, Wikka. Si torna a casa. Andiamo -

- Andiamo - Wikka torna ad accoccolarsi sul carrello, e ci incamminiamo
verso il green. E' il tramonto di una splendida giornata d'autunno. L'ombra
della pallina sul green sembra allungarsi passo dopo passo. - Dobbiamo
sbrigarci, se vogliamo finire anche la dodici -
Giunti sul greeen, tolgo la bandiera dalla buca, butto un occhio alla
traiettoria e tiro. La pallina sembra partire un po' troppo a sinistra, ed
un po' troppo veloce: ma ad un tratto la vedo rallentare e curvare, curvare
a destra, e curvare ancora, fino a cadere in buca come attratta da chissà
quale forza ineluttabile. Come se il suo destino fosse già scritto nel regno
dei cieli.

Forse anche il destino del mio matrimonio era già scritto. Laura un giorno
se ne andò. Semplicemente.
- Sono innamorata - disse, con una serenità che non le conoscevo. Non rimase
altro da aggiungere. Lui era più vecchio di me. Non era quello che si dice
un bell'uomo; e non era nemmeno ricco.
Giulia andò via con Laura. Per lei fu un trauma senza rimedio. Non mi
perdonò mai di aver permesso che sua madre si innamorasse di un altro.
Il giorno del trasloco se ne andò senza voltarsi, chiudendo con troppa cura
la portiera dell'auto; in quel preciso istante seppi che era uscita per
sempre dalla mia vita. Wikka la seguiva silenziosa, conscia dell'importanza
del momento; prima di salire in auto si voltò e per un attimo, cercando di
non farsi vedere, agitò la mano per salutarmi. Speravo che l'avrebbe fatto,
almeno lei.

Me ne andai anch'io da quella casa. Ne comprai una più piccola, sul campo di
golf. Si affaccia proprio sulla buca dodici, appena dopo il laghetto dove
trovano l'eterno riposo le palline poco fortunate. Dal terrazzo ombreggiato
da una vecchia quercia si domina tutto il percorso della dodici, che scende
dal tee a nord fino al fairway, assediato dal lago a destra e da un perfido
boschetto a sinistra. Più avanti, il percorso è attraversato dal tortuoso
fiumiciattolo che alimenta il laghetto. Dopo questo serpentello dalle sponde
di sassi, una brusca curva a sinistra ed una ripida salita incorniciata da
alberi secolari, su, su fino al minuscolo green che sulla sommità della
collina si staglia contro le nuvole che sempre, in questa stagione, muovono
da est. Se siete tra quelli che sanno mettere qualcosa di sé in ogni cosa
che fanno, allora la pallina che si staglia alta contro questo cielo diventa
un pezzo della vostra anima, che vola, vola e sembra potersi posare su
quelle nuvole.

Dal tee di partenza guardo verso casa. Per molti anni l'abbiamo abitata
soli, io e Zorba. Il vecchio Zorba ... Ormai disdegna il frenetico
cinguettio che giunge dai rami della quercia, che pure sono così vicini; dal
suo trono sul bordo del terrazzo preferisce contemplare la placida vita del
laghetto. Giurerei che adora sentire il tonfo delle palline che cadono in
acqua a disturbare le anatre.

C'è poco da fare: se non si vuole tirare un pitch prima del lago rinunciando
così da subito ad un punteggio decente, bisogna rischiare un drive lungo e
preciso. A voler essere prudenti bisogna mirare un po' a sinistra, perché
sulla destra il lago invade il percorso con piccole insidiose insenature; ma
non così a sinistra da spedire la palla nel boschetto. Decido di mirare
esattamente in centro: alla peggio farò felice Zorba, che forse mi sta
guardando dal terrazzo, alla luce dell'ultimo sole.

Wikka non sta guardando. E' seduta sulla panchina e sembra fissare le
venature del legno, indifferente a tutto. Povera Wikka, cosa ti è successo?

Passavano gli anni. Giulia cresceva, e lei no. Per Giulia venne il momento
di partire per il college. Forse portarsi dietro una bambola viva le sembrò
una inaccettabile debolezza, una concessione ad un'infanzia che voleva a
tutti i costi superare. Oppure il simbolo di un periodo della sua vita che
voleva dimenticare.

Ero proprio sul tee della dodici quando Giulia comparve all'improvviso, un
mese prima. I capelli sciolti al vento, Wikka seduta al suo fianco sul cart.
Me l'affidò in un modo così sbrigativo da farmi sperare che in fondo si
vergognasse di se stessa. La chiesi se si fermasse per cena. Rifiutò. Non
volli insistere, e lei me ne fu grata. Ancora una volta, se ne andò senza
voltarsi. Guardai Wikka. Piangeva. Non parlò mai più.

Uno schiocco metallico, e la pallina parte decisa; sembra farcela, ma poi
prende a curvare inesorabile verso il lago. Un tonfo ed uno spruzzo. Guardo
verso il terrazzo di casa, e credo di vedere una macchia nera scendere verso
di noi.

Un'altra pallina; con calma, per dar tempo a Zorba di raggiungerci. Uno
swing lento e morbido, e questa volta la pallina atterra laggiù in fondo,
serena, lontana da ogni pericolo.
Un sole rosso sta incendiando la collina, il lago, il bosco e le figure sul
tee della dodici: un vecchio uomo, un vecchio gatto ed una bambola viva che
non sa più parlare. Ci incamminiamo insieme verso il green inondato di luce,
percorrendo il manto rossastro di foglie che l'autunno sparge sull'inverno
delle nostre vite.



gordon

 
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