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Mutandine di chiffon 2/2

Post n°415 pubblicato il 10 Luglio 2010 da LaDonnaCamel
 

Come promesso, la seconda parte. (La prima parte è qui)

 

Quanto al sesso, vale come non mai l’immagine borgesiana del giardino dei sentieri che si biforcano all’infinito. Qualsiasi cosa uno dica o faccia sa che sta sbagliando strada. Fai finta di niente? Troppo comodo. La metti sul “naturale” e giri nudo per casa? Il peggio assoluto. Proibisci col dito levato? Ridicolo. Spieghi didatticamente ogni cosa da uomo a uomo, da donna a donna? La reazione sarà un disastroso sbadiglio. Speri che ci pensino i compagni o le compagne più grandi? Ne possono derivare equivoci funesti. Nel labirintico giardino enormi statue grigie, orribili come mostri di Bomarzo, si ergono a ogni svolta: sono i complessi, i tuoi e quelli che volente o nolente rifilerai ai figli. D’inferiorità, di superiorità, di Edipo, di Achille, di Euridice, di Cleopatra, di Barman e via elencando attraverso i millenni.

I quali millenni, ahimé, forniscono inoppugnabili pezze d’appoggio a Ugone di Certoit, a partire da Caino e dai fratelli di Giuseppe, o a scelta dalla famiglia degli Atridi a quella dei Borgia, da Niobe al conte Ugolino a Beatrice Cenci. Ma anche tralasciando i casi più clamorosamente spaventevoli (mitici, ingigantiti dalla leggenda quanto si vuole, ma che pure affiorano da qualche oscura, carsica realtà), non si può negare che buona parte della letteratura moderna presenti la famiglia in una luce pessima. Angherie e umiliazioni come se piovesse, castighi crudelissimi, sadiche imposizioni disciplinari, silenzio e distacco sprezzante, coccole zero se non di straforo da una vecchia servente. E oltre l’infanzia, avidità e avarizia sordide, testamenti truccati e iniqui, lasciti rubacchiati, zecchini e argenteria spariti. Perfino le famiglie con tanta grazia messe in scena da Goldoni sono per tre atti un orrore, e solo alla fine del quarto si riconciliano convenzionalmente, senza convincere nessuno.

La casistica di cronaca nera – stupri, incatenamenti, avvelenamenti, violenze sistematiche, massacri per un motorino eccetera – diciamo che riguarda dopotutto una minoranza e teniamoci la famiglia in C1.

Non c’è pace, d’accordo, né autonomia, indipendenza, spontanea fioritura. Ma c’è forse di più in un collegio? Non sembrerebbe, a leggere le molte, autorevoli testimonianze in merito. In convento, allora? Senza la fede, e parecchia, non si dura molto. Dalle comunità carcerarie tutti gli ospiti pensano esclusivamente a fuggire. Le fluide comunità dei fiori e delle marmellate macrobiotiche? Il ricordo della famiglia Manson non è incoraggiante… Il frastornato genitore in C1 non sa più dove sbattere la testa. Non può rimpiangere il passato, quando esistevano teorie e tradizioni educative spietatissime o cretine, cui però i genitori si conformavano in buona coscienza. A sei anni in miniera e poche storie. A dieci, dritto in seminario, o mozzo su una fregata S.M., o dietro il banco a mescere birra o accecarsi sui merletti. Se poi uno si mette a guardare nostalgicamente dalla parte dei popoli cosiddetti primitivi, non è che gli usi e i costumi riguardanti l’infanzia appaiano invidiabili. Tarpavano, tarpavano anche lì, tutte quelle belle cerimonie care a Hollywood, quelle danze, quei riti d’iniziazione altro non erano che feroci tarpature in vista di guerre, scorrerie, cacce al leone, e tanto peggio per chi ci restava.

“La famiglia è la principale fonte d’infelicità di ciascuno” sciabola implacabile Ugone di Certoit. Impossibile dargli torto, se sta sotto sotto mettendo in dubbio l’attendibilità della canzone “Mamma, solo per te la mia canzone vola”, riportata in auge da Pavarotti. Singulti dolciastri, abbracci dolciastri, melensaggine che cola. Ma si può definire dolciastra una mamma (Madonna) di Giovanni bellini? Una scena familiare incisa da Rembrandt? Quei grandi furono pur toccati, ispirati dai sorrisi, dalle tenerezze, dai giochi, dai rimboccamenti di coperte, dalle infinite, meticolosissime, amorosissime cure con cui milioni, miliardi di bambini sono stati cresciuti e continuano a essere cresciuti nella valle di lacrime. Una volta che si trovano lì, ben poco si può fare per loro oltre a soffiargli il naso e correggerli (ma non proprio subito) quando dicono “cocciolato” invece di “cioccolato”. Ma quel poco, pochissimo, è però anche il massimo.

Forse Ugone di Certoit ha nel cuore un sogno segreto, un modello utopistico dove nessuno tarpa le ali a nessuno, non ci sono maltrattamenti e l’infelicità non arriva né dalla famiglia né da qualsiasi altra fonte. Se è così, ha una visione un po’ ottimistica della faccenda e gli suggerisco amichevolmente di andarsi a leggere l’Ecclesiaste nella bella traduzione di Guido Ceronetti.

(Tratto da "Apologia della famiglia" - Mutandine di chiffon, di Carlo Fruttero, Mondadori. Gli svarioni sono sempre miei e del correttore automatico di word. )

 

Ah, un consiglio: se non lo sai, googla un po' Ugone di Certoit ;)

 
Rispondi al commento:
molinaro
molinaro il 20/07/10 alle 08:33 via WEB
La famiglia, specchio d'altre cose, mette pure Ugone contro Guido: più dentro di così...
 
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