Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
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"Mille e ancora mille."
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Solo due parole sul naufragio della "Concordia" perché ci è capitato di ormeggiare proprio in quel piccolo specchio di mare, qualche anno fa, nell'ultima crociera sulla nostra barchetta - che per una strana fatalità ha trovato un destino simile in altre secche, ma questa è un'altra storia: delle volte non è abbastanza profondo il mare.
Avevamo passato la giornata davanti a una spiaggia vicino al porto, non ci avevano lasciato entrare nemmeno per poggiare un piede a terra: era agosto, era pieno, era dappertutto così. Il bagnasciuga brulicava di turisti color aragosta, il frastuono arrivava fino a noi. L'acqua era calda e limpida e rifletteva quello spicchio di cielo come in pochi altri posti al mondo.
Per la notte ci eravamo cercati una caletta riparata, a poca distanza, ma era cambiato il vento e come spesso succede, avevamo dovuto alzarci in mutande, mezzo addormentati, avevamo dovuto tirar su l'ancora e andare via. Noi marinai siamo abituati a quel mare buio che si muove anche di notte e non sta fermo mai, si dorme sempre con un orecchio solo e l'altro è pronto a saltar fuori in qualsiasi momento.
In quell'estate era successo molte volte: al Giglio, a Giannutri, a Capraia, a Saint Florent. Non c'era un posto in banchina, il tempo era cattivo e nessuno usciva. Noi uscivamo - delle volte per noia, a caso. Delle altre per forza: di notte.
E così quella notte. Prima un fruscìo, le raffiche che spazzolano la rada e fanno tintinnare ogni cosa che si muove. Poi il primo strattone. La barca si sposta lateralmente facendo perno sull'ancora, è un movimento naturale sull'arco di cerchio della lunghezza della catena, a un certo punto si ferma e torna indietro, anche questo è naturale. Nel sonno registriamo le scossette, ci cullano: i rumori di quando va tutto bene sono la nostra ninna nanna.
Basta uno strappo anomalo però e apriamo gli occhi, al secondo siamo fuori in coperta, al terzo ai nostri posti col motore acceso.
Tiriamo su l'ancora che ha smesso di tenere, proviamo di nuovo un po' più sotto ma già lo sappiamo cosa ci aspetta. La costa è ripida, il fondale di sassi, il vento laterale. Lo facciamo per abitudine, anche per pigrizia. È una bella rottura, chi ha voglia di andare a prendere secchiate di acqua in faccia, nel buio? Ma è in mare aperto che dobbiamo andare a cercare la nostra sicurezza.
Giusto il tempo di infilare la cerata, l'ancora ara di nuovo, la barca si traversa, gli scogli sono sempre più vicini, gli si vede il bianco degli occhi pure se è buio.
Ci guardiamo: solo un gesto: via, via. Il motore è già acceso, salpiamo l'ancora, giriamo la prua verso Porto Santo Stefano, impostiamo l'autopilota. Non stiamo lì a pensarci troppo, tutte queste operazioni sono automatiche, sono il frutto di anni e anni di esperienza e anche di scuola. Quando i pischelli eravamo noi dovevamo concentrarci su ogni gesto, ogni nodo, ogni manovra. Che noia tornare cento volte a recuperare quel salvagente legato al secchio che l'istruttore ci buttava in acqua da dietro le spalle, quando non guardavamo, sussurrando "uomo a mare" e chi sentiva sentiva - chi non sentiva era fuori. Che barba gli otto stretti intorno ai gavitelli in mezzo al canale, le prese di banchina a cala Francese - sempre troppo corte, meno male!, gli ancoraggi a Stintino dell'orso, che nemmeno esiste più.
Quando sarete fuori sulle vostre barche non ci sarà nessuno a salvarvi il culo, a dirvi cosa fare, ci dicevano. Avrete fatto qualche cazzata credendovi fichi, vi sarete messi in mostra sottovalutando i pericoli, non dite di no, lo farete perché tutti lo fanno, l'abbiamo fatto noi e lo farete anche voi. Quando sarete nella merda non capirete più un cazzo, andrete nel pallone e non sarete in grado di prendere decisioni, per questo adesso dovete esercitarvi fino a che queste manovre vi siano diventate istintive come pulirvi il culo dopo aver cacato. Erano sboccati i nostri maestri, ma anche questo aveva il suo senso, sottolineava l'urgenza del mare che non può - o non vuole - aspettare i nostri comodi. Andar per mare non è uno sport per signorine, dicevano, non è nemmeno uno sport.
Abbiamo fatto i fichi e non una volta sola. Avevano ragione. Se ci ha dato bene è stato per fortuna, o grazie all'istinto conquistato a furia di ripetere i gesti o per tutte e due le cose e adesso teniamo giù la testa che non si sa mai.
Fuori il vento si è steso, il mare non è nemmeno troppo mosso. Alziamo l'olimpico e la randa ridotta, meglio stare dalla parte della ragione. Spegniamo il motore. Il cielo davanti a noi si colora di rosa, là in fondo si comincia a vedere il profilo della costa nera.
Noi dormiremo dopo, al sicuro.
I bambini, in cuccetta, non si svegliano neanche.
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