Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
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"Mille e ancora mille."
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Abbi pazienza, non è che non ho voglia di raccontare storie mie e per questo ti rifilo le cose che ho sentito o ho letto. Il fatto è che quando una cosa è bella è bella e mi piace che la veda anche tu.
Mi chiamo Ascanio Celestini,
figlio di Gaetano Celestini e Comin Piera.
Mio padre rimetteva a posto i mobili, mobili vecchi o antichi
era nato al Quadraro e da ragazzino l’hanno portato a lavorare sotto padrone
in bottega a San Lorenzo.
Mia madre è di Tor Pignattara, da giovane faceva la parrucchiera
da uno che aveva tagliato i capelli al re d’Italia
e a quel tempo ballava il liscio.
Quando s’è sposata con mio padre ha smesso di ballare.
Quando sono nato io ha smesso di fare la parrucchiera.
Mio nonno paterno faceva il carrettiere a Trastevere.
Con l’incidente è rimasto grande invalido del lavoro,
è andato a lavorare al cinema Iris a Porta Pia.
La mattina faceva le pulizie, pomeriggio e sera faceva la maschera,
la notte faceva il guardiano.
Sua moglie si chiamava Agnese, è nata a Bedero.
Io mi ricordo che si costruiva le scarpe coi guanti vecchi.
Mio nonno materno si chiamava Giovanni e faceva il boscaiolo con Primo Carnera.
Mia nonna materna è nata ad Anguillara Sabazia e si chiamava Marianna.
La sorella, Fenisia, levava le fatture
e lei raccontava storie di streghe.
Qualche anno fa quando mi hanno chiesto di scrivere un curriculum da allegare alla presentazione degli spettacoli, non ho mandato una scheda con la formazione scolastica, la scuola di teatro, i seminari, i convegni seguiti. Forse perché non sono stato un brillante studente di liceo, ho interrotto gli studi universitari prima della laurea, la scuola di teatro che ho frequentato ha chiuso dopo un anno di corso per trasformarsi in un tempio per Sai Baba. Forse perché per tre o quattro anni ho partecipato a seminari che non vale la pena ricordare, un po’ perché la maggior parte di questi non sono durati più di una settimana, un po’ perché non ci crederebbe nessuno che ho fatto teatro-danza e comunque nel mio lavoro credo che non si ritrovi neanche un poco di quel poco che hanno cercato di insegnarmi.
Potrei aggiungere a quelle righe di presentazione che in questi anni ho fatto un po’ di spettacoli scrivendo il testo e pensando a quella che normalmente si chiama interpretazione, regia, scenografia, luci e costumi, ma che per me sono una cosa sola. Che ho scritto un po’ di libri, ho registrato un disco, ho girato un film e negli ultimi anni sono stato anche un po’ in televisione. Poco. Cinque minuti a settimana per un pezzo dell’inverno. Ma che, tutto sommato, il mio lavoro consiste nel raccogliere storie e raccontare storie. In mezzo, tra la prima e la seconda occupazione, c’è quello che succede nella testa del narratore, nella mia testa, cioè in una specie di bottega artigiana. Si, perché credo che il mio lavoro sia quello dell’artigiano. E in questa maniera ritorno alla prima parte della presentazione, a mio padre artigiano.
Credo che il mio lavoro funzioni come il suo. Un artista cerca di scrivere un libro perfetto, di dipingere il miglior quadro del secolo, di eseguire una musica in maniera sublime. L’artigiano no. Costruisce una sedia e poi un’altra e poi un’altra ancora. Non le conta nemmeno. Non pensa di fare la sedia perfetta, la madre di tutte le sedie. Pensa ad approfondire la propria esperienza e a mettersi a disposizione del cliente. Una sedia è il posto dove mettere il sedere. Deve essere comoda, stabile, solida e possibilmente anche leggera e infine bella. Ma è probabile che la bellezza sia una condizione secondaria, se non del tutto inutile. L’artigiano pensa che (o comunque si comporta in questa maniera) la sua opera attraversi tutte le sedie che costruisce nel corso del tempo. Sedie che dimentica perché dalla costruzione di esse accumula esperienza. Il suo lavoro è un flusso nel quale fa scivolare le sedie.
Continua qui
(Il corsivo è mio)
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