Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

 

« Macabre associazioniPrima e dopo, per sempre »

A Michele Mari Proust gli fa una pippa.

Post n°659 pubblicato il 12 Dicembre 2012 da LaDonnaCamel
 

Da "L’uomo che uccise Liberty Valance" a sua volta un capitolo o racconto di Tu sanguinosa infanzia di Michele Mari  Qui puoi trovarne un altro pezzo in pdf se ti piace.

«Lo conosci?» Mio padre mi stava mostrando un Winchester di cinquanta centimetri. «Acquistato il 20 dicembre 1963 in un negozio di corso Vercelli dai tuoi genitori; consegnato il 25 dicembre 1963 con il seguente biglietto: “A Mike per avermi salvato la vita – Johnny Guitar”; usato ininterrottamente dal 25 dicembre 1963 al 9 maggio 1964.»
«Cosa… cosa successe il 9 maggio?»
«Lo hai perso, ti è scivolato fra le assi di una panchina di piazza Napoli, e quando il nonno si è alzato per tornare a casa tu lo hai seguito senza esitare.»
«È così, che è andata?»
«È così. E queste, le conosci?» Sul palmo della sua mano destra c’erano tre macchinine Mercury lunghe quattro centimetri e mezzo, di ferro massiccio smaltato, una gialla una rossa una verde. Stesi un braccio per prenderle ma lui le chiuse nel pugno. «Acquistate il 18 dicembre 1964 in un negozio di via Foppa da tuo padre per conto dei tuoi nonni; consegnate il 25 dicembre 1964 senza accompagnamento testuale; usate ininterrottamente dal 26 dicembre 1964 al 19 febbraio 1968, giorno di uno sciagurato baratto di cui ti dovresti ricordare.»
Se me ne ricordavo! Si chiamava Federico Colla, aveva un anno più di me, e una maledetta mattina mi offrì una scatola di plastica contenente un gioco delle pulci e uno shangai: me le offrìin cambio, sì, mi fece questa violenza, e io ebbi la debosciatezza di accettare. La sua plastica in cambio del mio ferro! Però…
«Però gliene diedi solo due, di macchinine, perché quella gialla l’avevo persa in un tombino un po’ di tempo prima…»
«E questo ti sembra che cambi qualcosa?»
«No papà, non cambia.»
«Appunto, non cambia. Tanto ti saresti pentito subito anche se gli avessi dato una sola ruota: perché era una ruota Mercury, e perché era una ruota tua.»
«Mia, sì, era mia.»
«Non commuoverti troppo, figlio, perché siamo solo all’inizio. Altrimenti come farai vedendo cose come questa» (fra le sue braccia era comparso un fortino fatto di canne di bambù) «o questa» (una scatola di Meccano n. 5) «o questa» (il libro di Saturnino Farandola, mezzo slegato) «o questa, o questa, o questa.»
«Fermati, ti prego, pietà.»
«Saturnino Farandola, quanto l’hai amato! Ma questo non ti ha impedito, un giorno, di lasciare che qualcuno si mettesse fra te e lui. Un nonno zelante che correttamente ti chiese, perché te lo chiese, se lo si poteva dare a un cugino piccino quel libro, tanto tu…»
«Non dirlooo!»
«Tanto tu ormai eri “grande”… Vuoi la data, la data esatta del tuo tradimento?»
«Quel cugino, quanto lo ho odiato per quello!»
«Già. E chissà se dopo di lui ce ne stato uno ancora più piccolo, di destinatario, o se lo ha tenuto sempre con sé, il Saturnino, o se invece un giorno lo ha buttato nella spazzatura, chi può dirlo?»
«Ma è qua, me l’hai appena fatto vedere.»
«E di queste biglie, cosa mi dici? In fondo non chiedevano molto spazio, un sacchettino nell’angolo di un cassetto, eppure, a un certo punto, fine: esse vengono espulse dalla tua vita.»
«Menti! Sono le cose a scomparire, io per quelle biglie sarei morto, come avrei potuto abbandonarle? Le mie biglie…»
«Infatti è così, scompaiono. Tutto il segreto sta nel non distrarsi mai, mai abbassare la guardia… sapere sempre cosa si ha, dove lo si ha… E ciò che hai amato anche un solo mattino, tenertelo stretto fino alla morte. Tenere, tenere, tenere…»
«Non dover mai rimpiangere nulla…»
«Questo fortino ad esempio, un giorno ti sei dimenticato di averlo, e non ci hai pensato più. Ma dentro di te, da quel giorno, esso ha incominciato a mancarti, ti mancava quando guardavi quella certa compagna di classe al Liceo e quando studiavi Thomas Hobbes, quando lustravi la tua bicicletta, quando ti sei sposato ti mancava, quando è morto Berlinguer, tutte le volte che hai preso il tram 29, sempre ti è mancato, sempre. Anche ieri mattina, dall’inizio alla fine del Consiglio di Facoltà, ha continuato a mancarti.»
«È così, papà, perché l’abbiamo fatto insieme con il Vinavil, ed è tanto impregnato di noi che adesso quasi mi sembra osceno, questo fortino, quasi non riesco a guardarlo. Tu avevi una camicia bianca con i polsini sporchi d’inchiostro, e io un golfino bordeaux; e canticchiavi “Besciamboeu, la vacca e ‘1 boeu”. Oh papà, com’è stato possibile che un giorno io abbia smesso di pensarci? Io, che per tutta la vita sono sempre stato un feticista e un conservatore morboso di tutte le cose mie, io che tutto archivio con affezion maniacale, com’è stato possibile che ioabbia tradito tante volte?»
«Vedi, Michele, non si è mai abbastanza morbosi, perché per quanto si viva del passato c’è sempre qualcosa di ineludibile, nel presente, che ci plagia e ci umilia. Distrazioni, pulsioni, scuse buone per scrollarsi di dosso un po’ di coperte, così quell’aria chiusa in cui consistevi riceve aria nuova, ciao consistenza, nuove scuole, nuove case, nuove luci e noi intanto abbiamo dato il culo a chiunque, a furia di darlo ci siamo persi… Ma basta che ci capiti in mano una nostra fotografia di quando avevamo sette o dieci anni per scioglierci di commozione come ulissidi che rivedan la patria, ecco chi sono gridiamo, quello lì sono, volevo ben dire, io sono sempre quello. Ma intanto, hai dilapidato. Se hai venti giochi e ne conservi diciotto sei già fritto. Se un certo coltellino con il manico di madreperla, una certa calamita smaltata di rosso incominci a metterli lievemente da parte (Statevene qui per un po’ dici affettuoso mentre li adagi in un cassetto), ecco, sei fritto. Sei diventato un dilapidatore.»
«Non devi dirmi queste cose papà, le so meglio di te.»
«Infatti non volevo; volevo solo farti un regalo.»
Mio padre sembrava stanco, forse per via dello sguardo insicuro che gli errava negli occhi. Io cercavo di non guardare i cumuli di oggetti che ci circondavano.
«Ti scrutavo, dopo che avevi perso o barattato qualcosa, e mi facevi un’immensa pena: creatura senza pace, andavi sù e giù per il corridoio con l’espressione di uno cui avessero strappato l’anima, uno che non capiva. Così un giorno ho deciso, e sono diventato il tuo angelo tesoriere. Sono andato ai giardinetti di piazza Napoli, il fucile di Johnny Guitar era ancora là, nascosto nell’erba; sono entrato nella casa dei signori Colla mentre guardavano la televisione, sono scivolato nella camera del loro bambino addormentato, e ho recuperato le Mercury; sono stato dal cugino di tuo cugino, e gli ho confiscato Saturnino Farandola. Ovunque c’era stata diaspora, là io sono stato: fra le cose straniere sempre le cose tue brillavano del tuo sguardo innamorato, non potevo sbagliare. Questa è di Michelino, pardon, e prelevavo nel mucchio la sola biglia che era stata tua, scollavo dall’album dei calciatori la sola figurina che i tuoi polpastrelli avevano stretto. Poi, fatalmente, ho preso l’abitudine di recuperare anche le cose che erano rimaste in casa, ma neglette in un canto: scaduto un anno quel madreperlaceo coltellino e quella calamita scarlatta potevano considerarsi perduti, così intervenivo.»
«E tu credi che io non mi sia mai accorto che dopo un po’ di tempo certe cose non si trovavano più dove sarebbero dovute essere? Quante ricerche inutili, e il ladro eri tu! Ma io non ti ho mai voluto tanto bene come adesso che me lo hai detto.»
«Non commuoverti troppo, perché ora vedrai una cosa che ti trafiggerà.»
E rividi l’amore di tutti gli amori, l’orsino, quell’entità spasmodica cui corrispondeva il flatus di «orsino», il mio orso di stoffa grigia sdrucita ingiallita, macchiato, accecato, pisciottato, schiacciato.
«Acquistato…»
«Dammelo!»
«Hai quasi quarant’anni, non puoi più fare il bambino. Dunque, acquistato il 29 settembre 1958 alla Rinascente dai tuoi genitori; consegnato lo stesso giorno e usato ininterrottamente da allora fino al 26 dicembre 1968. E ininterrottamente, questa volta, vuole davvero dire ininterrottamente.»
«L’interruzione… sei stato tu?»
«Quel giorno compivi tredici anni. Se non te lo portavo via io ci dormiresti ancora insieme. È stato l’unico caso in cui mi sono permesso di mettere le mani su cosa che fosse ancora con te. Così, all’alba, sono entrato in punta di piedi nella stanza dove dormivi, e te l’ho sfilato via dalle braccia.»
«Hai fatto il pedagogo! Eri impaziente di vedermi crescere! Bell’angelo premuroso! Rubarmi le cose come a un Federico Colla qualsiasi!»
«Ragiona: tu lo stavi letteralmente consumando quell’orso, ti si stava incistando fra le costole, a poco a poco si stava filtrando nella tua circolazione sanguigna, adesso invece ce l’hai tutto intero, come gli altri giochi.»
«Mettiamola così, ma è molto avvilente metterla così. E infatti io non la metto! E non chiamarlo un gioco! Guardami, guarda quel disgraziato di tuo figlio, guarda come ha dovuto vivere da quel giorno, da moribondo, a tredici anni ho incominciato a fare il moribondo. E tu me lo restituisci adesso? Ventisett’anni te lo sei tenuto nel tuo studio, ventisett’anni della vita mia! La bigliettina sudaticcia di Michelino bello! Il fucilino che fa pim, oh struggimenti, oh abbracci! Questo finale ti eri figurato, eh? la melassa dei cromosomi, e invece no! il finale è un veleno, la vita è orrenda, se Dio è negli orsini perché poi ci interessa la figa? Ti rendi conto che a quindici anni io mi leggevo tutto Plutarco, per colmare quel vuoto? che durante tutta la vita ho sognato di massacrare dieci persone al giorno, che oggi il mio cibo principale è la benzodiazepina, che la mia arsura, non c’è acqua che possa spegnerla?»
«Vuoi che parliamo di Lemmy Caution? di Liberty Valance?»
«Sì, parliamo di Liberty Valance, dell’uomo che uccise Liberty Valance.»

Ne posterò altre di cose così, perché no? Gli faccio un piacere, smuoviamo la melma che c'è sotto.

Inoltre.
Citofonare giusi.

 
Rispondi al commento:
Tombeur_De_Livres
Tombeur_De_Livres il 31/12/12 alle 15:34 via WEB
E non solo Proust. Pure il Céline in "Rondini sul filo", il Leopardi di "Io venia pien d'angoscia a rimirarti". Proust lo ha già sistemato con "Tutto il ferro della Torre Eiffel".
Bello leggere di altri che lo apprezzano, per me è il miglior autore italiano contemporaneo
 
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