Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
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"Mille e ancora mille."
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Il terzo capitolo del romanzetto che ho scritto io, L'occhio del coniglio, oggi fuori sequenza perché sì (scusa Dario, son ribelle di natura, certe volte non posso mantenere nemmeno le regole che mi pongo da sola. E comunque è corto, anzi cortissimo.)
Anita saliva un gradino alla volta, tenendosi al corrimano. Dietro di lei sentiva una folla impaziente, doveva sbrigarsi ma non ci riusciva, aveva i piedi pesanti. Con la coda dell’occhio guardò giù, un conato le salì dallo stomaco. Arrivò sulla piattaforma e la piscina era un francobollo con i bordi tremolanti. Lontanissima.
Non ce la posso fare, mormorò. Si voltò per tornare giù dalla scaletta. Era piena di gente. Le tremavano le gambe. Erano uomini sconosciuti. Erano sulla piattaforma. Tutti la guardavano. Il suo spazio si era ridotto a pochi centimetri, solo la punta dei piedi. Qualcosa la toccò e lei si sentì cadere, non finiva più di cadere e di urlare, la gola le bruciava, c’era un rumore fortissimo e un urto e tutto era buio.
Aprì gli occhi e di nuovo un urto della prua sull’onda la fece balzare sulla cuccetta e poi ricadere. È arrivato il vento. E anche forte. Che botta. Respirò forte. Si passò una mano sulla faccia. Tastò nella nicchia di fianco al materasso, recuperò gli occhiali, si infilò una felpa e tenendosi alle paratie, a piedi nudi andò fuori a vedere.
Carlo aveva spento il pilota automatico e teneva la ruota del timone con due mani, la coperta era bagnata dagli spruzzi che ogni tanto arrivano da prua. Un brivido di freddo le accapponò le gambe nude. Il cielo si era fatto nero, le nuvole avevano coperto la luna ma a sinistra si vedeva un leggero chiarore che staccava l’orizzonte dal mare. Intorno alla barca era tutto bianco di schiuma.
“Tiriamo giù un po’ di stracci?” gli gridò. Lui fece sì con la testa.
Aggrappandosi a ogni sporgenza Anita andò vicino all’albero e svolse il rotolo della drizza per ammainare la randa.
“Due?” urlò, facendo il segno con le dita della mano libera. Lui guardò il mare sopravvento, gli strumenti, la vela su fino in alto.
“Basta una, per adesso.”
Viola era un mucchietto fatto su nel sacco a pelo sulla panca sottovento, contro la paratia per ripararsi dagli schizzi.
“Ma se aumenta ancora?” insistette lei.
Lui non rispose, forse non aveva sentito. Aveva sganciato la scotta della randa che ora sbatteva furiosamente. Anita stava abbracciata all’albero e si molleggiava per attutire i salti. Ogni volta la solita storia, possibile che per me ce n'è sempre troppa e per lui troppo poca? Abbassò la vela fino al primo anello, aspettò che lui andasse un attimo controvento e tese di nuovo la drizza. Essì che di botte ne abbiamo prese. Gli spruzzi che arrivavano da prua le bagnavano le gambe, la coperta era lucida d’acqua. Dobbiamo sempre tirare fino all’ultimo respiro? Rientrò in pozzetto e girò la manovella con tutte le sue forze. E vedrai se tra mezz’ora non mi tocca ridurre ancora. Allora perché non prenderne subito due? Carlo regolò la scotta e la barca riprese a correre, un po’ meno inclinata.
“Vai a cambiare il genoa?”
“Oh cazzo, fammi fiatare un attimo” disse lei tirandosi indietro i capelli con le mani.
“Siamo sbilanciati.”
“Evabbè, lascalo un pochino. Siam mica in regata.”
“Prendi il timone che ci vado io.”
“Dai. Dammi un attimo, vado.” Sbuffò.
“Mettiti la cintura.”
Anita guardò il ripetitore dell’anemometro sulla paratia e girò la testa verso di lui. Ecco, l’avevo detto io. Lo fissò, cercandogli gli occhi.
“È sotto il sedile del tavolo da carteggio.”
“Lo so dove sono le cinture di sicurezza. Ce le ho messe io.”
“È buio” disse lui distogliendo lo sguardo.
Solo in quel momento Anita notò il cavetto che spuntava dal grumo di panni che nascondeva sua figlia. Allora non è così stronzo come sembra, pensò scendendo in cabina, deve solo fare la faccia da duro. Con me. Che pirla.
(continua)
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