Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

Messaggi di Gennaio 2012

Udito

Post n°556 pubblicato il 31 Gennaio 2012 da LaDonnaCamel
 
Tag: sensi
Foto di LaDonnaCamel

Ho passato un periodo della mia vita senza ascoltare la musica. È stato un tempo molto lungo, anni e anni e non me ne sono accorta. In quei giorni ascoltavo poco anche le parole e anche di questo non mi accorgevo.
Non è che fossi sorda, non avevo nessun difetto all'apparato auditivo, a parte un certo rumore tum tum tum che sentivo stando a letto, in quei minuti che attendono il sonno, se mi mettevo in una certa posizione. Ma di quello ero ben informata, si trattava di una elasticità del timpano, contratta in una vacanza in cui compensavo un po' troppo rapidamente nelle immersioni in apnea - era la fifa di non tornare su in tempo, era la sfida contro il profondimetro, era la scemenza della bella età. Era il rumore del mio cuore portato fin su da qualche tubicino e amplificato impropriamente dalla meccanica difettosa del mio orecchio. Mi succede ancora adesso, qualche volta, forse: non ci faccio caso.
La musica c'era e la sentivo, ma non la cercavo. Era la musica degli altri, le televisioni troppo alte nel cortile, le quattro stagioni nei risponditori automatici dei telefoni quando mi mettevano in attesa, le autoradio fastidiose, il sottofondo sdolcinato nei grandi magazzini.
Quando ero da sola non mi veniva mai in mente di accendere un qualche apparecchio distributore di note. Non cercavo il silenzio come si potrebbe facilmente pensare. Non cercavo niente, né la musica né il silenzio. Ero inerte.
Poi si cambia. Un'estate, sempre al mare ma in condizioni del tutto diverse, vai a sapere come mai mi è venuta voglia di sentire la musica. La mia vita aveva subito una serie di drastici cambiamenti ai quali avevo fatto fronte con la solita aggressiva baldanza che avevo a quei tempi là. Era una baldanza un po' sorda e un po' cieca, non si andava troppo per il sottile. In burrasca e in guerra è così, tocca badare al sodo e lasciar perdere i fronzoli, quando si tratta di sopravvivenza non si possono fare i ricamini, mi dicevo per giustificarmi. Ero forse un po' più insensibile della media, mi serviva.
Quell'estate del ritorno della musica andai in un centro commerciale a pochi chilometri dal paesino dove avevo preso casa e comprai un lettore mp3, il primo che avessi mai avuto. Qualcuno potrebbe sorridere, ma mi lessi tutto il libretto di istruzioni perché non avevo la più pallida idea di come funzionasse. Avevo con me un computer portatile e da qualche parte anche dei file di musica, ora non so dire di chi e perché. Con tutta la calma delle giornate di vacanza, scandite dalla spesa al mattino, gli sgabei caldi per pranzo, un libro nella controra e una passeggiata prima di cena, caricai la macchinetta, infilai le cuffie negli appositi fori ai due lati della testa, mi sedetti in terrazza e ascoltai.
Erano vecchie canzoni che conoscevo, battisti, guccini, i pink floyd, erano concerti di mozart, era una strana emozione, era ritornare in luoghi noti, ma cambiati.  
Il volume mi sembrava troppo alto, la musica si formava da qualche parte dentro la mia testa eppure era intorno a me, ci stavo dentro come in un liquido che mi avvolgeva tutta e mi impediva di respirare. Quindici minuti erano già troppi per il primo ascolto, mi sembrava di avere le orecchie rosse. Spensi il lettore e andai a guardarmele allo specchio, erano normali.
Il secondo o il terzo giorno resistetti mezz'ora, il tempo della passeggiata sulla spiaggia. Aspettavo che fossero andati via tutti i bagnanti, o almeno la maggior parte, aspettavo che il sole si facesse meno infocato, aspettavo di averne voglia.
La musica nelle orecchie e il tramonto negli occhi, una scena un po' banale per mettersi a piangere ma delle volte non si può scegliere, le cose succedono come vogliono loro e di solito sono banali proprio perché sono così, uguali per tanti.

Adesso ho un telefono multifunzione, lo stesso che uso per le foto. Tiene un bel po' di brani, ha parecchi giga di memoria e non si scorda mai di niente, beato lui. È comodo perché ce l'ho sempre con me, se mi viene voglia di sentire la musica o di fare una foto posso, quando voglio. Telefonare non tanto, non ho quasi mai voglia.
Ci sono ancora lunghi periodi in cui non ascolto niente ma non è perché non ci pensi. Pensarci ci penso, però non l'accendo. È una specie di difesa. La musica si dev'essere presa una rivincita e dopo che l'ho ignorata per tanto tempo, ci da dentro di brutto con me. Mica sempre ce la faccio.

 

(Dedicato.)

 
 
 

Attenzione...

Post n°555 pubblicato il 27 Gennaio 2012 da LaDonnaCamel
 

Dal blog di Paolo Attivissimo  trovo un link molto interessante, che riassume tutto quello che google pensa di me e non ha mai avuto voglia di dirmi. Che google pensi, caro mio, è un fatto e io già lo sapevo. Per quanto cerchi di stare attenta, lui mi guarda e sa di me molte più cose che io di lui.  È con qualche trepidazione quindi che punto il dito e faccio click.

profilo

Ah bè, dunque è così. Interessante. Illuminante direi: google sa di me molte più cose di quanto non sappia io. Attenzione...

 
 
 

Ti amo ma posso spiegarti

Post n°554 pubblicato il 26 Gennaio 2012 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Ieri sera sono andata al circolo Cerizza a sentire una lettura di Guido Catalano.
Ho comprato anche il nuovo libro, che si chiama Ti amo ma posso spiegarti, e difatti ha preso tutte le poesie da lì tranne il bis.
C'era un bel pubblico, genere osteria genuina come piace a me, riempiva fitto fitto la sala, piuttosto grande con biliardo e bancone bar sul fondo. Il circolo si trova perlappunto vicinissimo alla Martesana, in una casa di ringhiera - nel cortile c'è un campo da bocce con parecchie corsie. Ha letto anche quella della solitudine che è una tigre ammaestrata, quest'estate nei miei racconti ciclissici gli avevo rubato la tigre, per rendergli giustizia ora la riporto tutta. Rimane una delle mie preferite ma il libro non l'ho ancora letto, ce l'ho sul comodino.

Si intitola Cose di notte


non riesco a scrivere di notte
è un peccato ché ste notti
mi sveglio spesso
e non riesco a riaddormirmi
mi alzo
piscio
apro il frigo
vuoto
lo chiudo
guardo il letto
vuoto
non si sa mai
metto la musica
bassa
mi corico
guardo il soffitto
lo so a memoria il soffitto
cerco di leggere
non riesco a leggere di notte
è un peccato
provo a contare le pecore
dice che serve
non ci riesco
io di notte non riesco
né a leggere
né a scrivere
né a far di conto

mi rialzo
guardo nell’armadio
non si sa mai
vuoto
spengo la musica
mi ricorico
tento una sega
fatica inutile
rimane morbido

entra la morte
mi guarda silenziosa
seria
chiedo:
“è il mio turno?”
mi sorride
mi batte un cinque
dice:
“dai scherzavo, torno un’altra volta”
esce

sotto
in strada
iniziano i tram
sopra
nel cielo
inizia il giorno

la mia solitudine
è una tigre ammaestrata
siamo amici fin da piccini
ci vogliamo bene
giochiamo come bambini
può staccarmi la testa con un morso
in qualsiasi momento

Martesana di notte

La foto che ho fatto dopo, la Martesana notturna, si adatta a pennello.

 
 
 

Terremoto

Post n°553 pubblicato il 25 Gennaio 2012 da LaDonnaCamel

Ho sentito un terremoto fortino, adesso.

Edit: Visto che ero nel mezzo della mia rassegna stampa quotidiana ho visto formarsi le notizie in tempo reale. Il primo, su twitter, è stato Luca Sofri che ha scritto "Tettermoto. Milano. Ora." Chissà le sue libere associazioni.

tette

 
 
 

Una cosa divertente che non farò mai più

Post n°552 pubblicato il 22 Gennaio 2012 da LaDonnaCamel
 

Approfitto della congiuntura navale per riportare un altro ghiotto pezzo di DFW che ho trovato già bello che pronto qui e che si può trovare anche qui. Sto battendo la fiacca, chiedo scusa, ogni tanto mi faccio prendere dal vortice della vita materiale e il blog ci va di mezzo. Ma è solo un momento, poi - come dicono Borges o Brezsny - digerisco tutto (burp!) e lo scrivo, trasformato e reso irriconoscibile :P

 

E allora oggi è sabato 18 marzo e sono seduto nel bar strapieno di gente dell’aeroporto di Fort Lauderdale, e dal momento in cui sono sceso dalla nave da crociera al momento in cui salirò sull’aereo per Chicago devono passare quattro ore che sto cercando di ammazzare facendo il punto su quella specie di puzzle ipnoticosensoriale di tutte le cose che ho visto, sentito e fatto per il reportage che mi hanno commissionato.

Ho visto spiagge di zucchero e un’acqua di un blu limpidissimo. Ho visto un completo casual da uomo tutto rosso col bavero svasato. Ho sentito il profumo che ha l’olio abbronzante quando è spalmato su oltre dieci tonnellate di carne umana bollente. Sono stato chiamato “Mister” in tre diverse nazioni. Ho guardato cinquecento americani benestanti muoversi a scatti ballando l’Electric Slide. Ho visto tramonti che sembravano disegnati al computer e una luna tropicale che assomigliava più a una specie di limone dalle dimensioni gigantesche sospeso in aria che alla cara vecchia luna di pietra degli Stati Uniti d’America che ero abituato a vedere.

Ho partecipato (molto brevemente) a un trenino a ritmo di conga. Devo dire che ho vissuto il reportage commissionatomi con una sorta di fobia della prestazione. L’anno scorso una certa rivista patinata dell’East Coast aveva deciso di mandarmi a una di quelle vecchie e tranquille fiere locali, a farmi fare una specie di reportage, senza darmi nessuna indicazione precisa, ed è rimasta soddisfatta dei risultati. Così adesso mi è stata offerta quest’altra ciliegina tropicale, anche qui senza nessuna indicazione o richiesta specifica. Ma questa volta mi sento più a disagio: il rimborso spese della fiera locale era di 27 dollari esclusi i giochi a premi. Questa volta «Harper’s» ha sganciato più di 3000 dollari senza aver letto neanche una delle mie succose descrizioni ipnotico-sensoriali. Mi continuano a dire – con grande pazienza, al radiotelefono della nave – di non affliggermi per questioni del genere. Credo davvero che questa gente che lavora nei giornali sia in malafede. Dicono che tutto quello che vogliono è una specie di cartolina turistica gigante scritta da uno che ci è stato – vai, ti fai i Caraibi alla grande, torni e racconti quello che hai visto.

Ho visto un sacco di navi bianche veramente enormi. Ho visto frotte di pesciolini con le pinne luccicanti. Ho visto un parrucchino in testa a un ragazzo di tredici anni. (Ai pesci luccicanti piaceva ammucchiarsi tra la carena e il cemento delle banchine ogni volta che attraccavamo.) Ho visto la costa settentrionale della Giamaica. Ho visto e ho sentito la puzza di tutti i 145 gatti che vivono nella villa di Ernest Hemingway a Key West in Florida. Ora conosco la differenza tra Bingo Superbingo, e cosa significa quando il jackpot del Bingo va “a palla di neve”.

Ho visto videocamere che praticamente richiedevano un carrello; ho visto valigie fosforescenti e occhiali da sole fosforescenti con cordicelle fosforescenti e più di venti tipi diversi di ciabatte infradito. Ho sentito tamburi da banda di paese e ho mangiato frittelle di sgombro e ho visto una donna in lamé argentato che vomitava a getto dentro un ascensore di vetro. Ho tenuto il ritmo di due quarti puntando il dito verso il cielo esattamente sulla stessa disco music sulla quale odiavo puntare il dito verso il cielo nel 1977. Ho imparato che in realtà ci sono intensità di blu anche oltre il blu più limpido che si possa immaginare.

Ho mangiato più che ma e piatti più sofisticati che mai, per di più nella stessa settimana in cui ho imparato anche la differenza tra beccheggiare nel mare agitato e rollare nel mare agitato. Ho sentito un comico professionista dire seriamente al pubblico: “A parte gli scherzi”. Ho visto completi fucsia e giacche rosa mestruo e scaldamuscoli viola e marrone e mocassini bianchi senza calzini. Ho visto croupier professioniste così carine che ti facevano venire voglia di fiondarti al loro tavolo e perdere fino all’ultimo centesimo a blackjack.

Ho sentito cittadini americani maggiorenni e benestanti che chiedevano all’Ufficio Relazioni con gli Ospiti se per fare snorkeling c’è bisogno di bagnarsi, se il tiro al piattello si fa all’aperto, se l’equipaggio dorme a bordo e a che ora è previsto il Buffet di Mezzanotte. Ora conosco l’esatta differenza mixologica fra uno Slippery Nipple e un Fuzzy Navel. So cos’è un Coco Loco. Sono stato oggetto in una sola settimana di oltre 1500 sorrisi professionali. Mi sono scottato e spellato due volte. Ho fatto tiro al piattello sul mare. È abbastanza? In quei momenti non sembrava mai abbastanza.

Ho sentito quanto pesa la cappa del cielo subtropicale. Almeno
una dozzina di volte il suono della sirena della nave, un’assordante flatulenza degli dei, mi ha fatto prendere un colpo. Ho assimilato i fondamenti del mah-jong, mi sono visto a stralci una due giorni di bridge contratto, ho imparato come si allaccia il giubbotto salvagente sopra lo smoking e ho perso a scacchi con una bambina di nove anni. (Per la verità, ho fatto tiro verso il piattello, sul mare.) Ho mercanteggiato per dei gioielli senza valore con ragazzini malnutriti. Ora conosco ogni possibile giustificazione o scusa per chi spenda 3000 dollari per andarsi a fare una crociera ai Caraibi. Mi sono mangiato le mani per aver rifiutato autentica marijuana giamaicana da un giamaicano autentico.

Una volta ho visto dalla balaustra del ponte scoperto, molto più in basso e a destra della coda della carena, una cosa che mi è sembrata essere la pinna di uno squalo, mimetizzata nella scia del motore di dritta, violenta come le cascate del Niagara. Ho sentito – e non ho parole per descriverla – una musichetta da ascensore in versione reggae. Ho capito cosa significa avere paura del proprio water. Ho imparato ad avere il “piede marino” e ora mi piacerebbe perderlo. Ho assaggiato il caviale e mi sono trovato d’accordo con il giudizio del bambino che mi sedeva accanto: fa schifo. 

Ora ho capito bene cosa significa duty free. Ora conosco la velocità massima in nodi di una nave da crociera (1).

Ho mangiato escargot, anatra, salmone affumicato dell’Alaska, salmone con finocchi, pellicano al marzapane e un’omelette fatta con quelle che venivano definite “tracce di tartufo etrusco”. Ho sentito persone sedute sulle sdraio sul ponte dire che non è tanto il caldo, ma l’umidità. Sono stato – completamente, professionalmente e come mi era stato promesso – viziato.

Ho osservato e catalogato, con ribrezzo, ogni tipo di eritemi, cheratinosi, lesioni pre-melanoma, macchie da mal di fegato, eczemi, verruche, cisti papulari, pancioni, celluliti femorali, vene varicose, trattamenti al collagene e al silicone, tinture orribili, trapianti di capelli malriusciti – insomma, ho visto un sacco di gente seminuda che avrei preferito non vedere seminuda. Mi sono sentito depresso come non mi sentivo dalla pubertà e ho riempito quasi tre taccuini per capire se era un Problema Mio o un Problema Loro.

Ho acquisito e nutrito un rancore che potrebbe anche durare tutta la vita verso il direttore d’hotel della nave – il cui nome era signor Dermatis e che io da allora in poi ho battezzato signor Dermatitis (2) –, un rispetto quasi ossequioso per il mio cameriere un’ardente passione per la cameriera della mia cabina del corridoio sul ponte 10, Petra, Petra dalle fossette e dalle sopracciglia ampie e candide, che indossava divise sempre bianche inamidate e fruscianti e profumava del disinfettante al cedro norvegese che passava nei bagni; e che puliva ogni centimetro praticabile della mia cabina almeno dieci volte al giorno, ma che non si è mai fatta sorprendere nell’atto di pulire – una figura di eleganza magica e duratura, meritevole di una cartolina tutta dedicata a lei. 

 

(1) Anche se non ho ancora ben capito cos’è un nodo
(2) In qualche modo aveva l’impressione che io fossi un giornalista ficcanaso, così non mi lasciava vedere la cambusa, il ponte di comando, le cabine del personale di borso, niente di niente né mi lasciava intervistare quelcuno dell’equipaggio o del personale con il registratore acceso; e poi portava gli occhiali da sole all’interno della nave, e aveva le spalline, ed è rimasto un sacco di tempo a parlare al telefono in greco mentre aspettavo nel suo ufficio dopo che mi ero perso le semifinali di karaoke nel salone Rendez-Vouz per andare all’appuntamento che mi aveva dato lui; spero che si ammali

 

(David Foster Wallace (1962-2008), Una cosa divertente che non farò mai più, minimum fax). Traduzione di Gabriella D'Angelo e Francesco Piccolo.  La direttrice editoriale di minimum fax,  Martina Testa, è stata una delle traduttrici più importanti delle opere di Wallace. Minimum fax è l’ editore che ha pubblicato per primo molte delle opere di David Foster Wallace in Italia. Il presente estratto è presente sul sito della casa editrice.


 
 
 

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