Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

Messaggi di Settembre 2012

a te ti

Post n°635 pubblicato il 18 Settembre 2012 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

a te ti vorrei dire che ti amo
che te tu mi inzuccheri il mattino
come una brioche calda, come un panino
come ogni buona cosa che mangiamo

a te ti vorrei dire che ti voglio
che te tu non sai nemmeno quanto
o forse sì, quanto mi stai accanto,
che questo però non si scrive su di un foglio

a te ti vorrei dire che ti sogno
che te tu sei per me in ogni cosa
nella merda, nella terra, nella rosa
e di pensare questo, oh no, non mi vergogno.

dariodangelo.blogspot.it/2012/09/a-te-ti.html

 
 
 

Di padri e di figlie

Post n°634 pubblicato il 14 Settembre 2012 da LaDonnaCamel
Foto di LaDonnaCamel

Questa qui è una delle mie ossessioni, ora capisco perché mi è piaciuta subito, dal primo momento che l'ho vista.

[cito]
Ehi, ho sentito una storia, dissi.
Mi guardò con aria attenta. Una storia?
Di un ragazzo, a scuola, dissi. Vuoi sentirla?
Magari, disse.
Mi lasciai andare sulla consistenza solida dello schienale del sedile.
C’è un ragazzino, cominciai. Nella mia classe di inglese? Che stava per venire bocciato, l’anno scorso. Mi sa che abita in uno di quei quartieri malmessi, dalle parti del Dodger Stadium, e non si rendeva conto che aveva bisogno degli occhiali, e vedeva tutto sfocato.
Scommetto che non riusciva a leggere, intervenne papà. Le sue mani si erano un po’ calmate con l’inizio del racconto, e aveva di nuovo messo fuori il braccio lungo la fiancata per risistemare lo specchietto di destra. Ci vedi così?
A posto, dissi. Vuoi che continui?
Vai, disse. Vai avanti.
Comunque, ripresi, sì. Non riusciva a leggere. Quello era il problema. I professori gli facevano i test, e lui non riusciva a leggere neanche una parola, e durante le lezioni di inglese non apriva bocca, e aveva preso brutti voti per anni e anni, e non riusciva nemmeno a capire come gli altri potessero svolgere questa attività magica e misteriosa chiamata lettura, e finalmente uno degli insegnanti ha detto che dovevano fargli una visita agli occhi, e l’hanno portato dall’oculista.
Papà scosse la testa. Era la prima cosa che avrebbero dovuto controllare, disse. ’Sto sistema scolastico del cavolo, continuò.
Io tolsi le chiavi dal blocchetto dell’avviamento.
Be’, dissi. Così hanno trovato che non ci vedeva quasi per niente, e gli hanno dato gli occhiali, e tutti gli insegnanti gli stavano attorno mentre li provava.
Era un ragazzo intelligente?, domandò papà.
Intelligente, confermai. Senza dubbio. Così si è infilato gli occhiali, prescrizione perfetta, giusto? Insomma se li è messi e tutto d’un tratto era in grado di leggere, e non solo, l’atto stesso del leggere gli è sembrato all’improvviso qualcosa di possibile, e non gli è sembrato più che il resto del mondo fosse anni luce avanti a lui, così irraggiungibile.
Una storia che rincuora, commentò papà, annuendo. Mi piace. A che ora comincia il nostro programma?
Tra dieci minuti, risposi. Attenzione, non è finita.
Perché no?, chiese papà, con la mano sulla maniglia della portiera. Mi piace il punto in cui è finita, disse. Finiamola qui.
Il ragazzo torna a casa, giusto?, continuai io. Con gli occhiali. E il suo nuovo libro di lettura. E sua mamma gli va incontro sulla porta. Lei sorride, perché la scuola le ha telefonato per darle la buona notizia. Ma lui vede che lei è stanchissima. Non l’ha vista per anni e anni, con chiarezza: anni! E lei è tremendamente spossata, ha le occhiaie e quando sorride sembra che uno dei denti sia un quadratino marrone. Non si possono permettere il dentista. Giusto? E la casa? Un disastro. Un lato sta cadendo a pezzi, e ci sono scarafaggi che scorrazzano sul pavimento e in una parete c’è un grosso buco, che lui pensava fosse un quadro.
La luce automatica del portico si spense. Il profilo di papà, sommerso dal buio.
Ti stai inventando tutto, vero, disse.
No, protestai.
Come si chiama il ragazzo?
John, risposi.
John come?
John Barbaducci, dissi, dopo un po’.
Papà tossicchiò. Barbaducci, ripeté. È il nome più inventato che abbia mai sentito. Abramo Lincoln, oppure perché ’sto tipo non lo chiami George Washington. Insomma, disse. Va bene. Va’ avanti. Il ragazzo detesta quello che vede.
Così calpesta i suoi occhiali, dissi.
Cristo!, strillò papà, battendo sul cruscotto. Lo sapevo che stava per succedere qualcosa del genere. Adesso mi fa schifo questa storia, disse. E così lui resta di nuovo indietro, giusto?
Non impara più a leggere, continuai. Ma riesce a cavarsela.
Si fa dichiarare semicieco e riceve un sussidio di invalidità.
Oh, insomma, questa è una storia orribile, disse papà, scuotendo la testa. Orribile. Aprì la portiera della macchina.
Scesi anch’io. Chiusi a chiave.
Sei stata brava con la freccia, disse papà. Ma non dimenticarti i retrovisori laterali.
A me era sembrata una bella storia, dissi.
È una storia tremenda, disse, dirigendosi alla porta. Gli viene riconosciuta l’invalidità e non è nemmeno un disabile! È una di quelle faccende che mandano ai pazzi gli avvocati. E pensava che il buco fosse un quadro?
Davanti alla porta si rovistò nelle tasche.
Ecco, dissi, passandogli il suo mazzo di chiavi.
Lui tossì di nuovo, coprendosi la bocca con la mano. Lo so che è una balla, disse, aprendo la porta ed entrando. Lo so che stai cercando di dirmi qualcosa, ma non ho idea di che cos’è. Ok? Io non so pensare in questo modo. Cosa stai cercando di dirmi?
Niente, risposi. Era solo un ragazzo alla mia scuola.
John come?
Ci guardammo in faccia, in corridoio. Papà incrociò le braccia.
John Barbelucci, risposi.
Con un grido di gioia batté la mano sul tavolino artigianale di pino dove di solito posavamo le chiavi, sistemato vicino all’ingresso, fatto da mamma il primo anno che andava alla falegnameria.
Vedi!, esclamò. Mi guardava trionfante. Hai detto Ducci, prima. Ne sono sicuro.
Lucci, dissi io.
Ducci.
Hai un registratore?, domandai.
Sono sicurissimo!, insistette. Chiudi la porta, ordinò.
Chiusi a chiave la porta alle nostre spalle.
Allora, tu sai leggere?, mi chiese, diretto alla stanza della tv. È di questo che stiamo parlando?
Io mi tolsi le scarpe scalciandole via, e papà appese la giacca sullo schienale di una sedia.
So leggere, risposi.

Erano le otto in punto. Entrambi lanciammo uno sguardo per controllare l’orologio. Mi versai un bicchiere di succo di frutta, e senza una parola prendemmo posizione ai due capi del divano e papà accese la tv sul nostro programma preferito, quello che parlava di medici, ed esultammo per il salvataggio della donna con un problema cardiaco, dagli occhi tanto grandi e amabili.
[fine citazione]

(Aimee Bender, L'inconfondibile tristezza della torta al limone, traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan, minimum fax)

Questo è un episodio di un romanzo ma potrebbe essere un racconto fatto e finito. Mi viene in mente un esercizio dell'ultimo laboratorio, quello che ci aveva proposto Susanna Bissoli, si trattava di parlare di un narratore, qualcuno che racconta storie e quasi tutti avevano scritto racconti passivi, dal punto di vista di chi ascolta, il contrario di questo qui.
Questa storia mi preme per molti motivi, non solo perché è scritta bene. C'è la questione del vedere o non vedere, che per me è un tema cruciale. Poi nota come lei ha descritto bene questo padre, senza spiegare un bel niente si capisce subito che è un tipo testardo di quelli che non vogliono vedere, fa quasi tenerezza come lei se lo rivolta sul dito, lo fa su e non c'è niente da fare, lui è troppo rigido, è fatto così e non cambierà mai, non ci sono occhiali per questo tipo di cose. Ma i padri delle volte sono così, sembrano inopportuni visti da fuori ma non sono sempre cattivi, hanno spesso da qualche parte dimenticata, magari sepolta in fondo a decenni di vita tutta sbagliata e diversa da come l'avrebbero voluta, una intenzione d'amore, anche se non sembra oppure non si vede.

 
 
 

Il Festival degli Ormoni

Post n°633 pubblicato il 12 Settembre 2012 da LaDonnaCamel
 
Tag: 33, EDS, scrivere

Ho impostato la sveglia su 33 minuti per scrivere questa cosa che parla del festival degli ormoni.
Questo festival degli ormoni si fa di notte in un posto all'aperto. C'è un po' di prato tenuto a fango ma soprattutto cemento e asfalto, ci sono degli stand o dei banchetti, gazzebi con sotto un tavolino e una sedia oppure niente, ci sono anche tanti gazzebi vuoti, amache, panchine fatte di tronchi grezzi o di pallet e ci sono dei palchi dove cantano gruppi indie italiano. Il cielo è marrone rossiccio e le stelle non si vedono, ciò è dovuto alle luci della città, questi festival si svolgono vicino alla periferia industriale, ci sono fabbriche in disuso e fabbriche in uso, uffici e magazzini, spazi enormi per il carico e lo scarico che possono venire usati anche per fare eventi e spettacoli oppure davvero per caricare e scaricare camion, da fuori non si capisce.
Dentro - diciamo dentro per creare qualche punto di riferimento perché anche dentro è all'aperto - dentro dicevo ci sono i ragazzi, moltissimi ragazzi e anche ragazze, ovvio, che stanno spesso e volentieri davanti ai palchi ma potrebbero voltare le spalle, la cosa che fanno questi è che si baciano tra di loro e si abbracciano anche, il tecnico delle luci le fa sciabolare sui cespugli che diventano colorati, sembra uno sfondo fatto apposta e invece sono le siepi che circondano il palco e i ragazzi con le ragazze voltano la schiena al gruppo e si limonano tra di loro.
Vengono per gli ormoni, è il festival degli ormoni e ce ne sono in giro dappertutto, sono così fitti che si tagliano col coltello e si respirano nell'aria che sembra salsiccia e delle volte è davvero salsiccia, la fanno sulla griglia e si paga a parte.
Si pagano gli ormoni?
No, sono compresi nel prezzo del biglietto, si paga la birra e la salsiccia, ci sono dei banchetti coi libri e le magliette, se li vuoi anche quelli li devi pagare a parte.
Lui a un certo punto - gli ho fatto vedere i ragazzi che limonavano e mi ha toccato la mano, sembrava quasi che mi volesse abbracciare e io di questo ero felice, non succede quasi mai, gli ormoni correvano liberi tutto intorno, erano grossi come boeri, erano come castagne arrostite dentro quei cartocci fatti con le pagine delle guide del telefono, erano dolci e ripieni e sapevano di cioccolato e lui poi ha detto andiamo via, e siamo andati, la musica si sentiva ancora lontanissimo, gli ormoni fluttuavano sopra il campo a grappoli e secondo me un po' ne volavano fuori e raggiungevano le coppiette in macchina, per quanto i parcheggi lì nei dintorni fossero tutti molto illuminati, un po' troppo anche per coppiette postindustriali vabbè disinibite, forse ci sono alberghi nei dintorni anche se secondo me no, tutte fabbriche e uffici e ormoni scappati fuori dalle reti strappate, dai cancelli aperti, ormoni che corrono tra i piedi dei ragazzi in coda - ai festival degli ormoni i ragazzi fanno delle code chilometriche per ogni cosa e gli ormoni risalgono il flusso guizzando, si vede ogni tanto un riflesso d'argento alla luce dei lampioni, luccicano via e si infrattano tra le gambe di quelli che entrano, ma solo se riescono a non farsi notare dai guardiani.

Chiedo scusa.

Questa specie di cosa indefinibile partecipa all'eds 33 come anche:

- Metropolis Melusina
- 33 minuti - Pendolante
- Pane al pane - Lillina
- Il regalo di compleanno - Speaker Muto
- Apple figlio d'Apollo - Non ho capito se questo pezzillo partecipa in quanto eds non dichiarato oppure a Hombre gli piace linkare a ufo sicché io rispondo linke su linke, olè.
- Gianni e Cettina - Dario
- Prova prova sa sa - La carta
- Fast&Furia - MaiMaturo

 
 
 

EDS 33

Post n°632 pubblicato il 09 Settembre 2012 da LaDonnaCamel
 
Tag: 33, EDS, scrivere

Ieri sono andata a una presentazione. Era tanto che non lo facevo, ma anche perché in agosto di solito ci sono le vacanze e quando la gente è in vacanza non fanno le presentazioni a Milano, le fanno casomai in Sardegna o in Trentino Alto Adige, per esempio.
Comunque ieri sono andata alla libreria Centofiori dove Matteo B. Bianchi presentava Aimee Bender, che è una giovane  scrittrice americana che ha appena pubblicato due cose con Minimum Fax (a me sembrava giovane ma è del '69, l'ho visto adesso, beata lei).
Sono arrivata un quarto d'ora prima delle sette, che era l'ora scritta sugli inviti, e la libreria era già bella piena. C'era Matteo che ridacchiava con Martina Testa e lì vicino i proprietari della libreria che si facevano fotografare con la scrittrice. Ho salutato Matteo con un sorriso e sono andata a prendere posto in prima fila. Alle sette meno cinque si sono seduti anche loro e Martina Testa era sbalordita per questa puntualità dei milanesi, a Roma, diceva, non ci sarebbe stato nessuno prima delle otto e mezza e invece qui non c'era più posto nemmeno in piedi.
Ma non è per la puntualità dei milanesi che ti sto raccontando queste cose, e nemmeno di Aimee Bender ti voglio parlare, perché ancora non l'ho letta (ho letto solo i due assaggi gnam  gnam  gnam

Posso dirti che a vederla mi è sembrata giovane e bella, sicura di sé come lo sono gli americani ben riusciti e nonostante ciò (o forse proprio per questo) abbastanza stralunata da incuriosire. Se sto scrivendo questo post è perché, sollecitata da Matteo B. B. che per queste cose è tremendo, Aimee ha ammesso di aver scritto per due anni chiusa dentro in un armadio.
Ridendo e scherzando ha spiegato come e perché, poi si trattava di una cabina armadio e non un armadietto a due ante e vabbè, sarà vero o no è una di quelle curiosità che animano le presentazioni. L'altra cosa che ha fatto negli ultimi due anni è che si è imposta di scrivere per due ore al giorno e non di più, cascasse il mondo allo scadere delle due ore, smette.
Poi mi ha affascinata anche per il rapporto piuttosto lasco che hanno le sue storie con il realismo: questo non vuole dire che scrive di vampiri o fantasmi o fantascienza, sembra piuttosto che a un certo punto della trama le storie sbandino in una iper realtà che non ha nemmeno bisogno di essere spiegata, sono personaggi che hanno sentimenti e emozioni reali ai quali capitano dei fatti fuori dal comune o impossibili dal punto di vista fisico, qualcosa di allegorico o metaforico o onirico, più tipo Alice nel paese delle meraviglie o il visconte dimezzato che Harry Potter, difatti, e questa è la quarta e più sbalorditiva tra le cose che ho scoperto ieri, alla Bender piace da matti Calvino.

Quindi sono andata a vedere una scrittrice di successo che scrive per due ore al giorno chiusa in un armadio e racconta di personaggi che fanno cose surreali: ci faccio un eds!

Non ti obbligo a chiuderti nell'armadio, stai tranqui, però l'idea di contenere, limitare il tempo della stesura di un testo è interessante e ha il suo perché. A ben guardare tutte le regole che si è data la furbacchiona hanno un loro perché e mi ricordano vagamente le regole di un setting psicanalitico - non è del tutto assurdo che ne venga fuori qualcosa di onirico.

EDSQuindi ecco le mie regole, sono solo due:

1 - scrivi per 33 minuti non di più [Edit] oppure scrivi per 33 minuti e se non hai finito, continui domani per altri 33 minuti: il senso è lasciar passare almeno un giorno tra una seduta di 33 minuti e l'altra.
2 - mettici qualcosa di surreale o assurdo o impossibile o illogico o strano o bizzarro o soprannaturale o anacronistico o fantascienza o fantasy o quel che ti pare ma fai in modo che io ci creda!



Il punto uno non è negoziabile, però puoi pensarci su prima, puoi farti un'idea della storia che andrai a scrivere, l'importante è che tutto sia messo giù in una sola seduta senza interruzioni, e che il tempo concesso sia quello.
Poi lo puoi correggere e sistemare, non vorrai farmi leggere un testo schifoso pieno di refusi, nei trentatre minuti ci deve stare solo la prima stesura. Potresti anche scriverlo a mano su un pezzo di carta e poi ricopiarlo e andrebbe bene: mi fido di te, sarebbe stupido imbrogliare visto che non si vince niente.
(Lo faccio soprattutto per me: è due ore che sto scrivendo questo post, sono lunga come la fame, vediamo se ce la faccio a darmi una mossa ;-)

Per il punto due si può fare come si vuole quindi non aggiungo niente, l'importante è che risulti convincente.

Il resto come al solito, lo scrivi nel tuo blog e poi vieni qui ad avvisare. Se vuoi metti un link a questo post e ai racconti degli altri.
Non metto nessuna scadenza, fallo quando vuoi: questo EDS è sempre valido.

I testi:

- Metropolis Melusina
- 33 minuti - Pendolante
- Pane al pane - Lillina
- Il regalo di compleanno - Speaker Muto
- Gianni e Cettina - Dario
- Prova prova sa sa - La carta
- Fast&Furia - MaiMaturo

 
 
 

Strappi e scintille in una notte di fine estate

Post n°631 pubblicato il 08 Settembre 2012 da LaDonnaCamel
 

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