Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

Messaggi di Dicembre 2012

Austerity

Post n°664 pubblicato il 31 Dicembre 2012 da LaDonnaCamel
 

Paolo Cognetti, che è uno che scrive come mi piace e gli do retta, una volta ha detto che la scrittura non è come il maiale, che si tiene tutto, ma come i crostacei, che si butta via molto per mangiare solo una piccola parte di polpa.
Negli ultimi anni ho scritto un romanzo e stasera che non so quale sarà la sua sorte, stasera che è l'ultimo dell'anno ho pensato di postare qui uno dei gusci che avevo messo da parte, una piccola storia che non è poi entrata nel testo, di cui peraltro non so ancora in destino. Può anche darsi che questo blog sia una sua dignitosa sepoltura distribuzione.

Intanto Buon Anno. Poi vediamo.

“Allora se tu fai i sedili ci penso io al telaio e alla trasmissione meccanica. Le ruote e i pedali li compriamo” disse Mino al suo amico Fausto Peregalli, detto Lucia per via della fabbrica di lampade. Aggiunse qualche particolare allo schizzo che aveva abbozzato su un tovagliolo e si versò l’ultimo goccio di barbaresco della terza bottiglia.
L’osteria Pane e vino stava in una traversa di via Jenner, una via sbieca, stretta, senza un lampione, senza marciapiede, senza altri negozi e portoni, un posto così desolato che c’era sempre la nebbia anche d’estate.  Peregalli era amico del padrone, un certo Mosè, mai saputo se era un nome o un soprannome. Il locale era piccolo e pieno di quadri che aveva dipinto lui, paesaggi della bassa con una ruota di mulino in primo piano, o filari di pioppi con cieli che minacciavano tempesta. Li vendeva a cinquantamila lire e poi li rifaceva uguali, ci metteva poco. Aveva anche la passione per i vini, li andava a cercare nelle cantine del Monferrato o dell’Oltrepo o sui colli di Verona. Li imbottigliava lui e ci metteva sopra delle etichette dipinte a mano una per una, poi si sedeva ai tavoli con i clienti, che erano tutti suoi amici o così dicevano, e ogni volta si vantava di aver fatto la scoperta del secolo, altro che Veronesi. In cucina c’era sua moglie che preparava pochi piatti, sempre quelli a rotazione: risotto al tartufo d’Alba, polenta col capriolo, crespelle col sugo di lepre, pennette gamberi e zafferano.
“Le catene da bicicletta le ho già in casa, e i pignoni…” disse ancora Mino e si toccò il naso guardando un punto fisso che sapeva solo lui. Mosè non levava gli occhi dal tovagliolo pieno di righe blu, come ipnotizzato da quegli sgorbi indelebili sulla sua tela di fiandra rosa chiaro.
“Quello lì mettimelo in conto a me” saltò su Peregalli e prese a sfregarsi le mani.
“Cosa?” rispose l’oste sbattendo gli occhi come se fosse appena sceso dal letto.
“Mavalà” ridacchiò dopo un attimo grattandosi il barbone rossiccio, “ci mancherebbe altro. Omaggio della ditta”.
“Mino, cosa ne dici se gli faccio disegnare la capote dall’architetto Fagioli” continuò Peregalli mettendosi di traverso sulla sedia. Gli brillavano gli occhietti porcini, gli splendeva tutto il faccione rotondo. Potevano sfruttare l’idea per fare propaganda, gliel’avrebbe detto lui all’architetto di prevedere uno spazio sulla macchina per metterci i marchi, tutti e due o forse uno alla volta per le foto, avrebbero visto cosa stava meglio.
“Se ci metti il volante invece del manubrio, puoi aggiungere un posto per il guidatore, guarda” Cimminut - cioè Osvaldo Bianchessi - aveva tirato fuori la penna dal taschino della camicia e aveva aggiunto due o tre segni, poi aveva abbassato gli occhi, come per scusarsi. Mino lo guardò con ammirazione, “Te. L’ho sempre detto io: te sei un genio”.
Osvaldo faceva l’operaio alla Breda e aveva un talento pratico che rasentava il sublime, sapeva fare qualsiasi cosa presto e bene. “Se ghe vor? Cin’ minut!” diceva, e era vero. Una volta guardando la moglie che lavorava a maglia le chiese come mai girava i ferri in un certo modo. “Che cosa vuoi sapere tu” gli aveva risposto lei scuotendo la testa. Osvaldo non aveva detto niente, aveva comprato la lana e le aveva dimostrato che aveva ragione lui, aveva fatto un maglione alla figlia: bellissimo.
Le donne parlottavano tra loro dall’altra parte del tavolo: si sedevano alternati ma a un certo punto della cena qualcuno si alzava, qualcuno si spostava e finivano sempre per creare una linea di demarcazione ideale, il cicaleccio si acquietava, non occorreva più alzare la voce per sentirsi da una parte all’altra, coprendo il rumore. Parlavano di figli o di pellicce, in inverno, o di figli e costumi, d’estate. Gli uomini di pesca, d’estate, di caccia in autunno e di sci d’inverno. Di lavoro e di politica quasi mai. Quella sera avevano fatto un’eccezione per via dell’austerity che gli scocciava a tutti, per un motivo o per l’altro.
Fermarono la produzione per costruire il prototipo, o meglio il pezzo unico, in cinque giorni. Era tutto un via vai tra lo stabilimento di Peregalli a Cinisello e l’officina di macchine grafiche di Mino, a Niguarda. Di candidati pedalatori ne avevano anche troppi: per primo Osvaldo Bianchessi  e Mosè e gli altri amici presenti alla cena al Pane e vino, quelli del circolo della caccia che l’avrebbero saputo, il capo officina e gli operai di Mino che avevano fatto gli straordinari per montare la macchina a pedali, per non parlare dell’architetto Fagioli. Era una sfida al governo che li voleva mettere a piedi - dicevano solo la domenica ma poi chi lo sa, o ai petrolieri che volevano speculare, o alla noia – chiudere i locali e finire le trasmissioni della televisione alle undici di sera, a letto con le galline: ma si può?
In realtà Peregalli tolse dalla linea solo un paio di uomini per fabbricare i seggiolini di finta pelle e la capote di tela. Lui avrebbe voluto uno stile tipo vecchia balilla, con un sedile davanti bello ampio dato che era un uomo grosso, per non dire corpulento. L’architetto non capì o chissà cosa aveva in mente quanto disegnò quella cosa che sembrava una coppola fatta di tela olona color crema, bassa davanti, appena un tettuccio sul guidatore e più spessa dietro sull’ultimo dei pedalatori. Gli aveva fatto venire il nervo quando l’aveva vista ma non c’era tempo, era già venerdì pomeriggio e la mattina dopo sarebbero venuti nel suo capannone per il collaudo. Mino invece aveva messo tutti sotto, aveva pure usato certi ingranaggi delle macchine da stampa, le bielle e la trasmissione, avrebbe ritardato le consegne ma in quel momento non gli importava. Oltre al progetto fece la maggior parte del lavoro: il telaio saldato ad arco che doveva essere bello robusto per sostenere il peso considerevole della forza motrice umana, il meccanismo della trasmissione che doveva essere efficiente, sai che fatica muovere tutto quell’ambaradan. I suoi operai erano contenti di fare lo straordinario, ci davano dentro e ci mettevano pure delle idee per migliorare i particolari della meccanica. Andavano da Mino e gli facevano vedere una modifica sui disegni, “io qui ci metterei un dado da otto” dicevano, oppure “perché non usiamo i blocchetti della Print invece di farli apposta?” Tra loro lo chiamavano l’Uomo, la maiuscola si sentiva nel tono della voce. Gli davano del lei, si capisce, ma usavano quel soprannome da quella volta, anni prima, quando lui in pizzeria gli aveva raccontato la scena del film, Il giorno della civetta, uomini, mezzi uomini, ominicchi e quaquaraqua. Erano quasi tutti calabresi tranne uno che era di Parma, ma anche se di siciliani non ce n’erano si vede che aveva fatto colpo. Lui controllava il lavoro ma se era il caso stringeva bulloni e avvitava viti, poi si puliva il grasso delle mani sui calzoni e Luisa glieli doveva strappare via di dosso per mandarli in tintoria, fosse stato per lui sarebbe andato in giro col completo grigio spadellato, non si rendeva conto.
Ci andarono tutti al collaudo, si fecero fare la foto ai pedali, Mino al volante e il cartellone con il logo davanti, al posto di un ipotetico cofano col radiatore a righe verticali e magari l’angelo sul tappo. La macchina era fatta di tubi verniciati di rosso, tutta aperta come un go-cart, quattro ruote di Lambretta e otto poltroncine imbottite messe in fila a due a due, mica sellini da bicicletta. Davanti a ogni sedile c’erano i pedali, bassi come una cyclette e raccordati con la catena doppia, il guidatore aveva un volante vero, messo in orizzontale come i camion, e un solo pedale per il freno.
La domenica si preannunciava grigia e fredda, con quel cielo piccolo che faceva tuttuno con i palazzi di cemento, senza orizzonte e senz’aria come in una cella frigorifera. Già da viale Fulvio testi si formò un corteo di biciclette, si aggregarono man mano tutti quelli che non erano ammessi alla propulsione del mezzo e anche un certo numero di riserve, con l’accordo di scambiarsi un po’ il posto, di fare i turni che ce n’era per tutti, non era il caso di litigare. Anche Mino e Peregalli fecero i turni, ma quello che non guidava stava in prima fila sulla macchina, non dietro in bici. A ogni incrocio si aggiungevano ciclisti ignoti, curiosi o gente che approfittava della mancanza di auto per andare a spasso. A vederli da lontano sembrava una tappa del giro, ma alla moviola perché andavan piano. Le persone a piedi si fermavano a guardare, intabarrati nelle sciarpe, i bambini correvano dietro alla processione, i vecchietti si toglievano i guanti per battere le mani. I vigili ridacchiavano sotto il casco di ghisa, facevano con la mano il gesto di circolare ma si vedeva che erano contenti.
Le mogli, chi le aveva, stavano nel mucchio dei ciclisti e lo stesso i figli.
La parata fu un successone, finirono in prima pagina sul Corriere di Informazione e sugli altri quotidiani del pomeriggio, ne comprarono decine di copie che poi restarono ammucchiate sul piano della cassa del Pane e vino e non parlarono d’altro per qualche settimana, raccontandosi a vicenda di nuovo le cose che tutti sapevano, prendendosi a pacche sulle spalle, complimentandosi con Mino per la riuscita dell’idea. Si fecero un bel servizio a colori nel cortile della fabbrica, ci stamparono i cartoncini col logo per mandare gli auguri di natale ai rispettivi clienti. E basta, la macchina rimase nel capannone di Peregalli per qualche anno, poi lui morì di infarto e i suoi eredi vendettero tutto in blocco, forse fu smantellata o venduta per ferro vecchio. Mino non lo volle nemmeno sapere.

 

PS: leggi il racconto di Melusina, è bellissimo.

 
 
 

Questa volta niente nutria

Post n°663 pubblicato il 30 Dicembre 2012 da LaDonnaCamel
 

Che bel sole oggi. Anche se non è proprio proprio l'ultimo giorno dell'anno mi è venuta voglia di fare una passeggiata sulla Martesana come ho fatto l'anno scorso, che era l'anno della nutria.

martesana

Questa volta invece no, niente nutria. Ho scherzato.

Tanto per cominciare, la bici è rotta. Mi ero dimenticata che ha un pedale bloccato e non l'ho più fatta aggiustare. Il fatto è che ci sono andata poco e quel poco ho usato una delle bici di Massimo, che ne ha tre e sono già a livello strada, non bisogna portarle su e giù dalle scale (cioè giù e su, ovvio).
Così sono andata a piedi e ho fatto il giro largo. Ma lo sai che vicino a casa mia ci sono dei posti che sono ancora uguali precisi identici a trenta o quaranta, ma anche cinquanta anni fa? Vicino a dove passa il treno, per esempio.



Dall'altra parte delle rotaie, subito dietro quelle case lì ci abita Massimo. Non te ne frega niente? Evabbè.

treno


C'è un posto con dei disegni sul muro, ma non solo disegni, pure omini scolpiti, e ombre per terra che sembrano me.


me

Guarda che sole, e che ombra.

ombra


C'è una via piena da una parte, te le metto una sopra l'altra ma immaginati che siano una dopo l'altra, come la pubblicità dall'aifon.


graf
graf
graf

auto


questa qui sopra e quella sotto sono le mie preferite, sono il portone di un'officina vera di macchine


auto

Dall'altra parte invece gnente di che


leonca


però, girato l'angolo


graf


non so cosa vuol dire, guardo e scatto col telefonino vecchio fino a che muore la batteria, per non smentirsi.
L'ho portato perché fa le foto più belle e la differenza salta all'occhio. Quella sopra era l'ultima e questa sotto è fatta con quello nuovo.



gr

Quando mi sono stufata di fotografare i graffietti ho imboccato la martesana (ho scherzato di aver scherzato!) e sono andata fino a viale monza a piedi.



martesana

Ho camminato quasi due ore, bestia. Alla fine ero stanca morta e per tornare ho preso la metropolitana a Turro, ma prima ho visto un portone con un cartello  che non pensavo potesse esistere, ho dovuto fare la foto.

propagandisti

Son cose che danno da pensare.

Intanto buon anno. Poi vediamo.

 
 
 

Salgo in campo pure io

Post n°662 pubblicato il 28 Dicembre 2012 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Uh uh, non mi candido, niente paura! Ho solo pensato di dare una mano in questa strana prova di democrazia che sono le primarie del PD. Ho votato sempre, da quelle del 2005 con Prodi non me ne sono persa una, generali, locali, regionali, condominiali: anche quelle per decidere i turni del cesso a casa mia: votare mi sembra una cosa bella a prescindere.
Ma questa volta stai atento, che sono ancora più significative, per quanto magari più simbolicamente che nei fatti. È per questo che mi sono offerta e vado a fare il lavoro di raccolta a un seggio, quello del circolo Milano Futura che ha sede accanto alla stazione centrale, a un tiro di schioppo da casa mia. Un po' come fare la scrutatrice alle elezioni, o la segretaria di seggio: tutti dovrebbero farlo almeno una volta nella vita, per vedere come funziona e partecipare attivamente alla vita della società in cui si abita. Poi non c'è stato molto tempo di informarsi e i nomi tra cui scegliere sono poco conosciuti, fa niente. Quelli che ci sono adesso li conosco? Solo quei due o tre che si son messi in mostra e che comunque per stavolta sono stati derogati e staranno in alto. Mi viene da pensare che, per assurdo, ci potrei essere pure io tra questi oscuri nomi di donne e di uomini che spesso si sono fatti il mazzo per fare andare le cose meglio di come le hanno trovate.
Mi viene da pensare che lo scarto tra loro e le persone vere si possa fare piccolo e il senso di realtà che vanno a rappresentare, grande. (Lo sanno tutti che sono una sognatrice)
Gnente, perché ti sto raccontando questi fatti miei? Così, per dire che se ti capita, se ne hai la possibilità, vai a votare per le primarie, che sia il PD o SEL sempre a sinistra si sta, gli altri no.

 

 
 
 

Domani è Natale

Post n°661 pubblicato il 24 Dicembre 2012 da LaDonnaCamel
 
Tag: Auguri

natale

Anzi stasera!

 
 
 

Prima e dopo, per sempre

Post n°660 pubblicato il 17 Dicembre 2012 da LaDonnaCamel
 

Dalla strada di bonifica che incrocia la Pontina, un sentiero bianco e perpendicolare conduce allo slargo dove un’unica quercia ospita sotto la sua ombra cinque-sei auto di grossa cilindrata e un camioncino Iveco. I partecipanti alla riunione sono già tutti nel caseificio, tranne due nervosissimi che sbattono la portiera e corrono dentro bestemmiando. Dentro c’è il silenzio delle grandi occasioni, i commercianti raccolti a gruppi parlottano piano; il condannato è già seduto su una sedia da stalla, la schiena rigida contro la spalliera. Ma la compostezza del rito è interrotta da un «famme cacà» – il condannato ha bisogno di andare al gabinetto e uno dei due manigoldi che gli stavano ai lati (entrambi vestiti di scuro, con due cravatte Gattinoni che significano “io sono qui straniero e di passaggio”) l’accompagna in fondo dietro un tramezzo, al cesso delle operaie. Approfittando del siparietto uno dei più buffoni sale sulla seggiola e declama, mimando un microfono, «io vi perdòno, ma voi dovete mettervi in ginócchio, tutti, in ginócchio…» – fa la voce da castrato o da donna, parodiando l’accento siciliano; poi finge di svenire tra le braccia e le risate degli altri.
Il leader alza un braccio e i presenti ammutoliscono perché il condannato sta rientrando a riprendere il suo posto; da lontano si sente il vagire di un bufaletto appena nato, coi brandelli di placenta ancora tra le zampe. Viene avanti il volontario, l’esecutore che deve riscattarsi; sputa due volte per terra e calpesta i propri sputi. Quando è alle spalle del condannato estrae dalla tasca la corda cerata, una di quelle con cui si appendono i caciocavalli; subito gli si propone un problema tecnico, se avvolgerla sopra o sotto il pomo d’Adamo; prova e riprova, tra i commenti soffocati. Poi, mentre i due compari tengono il condannato per le braccia guardando altrove, stringe – per un tempo incalcolabile teme di non avere abbastanza forza, le nocche gli si fanno bianche ed escono contemporaneamente due urli che sfidano i secoli: «dài» cominciato dalla vittima e prolungato («daa-aààiii») dal carnefice. Un rivolo sottile di sangue esce dall’orecchio sinistro del garrotato; con fretta forse eccessiva si affollano in parecchi a controllare. Temendo che il cadavere si irrigidisca, o più probabilmente per sfregio, gli tolgono pantaloni e mutande mentre ancora sta seduto; nessuno ride più, si guardano per confermarsi l’un l’altro di essere nel giusto.
Uscendo alla spicciolata ricominciano a distrarsi, la gerarchia dei fatti si aggroviglia; infamia ed espiazione si accavallano per dare somma zero – qualcuno butta l’occhio alla glassa rossastra spalmata tra gli eucalipti verso mare: «a Rafé je fusse piaciuto ’stu tramonto». L’aria è fresca, lunghi sfilacci di nuvole striano il cielo, rivangano il futuro. Uccidere è una fede.


Questo è il primo dei tre incipit che si susseguono nel romanzo di Walter Siti Resistere non serve a niente. Può sembrare strano o come minimo curioso dotare un romanzo di tre incipit, come se l'autore volesse rimediare con la quantità a una qualche mancanza che percepisce solo lui. Walter Siti si mette spesso in mezzo e anche questo è un artificio letterario: non è insicurezza, al contrario è mestieraccio consumato che a me mi fa urlare dal godimento. Poi mi dicono che sono postmoderna e va bene, sarà anche così: ciascuno ci abbiamo i suoi bravi difetti. (Ne ho già parlato ma invecchiando ci si ripete, è un altro difetto dei postqualcheccosa)

 
 
 

Area personale

 

Calendario

blocco dello scrittore

 

Ultimi commenti

Ma grazie!
Inviato da: LaDonnaCamel
il 03/08/2018 alle 10:03
 
Tanti AUGURI baci
Inviato da: gattoselavatico
il 31/07/2018 alle 15:50
 
L'incontro con Paolo nel momento in cui lui era ancora...
Inviato da: LaDonnaCamel
il 08/07/2017 alle 11:52
 
Dieta e palestra anche io che bisogna :) ma talent scout...
Inviato da: Amico.Dario
il 07/07/2017 alle 17:53
 
Ma anche io ne dico poche e solo quelle inutili, che le...
Inviato da: LaDonnaCamel
il 26/04/2017 alle 21:34
 
 

Ultime visite al Blog

monellaccio19amorino11prefazione09iltuocognatino2Mancavi.tusurfinia60Desert.69graffio_di_tigre.itMarion20Miele.Speziato0Giareaacer.250sbaglisignorailmondodiisideeterna47
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

Le avventure di Nonugo

Archivio messaggi

 
 << Dicembre 2012 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
          1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
31            
 
 
Citazioni nei Blog Amici: 39
 


ias

 

Chi può scrivere sul blog

Solo i membri di questo Blog possono pubblicare messaggi e tutti possono pubblicare commenti.
I commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963