Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

Messaggi di Settembre 2013

Una promessa e una minaccia

Post n°804 pubblicato il 30 Settembre 2013 da LaDonnaCamel
 
Tag: EDS, sensi

L'avevo detto che avrei fatto l'ebook. Poi questa storia mi ha preso un po' la mano, la copertina, le bozze da correggere, il titolo da trovare, il testo da impaginare. L'assemblea da consultare. Un centinaio di mail che si incrociano attraverso un fine settimana, perché sono un dittatore implacabile ma democratico, chi mi conosce lo sa.

E sono anche recidiva, lo ammetto. Non è la prima volta che lo faccio. Da sola o in compagnia. Questa volta poi confesso che la cosa è stata premeditata. Fin dal principio. Ho pensato e poi proposto quel progetto perché volevo arrivare qui. O meglio, volevo fare l'ebook e invece ho fatto un libro vero.

Questo.

Quaderno degli EDS

 

Ma anche l'ebook.

 
 
 

Ma chi ti credi di essere, a voler scrivere?

Post n°803 pubblicato il 28 Settembre 2013 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Ancora una poi basta. Citazione, intendo. Si vede che sono un po' spompata io e non ci ho voglia, che sto dedicandomi troppo a altre cose, o che il mio Feedly pesca bene, o che ne so. Mi pare che ci sono i giro dei bei pezzi che vale proprio molto la pena di leggere. Questo qui di Paolo Nori te lo dedico. Io Paolo Nori l'ho conosciuto quando era uscito Bassotuba non c'è, ero andata alla fiera del libro di Torino e alla presentazione lui non c'era, gliel'avevan fatta in contumacia perché aveva avuto un tremendo incidente in macchina, era all'ospedale e ci è stato un bel po', tanto è vero che dopo ci ha scritto un altro libro sopra ma io non l'ho letto.

Ti ricordi?

"In questo periodo sto provando a scrivere un libro che si intitola Scuola elementare di scrittura emiliana per non frequentanti. Allora lunedì mattina, mi son seduto al tavolo, stavo per cominciare a scrivere, ho sentito una voce, dentro la testa, che mi diceva «Ma cosa vuoi scrivere? Ma chi ti credi di essere, a voler scrivere? Ma non ti rendi conto che sei solo una merda e che non hai nessuna speranza di essere altro?». E mi sono fermato, nella scrittura, ho fatto due conti, ho pensato che eran diciassette anni, che sentivo quella voce lì. E mi è venuto in mente, lunedì mattina, di una volta, diciassette anni fa, che ero a Parma, in via Cavour, in mezzo alla gente, avevo sentito uno che diceva «Oh, deficiente!», e mi ero voltato convinto che chiamasse me; e mi ero acconto che io, di questo fatto, ero contento; e all’inizio subito non capivo come mai, questa contentezza nel momento in cui mi rendevo conto di avere un’autostima, se così si può dire, ai minimi storici, e dopo a pensarci ho pensato che scrivere, per me, io per mettermi a scrivere, ero già grande, avevo più di trent’anni, per provare a scrivere io avevo dato le dimissioni da un lavoro normale, responsabile amministrativo di una joint venture franco-italiana che lavorava al metanodotto Artère du midi, nel sud della Francia, e ero nel mondo, dentro un organigramma, ero lì, a metà strada, impegnato a salire, e scrivere, per me, aveva voluto dire uscire dall’organigramma, venirne fuori, rifiutare l’idea che dovevo sforzarmi per essere più bravo, più furbo, più ricco degli altri, aveva voluto dire, in un certo senso, aver la patente del deficiente, per questo forse ero contento quando mi ero girato a sentire «Oh, deficiente», mi è venuto in mente lunedì mattina. E, a pensarci, ho pensato che quella voce lì che mi chiedeva chi mi credevo di essere e che mi ricordava che ero solo una merda e che non avevo nessuna speranza di essere altro era una voce della quale io, forse, avevo bisogno, e lunedì sera, poi, che ero a Milano a fare una cosa, mi è venuto in mente quello che ha scritto una volta Beckett, che ha scritto che la speranza è un ciarlatano che non fa che imbrogliargli e che lui, Beckett, aveva cominciato a star bene quando l’aveva persa, e che la frase che Dante ha messo sulla porta dell’inferno, Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate, lui l’avrebbe messa sulla porta del paradiso. E dopo, lunedì notte, mi è venuto in mente lo scrittore russo Viktor Šklovksij che diceva che ogni volta che cominciava a scrivere un libro aveva l’impressione che scrivere quel libro lì fosse un compito al di sopra delle sue possibilità. E poi ho pensato che era ora di andare a dormire."

http://www.paolonori.it/lunedi-mattina-lunedi-sera-e-lunedi-notte/

 
 
 

Forse anche tu stai per pubblicare il primo romanzo

Post n°802 pubblicato il 25 Settembre 2013 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

O la prima raccolta di racconti. O la prima raccolta di poesie. O anche solo il primo racconto. O magari appena la prima poesia. Stai per farlo con la casa editrice Einaudi, firmando un contratto? Benissimo. Stai per farlo con un editore a pagamento, firmando un assegno? Malissimo. In ogni caso sappi che d’ora in poi, sia in privato sia in pubblico, potrai tirartela. Anzi no, dovrai tirartela. Se già te la tiravi prima, meglio: significa che sei naturalmente predisposto alla carriera intellettuale. Se invece non sei tipo da tirartela, vuol dire che dovrai imparare a farlo. Per come funzionano le cose nel dorato mondo delle Lettere italiane, infatti, ben presto imparerai a tue spese che solo e soltanto tirandotela verrai preso sul serio da critica, stampa, pubblico e dai famosi addetti ai lavori. Non a caso, chi pur pubblicando qualcosa non se la tira suscita sempre una grande diffidenza. Viene per così dire preso sottogamba, quando non del tutto ignorato anche da testate specializzate che in teoria dovrebbero almeno accorgersi della sua esistenza, magari recensendo il suo decimo romanzo. Chi non se la tira a dovere, peritandosi di usare non solo sulla pagina ma anche in occasione di interventi e interviste parole magari inutili e che però necessitano della consultazione del dizionario, suscita inevitabilmente commenti del tipo...

Leggi tutto questo divertentissimo pezzo dell'ultimo libro di Giuseppe Culicchia che si inititola E così vorresti fare lo scrittore... La guida pratica al mestiere di scrivere, editore Laterza

 
 
 

Sciò, sciò, sciodontel!

Post n°801 pubblicato il 20 Settembre 2013 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Il mio amico Tapiro ha scritto un bellissimo post che argomenta per filo e per segno, dimostrandoli, i motivi per cui è molto meglio il "mostrato" del "raccontato" nella scrittura. Quando nelle scuole o nei manuali ti viene raccomandato "show, don't tell!" - a volte  per scherzare dico sciodontel - è di questo che si tratta. L'immersione dei personaggi nell'azione è molto più efficace di una spiegazione, al punto che far avanzare la trama solo attraverso il loro racconto nei dialoghi non convince, non comunica e qualche volta si smentisce da sé.
Per quanto questo "esperimento" non sia stato ripetuto, di fatto sarebbe ripetibile e quindi non manca di una sua scientificità, ovviamente specifica delle scienze sociali che hanno un proprio genere di numerabilità.
Insomma, leggilo che merita: ecco l'inizio:

“Non c’è tutta questa differenza tra il ’mostrare’ una cosa e ‘raccontarla’” è l’obiezione che mi sento muovere più spesso al concetto di show don’t tell. Un’altra è: “E’ solo una questione di stile”, come a dire che è una faccenda che riguarda soltanto la ‘poetica’ dell’autore, il suo modo di esprimersi, e non va ad influenzare più che tanto il contenuto (corollario: potremmo smetterla di criticare?). Eppure non è così. Raccontare una cosa, e mostrarla, suscitano in noi impressioni molto differenti. E dato che un esempio vale più di mille parole, vi racconterò una storia. Continua su Tapirullanza

 
 
 

Diamo i numeri

Post n°800 pubblicato il 16 Settembre 2013 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

In matematica, un numero è un modo di esprimere sia una quantità, sia la posizione in un elenco di elementi, sia il rapporto tra grandezze dello stesso tipo.

Ma i numeri sono un concetto così umano!
Probabilmente sono uno dei primi passi evolutivi fondamentali per il miglioramento delle condizioni della specie, fin dai tempi primordiali. Ci sono resti che lasciano supporre che già 37000 anni fa si contava: erano solo alcune tacche su un pezzo d'osso ma la regolarità con cui furono incise è molto eloquente anche per noi, a così grande distanza di tempo. Lasciamo stare come possono essere stati rappresentati o scritti: su quell'osso c'erano 29 tacche e chi lo sa cosa andavano a contare, i giorni del ciclo lunare forse. O magari i giorni del ciclo: mi sa che quella era una mia progenitrice, bisavola cavernicola, e visto che i preservativi non potevano di certo essere stati già inventati, stai a vedere che quella fibula di babbuino trovata a Lelembo, nell'Africa del sud, era una specie di contraccettivo, di tipo Ogino Knaus ma precocissimo.

Se la rappresentazione simbolica dei numeri sembra essere esclusiva dell'umanità, non lo è la capacità di contare: molti animali lo sanno fare, anche se riescono a padroneggiare con precisione cifre piuttosto piccole. I gatti, lo so per certo, sanno contare fino a sette. Questo serve a mamma gatta per non perdere i propri cuccioli, come farebbe altrimenti ad accorgersi se ne manca uno e lo deve andare a cercare? E mi dispiace tanto per l'ottavo gatto che tutte le volte andrà disperso.
Se poi si tratta di contare approssimativamente, confrontare quantità di elementi per stabilire qual è l'insieme più numeroso,  quasi tutti gli animali studiati sono in grado di farlo, anche gli uccelli e perfino alcuni insetti. Le api sanno contare almeno fino a tre e i cavalli sanno fare le moltiplicazioni. No, scherzo, non è  vero,  Clever Hans era solo un acuto osservatore e smetteva di battere lo zoccolo a terra non appena si rendeva conto che il padrone era soddisfatto così, basta, grazie. L'avrei fatto anch'io, c'è da capirlo: ogni volta che indovinava riceveva una carota in premio.
Lo stesso vale per tanti altri fenomeni, nel senso di circo: ciascuno di noi sa che il suo animaletto è eccezionale e fa cose mirabolanti, ma solo nell'intimità della casa e quando nessuno guarda.
Rimane il fatto che siamo immersi nei numeri oppure i numeri sono immersi dentro di noi: uno studio sulle scimmie cerca di provare che abbiamo in testa un neurone per ogni numero: c'è la cellula dell'uno, quella del due, quella del tre e così via. Non so dirti se sono in tutto dieci, compreso lo zero e poi vanno ricombinati oppure sono tutti tutti fino all'infinito impensabile, bisognerebbe chiederlo a Andreas Nieder, dell'università di Tubingen. Su Focus dove ho preso la notizia non si va oltre il quattro. Quello che so è che ci sono primati che sanno contare fino a venti, ventuno se nudi, guidano la macchina e vanno al lavoro tutti i giorni pur disponendo di un paio di neuroni in tutto.

I numeri non sono tutti uguali, rassegniamoci all'idea che alcuni portano carichi di senso che poco o nulla hanno a che fare con la quantità rappresentata. Sono questioni estetiche, o affettive, o simboliche, a volte onomatopeiche ma sempre misteriose, bisognerebbe chiederlo alla smorfia.
Il tre, numero perfetto, si può immaginare che venga dalla scena primaria con la mamma e il papà e il bambino, ma appena si cresce un po' diventa un disastro e bisogna stare molto attenti a non farsi beccare altrimenti scoppia e sono guai, avvocati, alimenti e un tristo monolocale in periferia.
Il sette, vai a sapere perché, è uno di quelli più speciali, ti posso fare un elenco infinito di nani, mari, magnifici, colli, samurai, capretti, peccati capitali, note, spose per fratelli, sfere del drago, uomini d'oro, giorni della settimana, meraviglie del mondo: come dice il dottor Culocane, sette è la misura massima di qualsiasi cosa e non è un caso!
I numeri primi che, poveretti, stan sempre da soli e ci soffrono, e poi le coppiette undici ventidue trentatre eccetera che non so come si chiamano, e i palindromi, gli inversi, quelli di tre, quattro cinque cifre tutte uguali, a partire dal 666 numero del diavolo. È perché siamo affascinati dalle ricorrenze, dalle regolarità, dal verificarsi del prevedibile e dell'imprevedibile. Troviamo simboli dappertutto e dove non ci sono, ce li mettiamo noi.
Io, per esempio, adoro le cifre tonde e le commemorazioni e oggi posso mettere insieme una cifra tonda, una commemorazione e anche due numeri primi. Sciambula.

7 anni di cui due bisestili, che fanno 2557 giorni, 61360 ore, 3681600 minuti. I secondi non li conto perché sono irrilevanti.

800 post, di media un post ogni 3,19 giorni vale a dire ogni 76 ore e tre quarti, ma per essere più precisi ogni 4602 minuti giusti giusti.

Auguri a me e a chi mi vuole bene!

(Fonti: wikipedia, focus e youtube)

 
 
 

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