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Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

Messaggi del 03/11/2009

L'inventario di nik56

Post n°385 pubblicato il 03 Novembre 2009 da LaDonnaCamel
 

Maledetti milanesi. Tutto li' sta. E noi ci arrangiamo, 'fanculo. E cosi', per punirti, ti mando l'inventario. Cosi' impari. Che sicuramente l'hai visto su ias e lo hai cagato. Eh, no, mia cara. Gli errori del passato ti perseguitano. Credevi di liberarti ? Di ignorare ? Facevi la superiore ? Dopo le medie ? Cazzo, cazzo, cazzo. Voglio dire, che e' tutta 'sta storia sul talento ? Eh ? Che te ne frega a te ? Tu c'hai il tuo blog, no ? Stai tranquilla, sicura, come riesci a vivere ? Eh ? Lo sai che ti martellero' con le mie stringhe di testo ?

= L'inventario

Scaffale 238, ripiano 5, posizione 4. Valvole di non ritorno da un pollice / un pollice e un quarto, 7.
Provenienza, inventario del 16/05/2002. Nessuno ha mai comprato un cazzo, in questo magazzino. La provenienza e'sempre un inventario. Mai un fornitore. L'inventario piu' vecchio che ho trovato e' del 22/07/1984.
Elettrovalvole a solenoidi, per benzina, dodici volt, 2.
Sono sicuro, pero', che ne trovero' di piu' vecchi. Passo allo scaffale successivo. Ho un carrello con una batteria da camion da cento ampere e un inverter che alimentano un vecchio notebook con il programma di magazzino. La sera, quando ho finito, metto a caricare la batteria e lascio la memoria usb con i dati in un contenitore di cartone. La mattina l'impiegato scarica i dati sul suo computer e me la rida'. Mi piace, questo lavoro. Il magazzino e' enorme, senza nessuna organizzazione. Sullo stesso scaffale mi e' capitato di trovare una cassetta ad incasso per wc e una scatola di blister con aghi per macchina da cucire automatica. Sulla faccia superiore della scatola c'era l'immagine di una specie di Bibendum della Michelin trafitto da migliaia di aghi. Voodoo indifferenziato, da camiceria.
Scaffale 239, ripiano 1, posizione 1. Inneschi per pistola sparachiodi. Giacenza zero. Questa va a finire nella sezione Materiale Non Movimentato. Mi avevano detto che era un peccato, perdere tutte quelle descrizioni, cosi', quando avessi trovato del materiale a giacenza zero, dovevo caricarlo sullo scaffale 9999. Lo scaffale che non esiste, per il materiale che non c'e'. Creato appositamente per mantenere in memoria descrizioni di merce che poteva essere reintegrata. E quindi : scaffale 9999, ripiano 2038, posizione 474, 0. Il notebook ci mette un po'. Fa sempre cosi', con lo scaffale 9999. Certe volte mi chiedo quanta roba ci sia caricata su. Quanto vecchia. Quanti magazzinieri lo hanno usato. Sono solo dati, penso. Un mucchio di descrizioni laconiche. Vado avanti. Scaffale 239, ripiano 1, posizione 2. Lampade agli ioduri, 400 watt, bulbo cilindrico, 4.

La posizione successiva e' occupata da un cubo di pietra bianca di circa 10 centimetri di lato. Almeno, sembra pietra. Sullo sfondo bianco dello schermo, la descrizione della posizione 3 e': Pompa ad immersione, pressostatata, 0,75 HP. E' la prima volta, che capita. Ho trovato posizioni vuote, posizioni invertite, ed ho corretto. Questo non e' un articolo scambiato di posto. Raccolgo il cubo, non e' di pietra, troppo leggero. Lo avvicino agli occhi, per vedere se ha una trama, per capire di che materiale sia fatto. Continuo ad avvicinarlo, ed avvicinarlo. Non arriva mai. La mia mano dovrebbe essere ormai dietro la mia testa, ed io continuo ad avvicinarlo agli occhi. Lo faccio cadere e barcollo indietro. Mi appoggio allo scaffale opposto, fisso il ripiano vuoto. Sento nella mia testa il rumore delle gocce del mattino che cadono nel bicchierino di plastica. Tap, tap, tap. Magari se racconto questa faccenda del cubo, mi aumentano la dose. Non mi disturba piu'. I primi tempi avevo paura. Temevo la dipendenza. Ora e' dolce, l'amaro delle gocce nell'acqua che ruota veloce. Ora aspetto che arrivi l'ora. Poi, procrastino un po'. Un quarto d'ora, venti minuti. Mi induco una micro-astinenza e mi arrendo sul divano, davanti alla televisione spenta, mentre penso pensieri molli e sfilacciati illuminati da qualche picco occasionale di ansia che superi le barriere di contenuta soddisfazione dolente. Con la mano destra tasto il flaconcino che porto sempre nel taschino interno del giubbotto di tela blu'. Mi rassicura. La mia acquasantiera, con la quale aspergo la folla di recettori avidi di assoluzione circolare, ciclica, coprente come una mantella di panno spesso che si inumidisca e si appesantisca sotto la pioggia leggera e invisibile nella notte scura. Controllo a destra. Controllo a sinistra. Senza muovermi, girando la testa. I corridoi formati dalle scaffalature non presentano anomalie visibili. Torno al computer, devo spostare la voce della posizione vuota. Nel campo "scaffale" inserisco 9999 e do invio. La macchina comincia a macinare come al solito, il led del disco fisso che pulsa stroboscopico. Le zone d'ombra sotto i ripiani piu' bassi tentano i miei occhi. In effetti, non ho alcuna voglia di scandagliarli. Non voglio trovare nulla.

Sono le 14,40, faccio il turno continuato, fino alle 18,00. Alle 16,00 devo prendere le gocce. Sono solo, nel silenzio, ascolto il ronzio delle ventole dell'inverter e del notebook, punteggiato dai click sommessi degli accessi al disco. Sento le mani sudate, una punta di ansia che emerge, come un parafulmine al contrario, che emetta scintille bluastre. Capisco che non resistero' fino alle 16,00. Mi accorgo che i ticchettii del disco fisso sono terminati, giro lo sguardo sullo schermo. Mi aspetto la schermata di inserimento, invece c'e' un messaggio di errore. Overflow dello stack interno. Qualcosa ha saturato le modeste risorse del notebook. Mi dico : Ok. Resettiamo. Questa vecchia carretta si e' bloccata. Sono contento di avere qualcosa per distrarmi, per far passare il tempo che gocciola lento e a scatti, come un dosatore intasato. La macchina si riavvia e ripeto la procedura di inserimento. Anche questa volta la barra di scorrimento resta ferma sullo zero mentre il disco lavora in continuazione. Ci mette troppo. Anche per il 9999, ci mette troppo. Penso che probabilmente c'e' un archivio rovinato. Penso che dovro' recuperare l'archivio di ieri, e che dovro' rifare gli inserimenti della mattinata. Tento un debug del database, ma ho sempre lo stesso risultato : Overflow.

L'impiegato annoiato che scarica i dati che inserisco nel terminale del server mi dara' la copia integra, domattina. Avra' un'aria insofferente. Avra' scritto in faccia : l'imbecille ha combinato qualcosa. Va bene. Va bene cosi', non mi interessa. Se avessi ancora il mio equipaggiamento da Ice-Breaker potrei aprire queste macchinette come noccioline e contare i loro peli del culo. Giusto, sergente. Rompimi questo fottuto ICE, ragazzo, spalancamelo ed entriamo. Non devo pensare a prima. Non devo. L'ansia si colorera' di blu scuro, mentre gira sul suo asse di cristallo graffiato. Un'ultima punta di curiosita' mi fa uscire al prompt dei comandi. Chiedo un listato dei record e il cursore comincia a riempire lo schermo nero di numeri e descrizioni in bianco, senza mai fermarsi. Osservo affascinato la sequenza. Ad un certo punto i caratteri cambiano, non sembrano piu' alfabeto e decimali, ma lineette e simboli, avvicino il viso allo schermo, decisamente questi non sono i record del programma di magazzino. L'archivio deve essersi danneggiato oltre ogni possibile tentativo di recupero. Spengo tutto. Va bene. Non e' colpa mia, mi dico. Mi fanno lavorare con questo residuato, non e' colpa mia.

Resta da decidere cosa faro' fino alle diciotto. Potrei tornare nella gabbia a vetri degli uffici. Prima, pero', prendero' le mie gocce. Sono le 15,35. Va bene lo stesso. Prendo la boccetta dal taschino. Svito il tappo con attenzione. Tiro fuori la lingua e me le conto direttamente sopra. Di solito ne prendo quindici, oggi faccio venti. Sono cosi' amare. Mi piace, sentirle cosi' sulla lingua. Ho l'impressione che facciano effetto piu' velocemente. Prendo un sorso di acqua dalla bottiglia di plastica che riempio la mattina, quando comincio il turno, e mi avvio nel corridoio, spingendo il carrello e guardando il display spento del notebook. Vedo la forma riflessa della mia testa e le immagini confuse degli scaffali che sfilano all'indietro. Mi innervosisce questa visione confusa di forme dietro di me, cosi' chiudo lo schermo. Alzo gli occhi e mi fermo. Cristo, sono davvero fuso, oggi. Mi sono avviato nella direzone sbagliata. Davanti a me ci sono le file di scaffalature che si allontano e convergono nella penombra del magazzino. Mi giro e mi rendo conto di essermi allontanato dall'uscita, vedo in distanza il chiarore bianco dei neon degli uffici due o tre corridoi piu' a destra di dove pensavo di essere. Non ricordo di aver deviato.

Le gocce cominciano a fare effetto, cosi' avverto solo un vago disappunto, penso che non ho appuntamenti urgenti nelle prossime ore, e questo pensiero mi suscita una risatina. Mi pento di averla fatta, subito dopo. Suona strana, sul cemento grigio sporco del pavimento. Mi riavvio verso il chiarore dei neon. Alla seconda svolta che faccio per riportarmi sulla direttrice, mi fermo di colpo davanti ad uno scaffale. Sul terzo ripiano c'e' una macchia colorata. Vivida. Contrasta con il grigio ferro delle intelaiature e con i colori spenti e rugginosi dell'ambiente. Mi avvicino lentamente. Sembra un plastico. Una di quelle ambientazioni di bambole. Ma e' dettagliato, assurdamente dettagliato. Un prato verde davanti ad una villetta, un boschetto con uno specchio d'acqua. E' incredibile. Il livello di dettaglio e finitura non e' quello di un giocattolo. Sembra come se la scena debba animarsi da un momento all'altro. Le finestre della villetta hanno degli aloni scuri, intorno, come se all'interno sia divampato un incendio e le lingue di fuoco abbiano annerito i muri in pietra. Mi accosto di piu'. Alla fine dei gradini del portico c'e' una colonnina con una piattaforma diseguale, sulla piattaforma una cosa che non riesco ad identificare, una scultura monca, un torso scuro con un abbozzo di arti. Sulla radura antistante lo specchio d'acqua, delle figurine colorate, sbatto le palpebre e le strizzo, nel tentativo di distinguere i particolari. Sembrano piccoli animali di peluche, intorno ad un altro torso scuro ed informe, steso su una incongrua tovaglietta a quadri. Mi accosto ancora e poi sento come uno strappo, e comincio ad urlare, perche' precipito verso il diorama.

 
 
 

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