Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

Messaggi del 06/07/2010

Mutandine di chiffon 1/2

Post n°413 pubblicato il 06 Luglio 2010 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Ingenuità disincantata. E gioioso sarcasmo. Lo so, sono contraddizioni in termini. Eppure ci sono questi e altri conflitti in qualche modo sanati da una pazienza conquistata, da un modo indulgente di prendersi poco sul serio ma senza sminuirsi, da una scrittura semplice ma colta e mai banale.
Le storielle di questa raccolta non sono tutte straordinarie, ci sono anche tiepidi resoconti di viaggio o coccodrilli dovuti e dettati a bassa voce.
Ma che voce! Ah, saper scrivere così.

Mi è tanto piaciuto che ho pensato di copiarne un pezzo. E' un piccolo gesto d'amore e anche un tentativo di penetrarne più a fondo il segreto, parola per parola, segni di interpunzione e corsivi compresi. Per ora ho imparato dove mettere le virgole con le parentesi, che per me era un impaccio come quando esci con qualcuno che ti interessa la prima volta e non sai mai dove mettere le mani.

Apologia della famiglia

Da Mutandine di chiffon
Di Carlo Fruttero
(Mondadori)

 

“Tutti i maltrattamenti dell’infanzia” ha scritto una volta Ugone di Certoit, “hanno un luogo soltanto e una fonte sola: la famiglia.” Già, uno pensa, ma anche l’orfanatrofio non dev’essere precisamente il festival della carezza e del bacino. I genitori, afferma il Certoit, soprattutto se ottimi genitori, tarpano le ali ai figli, li deformano come i piedi delle cinesine di un tempo, li riducono a bonsai. In qualità di genitore certo non da champion league ma iscrivibile perlomeno alla categoria C1 tenterò qui una modesta autodifesa.

Circa il postulato implicito in quel drastico giudizio sono sempre stato pienamente d’accordo col giudice: era meglio non nascere, e una volta sbattuto nella valle di lacrime era meglio non sposarsi, non procreare, non perpetrare l’infelicissima specie. Mi riconosco dunque colpevole di tradimento verso i grandi pessimisti che ho ammirato per tutta la vita, Leopardi, Schopenhauer, Beckett, Cioran, Ceronetti, il biblico Predicatore e pochi altri. Ma una volta che uno è lì, nella valle maledetta, come può fare dopo il disperato ingresso? Se la valle si trova, poniamo, in Bosnia o in Ruanda, c’è appena il tempo per chiederselo, omaccioni armati di mitra o machete provvederanno a stroncare sul nascere ogni futuro maltrattamento. Tanto di guadagnato per quegli scheletrini? Mah.

Ovvero, la valle si apre su un cassonetto per l’immondizia in periferia: vagiti per un’ora, due, poi il silenzio. Niente più maltrattamenti, carabinieri che indagano sulla mamma snaturata.

Ma ci sono anche mamme non snaturate (la maggioranza, parrebbe) che al primo urlaccio porgono il seno o il biberon. Puro istinto e fin qui tutto bene. Ma già coi pannolini, sia pure dell’ultimissimo, perfezionatissimo modello, siamo alla costrizione e alla pubblicità. Seguono gli omogeneizzati, pappe artificiali che chissà cosa c’era veramente dentro, con le quali si condiziona per sempre la sensibilità di quelle papilline gustative. Meglio morire di fame in Somalia? Mah. Comunque, a forza di spot sui biscotti energetici e i succhi vitaminizzati la creatura cresce e piange, piange e cresce. Nel cuore della notte o anche in pieno giorno tentazioni infanticide lampeggiano nella mente di genitori esasperati, di fratellini gelosi. Perché non la pianta, il minuscolo torturatore? Alcuni non ci resistono, lo scaraventano dalla finestra, lo soffocano col cuscino, lo ammazzano di botte, e la polizia indaga. Altri (la maggioranza, direi) si torcono le mani: non saranno mica i sintomi di un male che non perdona? Pressanti telefonate a nonne, sorelle, portinaie, pediatri di due o tre generazioni. No, non è niente. Ma ormai tutta quella carica d’ansia è passata per osmosi nel sistema del povero infante che se la porterà dietro forever.

Anche qui è all’opera l’istinto, il comando genetico a proteggere la prole. Ma, come ognuno sa, nell’uomo l’istinto protettivo può essere micidiale. Hai davanti quell’animaletto che guizza liberamente a quattro zampe sul tappeto. Grazioso, niente da dire, ma è pur sempre un bipede che dovrà muoversi in un mondo di bipedi. Bisogna insegnargli a reggersi in piedi, a camminare. E quello via di corsa a sbattere contro lo spigolo della lavastoviglie. Che fai? Lo tarpi o non lo tarpi, lasciando che la Natura decida lei mediante caduta assassina in fondo alle scale? Lo tarpi eccome, gli rovesci addosso divieti, raccomandazioni, sgridate, sberle, minacce, e se ti vedo ancora saltare in tuffo nella vasca da bagno (asciutta) io ti strozzo, hai capito?

Da quel momento è tutto un tarpare, in effetti. Nessuna fiducia nelle capacità del piccolo suicida di cavarsela da sé. Già il triciclo è un rischio, per non parlare della bicicletta. Ma i pericoli sono ovunque, si moltiplicano mentre si diversificano. Come la mettiamo con le parolacce? Con gli amichetti truculenti? Con l’aggressività? Konrad Lorenz è affascinante sulle oche, ma non spende una parola per dirti come prendere un caro pulcino che sfoga su di te a pugni e calci la sua sana, incontenibile energia (alle 19,40, quando sei appena rientrato da una dura giornata di cacciatore di yogurt e formaggini). Né Lorenz né il più infimo consigliere ebdomadario ti sa illuminare sul serio quanto a settimana bianca o no (e se si sfracella la spina dorsale?), lezioni di nuoto o no (e se si becca il fungo delle piscine?), scuola di danza o no (e se si monta la testa e pretende di diventare Isadora Duncan?). In realtà si va avanti nel buio, dialettalmente a truc e branca, tarpando e non tarpando secondo pigrizia, stanchezza, debolezza, malumore, nervi, soldi, chiacchiere sentite dal parrucchiere. Il pianoforte è un supplizio o non invece un’esaltante consolazione lungo l’intera vita? O magari la chitarra, la pittura. E l’inglese? E il canto corale? Le virtualità s’infittiscono a ragnatela: si vorrebbe che non ne perdesse una, il moscerino. Ma se lo si iscrive a tutto, con tutte quelle scadenze, quegli orari di ferro, se ne fa uno schiavo e poi dunque un ribelle, un disadattato, uno che come minimo si darà alla droga, allo scippo, alla prostituzione. Meglio lasciar perdere. Ah, ma allora potrà diventare un tristo mollaccione, un vinto in partenza, un fallito senza orizzonti, ambizioni.

 

(Gli svarioni, in caso, sono miei e del correttore automatico di word. Continua tra qualche giorno ma se non resisti, compralo.)

 

 

 
 
 

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