Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

Messaggi del 10/02/2013

EDS Rumore - finalino

Post n°691 pubblicato il 10 Febbraio 2013 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Anche questo EDS è stato divertente, scoppiettante, imprevedibile, bizzarro, maturo, commovente, forte, audace. Insomma, bello.

Qualche giorno fa avevo detto:

C'è un rumore strano, sordo ma acuto, ripetuto. A volte sembra vicino, a volte si sperde lontano.
È un po' inquietante, è fastidioso, è misterioso.
Ma cosa diavolo è?
Dimmelo tu cos'è.

Scrivi un raccontino come al solito sul tuo blog e poi vieni qui a spifferare tutto.
Scadenza lunedì 4 febbraio a mezzanotte.
Non dimenticarti di citare gli altri partecipanti!

Ah, ma la difficoltà dove sta?

Deve essere in seconda persona singolare: dammi del tu.


Presto e bene tu hai risposto:

Il movimento

Cara elettrice, caro elettore
tra poco sarai chiamato a cambiare l’Italia.


Un incipit quanto mai attuale per un pezzo divertentissimo, nemmeno troppo iperbolico se confrontato con la realtà degli ultimi giorni: il candidato Mai Maturo sa parlare la lingua di tutte le classi sociali, tutte le lobby sono rappresentate e tutti i gruppi culturali saranno accontentati. Per l'ultimo punto si rivolge perfino ai morti, questo candidato non solo smacchia i giaguari ma rende pure trasparenti i camaleonti, è fedele come un cagnolino ma forte come un leone: niente di meglio per il diario di una donna camel, bestia!

Ti lascio una parola

Quando indosso la tua giacca sento ancora il tuo profumo, le scarpe no,  ma te le tengo via, casomai un giorno ti possano servire ancora.

Un racconto intenso che suggerisce sensazioni più che raccontare fatti. Non importa sapere con precisione quel che succede, si capisce abbastanza per immaginare una confusione mentale, capita qualcosa di brutto e i cinque sensi vengono menomati, rimane solo il rumore del respiro forte come un uragano che fa paura. Niente sarà più come prima anche se la speranza è l'ultima a morire.
Lillina, vuoi che ti dica se c'è qualcosa che non funziona nel tuo pezzo ma io non lo so, non credo si possano colmare i vuoti che pure ci sono, non si possono specificare con pedante diligenza tutti i passaggi temporali che concorrono alla descrizione dei fatti. È proprio su certe omissioni che è costruito il racconto, con i salti di tempo e bagliori sottintesi: la chiave sta tutta nella frase finale: "Scrivo,  poi mi rileggo ed è come parlassimo."

Eds-Un errore di sbaglio

E odio la notte quando sento quel rumore secco di narici, o il tintinnare dei calici di champagne, e a me non danno manco un aspirina.

Con poche parole crude, amare e senza fronzoli hai scritto una storia intera, con una trama, personaggi e ambientazione, desideri e conflitto, l'hai scritta in seconda persona come richiesto e ci hai messo pure il lieto fine.
Che importa se manca qualche virgola? te ne mando un po' per la prossima volta ,,,,,,,

Il pallone

Mi dici di ascoltare bene, dici che mi sta parlando. Tendo l’orecchio. Dici che la senti anche tu, la tua musica viscerale che parla con me.


Una piccola storia gentile del battito del cuore e di un incontro col pallone che è così curioso che mi fa pensare sia proprio una storia vera.

Testa di ignudo

Tump

Cito poco, solo una parola, il rumore del timbro sul francobollo del pacchetto che porterà un regalo. Hombre omette, allude, dice e non dice, evoca più che altro. Un epoca, un profilo michelangiolesco, un album e una passione, un'Ermella che sferruzza per un bimbo lontano lontano che deve ancora nascere. Chissà chi sarà quel bimbo? Io un sospetto ce l'ho.

Il rumore del vento


Tiri la coperta sulla testa e crolli addormentato, ascoltando il rumore del vento.

Rubo qualche aggettivo dai commenti altrui: forte, impegnativo, scritto rispettosamente, audacemente, coraggioso, maturo.  Vuoi vedere che MaiMaturo è diventato maturo? Ma no. Ma dai. Davvero? Sia come sia, te l'ho già detto e lo ripeto, tu negli EDS ci sguazzi, ti donano, ti stimolano e ti valorizzano. E io me ne glorio e me ne vanto. Olè.

L’orecchio assoluto

Ma nessuno ti aveva parlato delle sue pietre umide, del salso che corrode i muri, dell’ombra perenne di certe calli profonde, dell’acqua che in inverno lambisce le soglie delle case e a volte risale i primi gradini, col suo odore di marciume e il suo ritmo lento e indecifrabile. Non ti avevano detto che nella tua stanzetta in affitto avresti visto una lama di sole solo due ore la mattina, e per il resto del tempo non ci sarebbe stato alcun caminetto a scaldarti mentre studi su un tavolino traballante o provi la tua musica con i mezzi guanti. Non immaginavi quanto avresti rimpianto il grande focolare sempre acceso nella cucina di casa tua, né che avresti dovuto accontentarti di un catino di acqua fredda per lavarti il viso all’alba e di uno scaldino che a malapena ti intiepidisse il lettuccio umido la notte.

Scusa eh, l'ho sempre detto che non si vince niente e anche questo è un premio del tutto simbolico ma questa volta mi arrogo il privilegio - e ne detengo il diritto, di proclamare Melusina Regina di questo EDS. La garbatezza, la precisione, lo stile, il colore, il calore, l'odore: non manca niente, nemmeno il modo (perché c'è un modo, nelle cose)
Insomma, si è capito che mi è piaciuto?

Sibilo

Il mio zaino scolastico era pieno di fischietti e palloncini da sgonfiare spernacchiando con cui dissimulavo il mio disturbo. La mia paghetta settimanale veniva spesa per farne scorta visto che gli insegnanti me ne sequestrato almeno tre al giorno. I primi tempi passavo per una burlona poi i compagni cominciarono ad evitarmi e il preside mi mandò a casa i Servizi sociali, con grande disappunto dei miei genitori.

Un raccontino surreale, anche un po' bizzarro (la bizarro fiction è una corrente letteraria, giuro! ) che mi ha fatto sorridere e pazienza che, per distrazione, non è scritto in seconda: l'importante è divertirsi e se non si vince niente non si perde nemmeno. Mi è piaciuto soprattutto come l'autrice ha riportato il soggetto nel tema del suo blog.

Il mio racconto, Amico Mio. Chiedo scusa a Paolo Cognetti, lui lo sa.

E il contributo di Dario  è altrettanto gradito e prezioso.

Adesso ti mando il bacino della buona notte

e grazie!

 
 
 

L'occhio del coniglio 10. Se un uomo a questo mondo.

Post n°690 pubblicato il 10 Febbraio 2013 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Finché nessuno mi ferma io vado avanti, son le puntate del mio romanzone, anzi romanzetto che alla fine lo vedrai anche tu, è corto. Poi stasera se ce la faccio o domani al massimo, scrivo anche le mie considerazioni sull'EDS appena concluso, lo so che ci tieni e non mancherò.

Buona lettura.
 
Se un uomo a questo mondo ha il diritto di dire che si è fatto da sé, questo uomo è Amilcare Bertani. Non aveva ancora nove anni quando morì suo padre e sua mamma era così povera che aveva dovuto toglierlo dalla scuola e mandarlo a lavorare per aiutarla a dar da mangiare agli altri due figli piccoli. Gli toccava scaricare sacchi di carbone che pesavano più di lui, era un lavoro da bestie e lui se lo ricordava bene, coi geloni nelle mani e nei piedi, che a Milano ghiacciava l’acqua nelle tubature. Lo sapeva solo lui i sacrifici che aveva fatto per imparare la ragioneria e due lingue straniere, tutto da autodidatta, per quanto i suoi figli lo prendessero sempre in giro quando lo raccontava. Quando aveva bevuto un qualche bicchierino di Strega si faceva venire la voce stridula e non badava alle occhiatine. Se era in buona o c’era presente un estraneo, un parente, un amico, si toglieva gli occhiali, ci alitava sopra come per prendere fiato e non la finiva più. Era l’unico argomento che lo infervorava.
“C’è poco da ridere, per dieci lire al mese piuttosto che andare ai martinit mi spaccavo i polmoni col sacco rovesciato sulla testa e la cesta in spalla. Alla sera mi levavo via la pelle per lavarmi con l’acqua fredda e la lisciva, nessuno doveva dire che ero un tencitt!”.
Giorgio allora lo inzigava: “Raccontaci di quando eri povero e bello.”
Lui si fermava pensieroso e stringeva le labbra, si voltava dall’altra parte e si metteva a leggere il giornale senza dire più una parola.
Giorgio subito dopo la guerra non aveva trovato un lavoro. Nessuno trovava lavoro dopo la guerra. I ragazzi si vedevano al Bar tabacchi con biliardo di piazzale Istria e ci passavano i pomeriggi e le sere. Quelli bravi si guadagnavano la giornata. Mino era uno di questi. Quando entrava nel bar una faccia nuova sbagliava apposta qualche tiro, per minimizzare.
“Che sfortuna!” dicevano i suoi occhioni azzurri innocenti. Aspettava di essere sfidato e all’inizio si beveva mezzo castello, per dargli sicurezza. Poi quando era sotto di 10, 15 punti cominciava la rimonta inesorabile. A volte Giorgio gli faceva da compare, poi si dividevano il guadagno. Il trucco era lasciar credere al pollo che non si trattava di abilità ma solo di una combinazione accidentale, per invogliarlo al raddoppio. Quel pomeriggio avevano tirato su cinquemila lire a testa, meglio che andare a lavorare. Mentre erano in bagno a lavarsi via il borotalco dalle mani, Giorgio invitò Mino a cena, per festeggiare.
“Ma non lo dire a mio padre” disse poco prima di entrare nel portone di viale Zara.
“Ovvio” rispose Mino.
Luisa stava apparecchiando la tavola in cucina e quando vide entrare il fratello con l’amico andò a prendere un altro piatto nella vetrinetta della credenza. Non c’era neanche bisogno di dirlo, in quella casa. Aveva l’impressione di conoscerlo quel bel ragazzo, l’aveva già visto perché abitava nel quartiere, forse addirittura in viale Zara qualche portone più in là. Così alto, biondo, con quegli occhi e il portamento da attore del cinema non era uno che passava inosservato.
“Gradisce un bicchierino di Strega?” disse Amilcare alla fine, spingendo via il piatto vuoto.
“Sì, grazie! E’ proprio quello che ci vuole dopo questa bella cena, complimenti signora Rina” Mino sorrise, piegò il tovagliolo e lo accarezzava come per stirarlo. Lei lo guardò di traverso, “Isa, Danilo, andate a letto ” disse come se non avesse sentito.
“Dai mamma, lasciali star su ancora un po’”, Giorgio era tutto euforico, si alzò, portò i piatti nel cucinino, si mise a sedere di nuovo “che papà adesso ci racconta di quando l’hanno messo al palo” .
“Ma no, cosa vuoi che interessi” disse Amilcare versando il liquore, ma sorrideva.
“A me interessa” disse Mino, che aveva capito al volo.
Amilcare era un ragazzo del novantanove, quando fu richiamato la grande guerra non era ancora finita, aveva appena compiuto diciottanni. Non aveva fatto Caporetto ma sul Piave ce l’avevano mandato e sotto certi aspetti era stato anche peggio. C’era sempre meno da mangiare, erano equipaggiati malissimo, lo zaino pieno di cianfrusaglie e come arma solo un vecchio novantuno con la baionetta e sei colpi in tutto. Nella trincea faceva un freddo cane, era una pozzanghera alta mezzo metro, i piedi con le pezze non si asciugavano mai, altro che reumatismi. Ma la cosa più brutta era la diarrea. A questo punto del racconto Amilcare faceva sempre una pausa drammatica e i figli guardavano il soffitto alzando le sopracciglia.
“Cosa non va, Luisa?” disse Mino, “Ti annoi perché sai già come va a finire?”
Lei arrossì, era la prima volta che le rivolgeva la parola in tutta la serata, pensava non l’avesse nemmeno vista.
“Ma no, non è quello. E’ retorico. Mi sembra quello che li fermeremo sul bagnasciuga” disse tutto in un fiato con le gote in fiamme, pentendosi subito.
“Ma che retorico! È vero!” gridò Amilcare picchiando un pugno sul tavolo, “e il rispetto per i genitori?”
Tutti quanti lo guardarono stupiti.
“Cosa c’entra adesso il rispetto” ridacchiò Rina, “ci crediamo che è vero e io più di tutti. Ma delle volte ti fai prendere un po’ dall’eroica.” Gli carezzò una mano e si appoggiò allo schienale della sedia.
Giorgio rideva sotto i baffi, come se non fosse stato lui a montare su tutto il gibilè.
“Scusa papà, non volevo” disse Luisa con un filo di voce, le guance rosse e la testa bassa.
Lui non la guardò neanche, ce l’aveva con sua moglie.
“Ma come fai a dire che faccio l’eroica che non sono ancora arrivato al punto. Come fate a dire retorica, mica c’eravate voi là, a prendersi i proiettili dei cecchini!” disse secco, alzando il mento.
Mino guardò Giorgio che abbasso le ciglia una volta, con lentezza calcolata.
“La prego, signor Amilcare, continui a raccontare, mi interessa,” disse poi, toccandosi il naso. Lui lo guardò dritto in faccia, Mino sostenne lo sguardo senza spavalderia, come uno che dice per davvero.
“E insomma, per farla breve era tre giorni che avevo un movimento intestinale che mi spossava, da mangiare quasi niente, l’acqua sapeva di muffa, non stavo in piedi. Poi non è che ci fossero delle latrine vere e proprie, si andava in un cantone scavato nella terra e dopo una settimana e quel picio pacio che pioveva tutti i giorni, con tutto il rispetto, non le dico.” Amilcare adesso parlava spedito senza guardare nessuno, come se vedesse davanti agli occhi la scena. “Ho detto al sergente che volevo marcare visita. Questo era un fetente di Caserta, Rizzuto si chiamava, me lo ricordo ancora adesso. Sergente Rizzuto, gli ho detto, io devo marcare visita, ho la diarrea da tre giorni, stu minga in pé. Quella mattina avevano marcato visita già in quattro o cinque, s’è incazzato, se l’è presa con me: tu sei un codardo, mi ha detto, marchi visita perché te la fai sotto dalla paura. A me! Codardo a me che avevo fatto l’assalto pochi giorni prima che non so come non mi sono fatto ammazzare. Ero un fiulet, non mi facevo ancora la barba signor Amedeo, un bamba incosciente ero, altro che codardo. M’ha mandato al palo quattro ore. In pieno giorno. Il palo sporgeva fuori dalla trincea, gli austriaci erano a meno di mezzo chilometro, mi sono spiegato signor Amedeo?”
“Non ho capito bene: ma lei era legato al palo?” disse lui, “ e mi chiami pure Mino, come fanno tutti, e mi dia del tu: ho solo due anni più di Giorgio!”
“Caro Mino, allora non hai capito: ero legato a un palo, senza nessun riparo sotto il fuoco nemico! Una paura che mi ha fatto passare anche la diarrea, sembra una roba da ridere ma è così, mi è venuto un blocco intestinale dallo spavento, mi ero contratto così tanto che poi, quando mi hanno tirato giù, per un po’ non sono riuscito a piegare le gambe, non potevo sedermi, gnente, duro come un bacalà. Mi hanno appoggiato al muro come un bastone che se no andavo giù piatto. M’era venuto il rigor mortis anticipato!” e scoppiò a ridere.
Mino aveva spalancato gli occhi e non si capiva se ci credeva o se pensava fosse tutto uno scherzo e gli stesse dando corda per qualche sua oscura ragione. Guardò Giorgio e scoppiò a ridere anche lui, battendosi pacche sulle gambe.
“E comunque l’importante è essere qui a raccontarlo, signor Amilcare” disse, tornando serio all’improvviso. Luisa lo stava guardando.
(continua)

 

Amilcare era un ragazzo del novantanove

Già che faccio l'editore di me stessa, ho prodotto anche una versione digitale, mobi, epub e pdf. Se ti stanchi di leggere a schermo e la vuoi mettere nel tuo lettore eBook oppure se hai occasione di stampare a ufo e vuoi il pdf, scrivi a ladonnacamel@gmail.com e te la mando. Gratis e senza DRM!
(Però poi non venire qui a spoilerare il finale eh, t'ammazzo! Che, se non si era capito, le puntate qui continuerò a metterle, al ritmo di due a settimana, più o meno.)

 

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