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Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

Messaggi del 04/04/2013

L'occhio del coniglio 25. Che carino che sei stato

Post n°726 pubblicato il 04 Aprile 2013 da LaDonnaCamel
 
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"Che carino che sei stato a portarmi alla Coop, Ignazio.” Anita aveva sganciato il blocco del carrello e si era voltata verso di lui, sorridendo.
“Carino a me?” fece lui aggrottando le sopracciglia, “Come ti permetti? Non farti sentire da nessuno, sa’? Che mi rovini la piazza. Bada.”
“Che piazza?” disse lei. Lo guardò negli occhi, seria per un momento. Risero.
“E comunque c’è il cambio di equipaggio. Non ho niente da fare fino a domani. Lascia, spingo io.”
Le tolse il carrello, sfiorandole una mano di proposito. Lei fece finta di niente, si voltò verso il bancone della frutta. C’era una grande catasta di pesche gialle, un’offerta speciale. Ne  prese due confezioni e le mise dentro.
“Bel modo che hai scelto per passare l’unico pomeriggio libero della settimana.”
“I gusti sono gusti.”
“Contento te.”
“Lascia, faccio io.” Le prese il sacco da cinque chili di patate che stava per sollevare e lo appoggiò delicatamente nel carrello.
“Approfitto per fare un po’ di scorta. Sono a zero e Carlo vorrebbe partire domani.”
“Domani? Allora mi resta solo stasera per tentare la fortuna con te.”
“Scemo.” Rise e voltò la testa di scatto facendo saltare i capelli sulle spalle abbronzate.
“No dai. Scherzo.”
“Bravo, scherza.”
“Potresti almeno venire a un aperitivo in piazzetta. Stasera. C’è anche gente che conosci, del Velamare e di Caprera.”
Lei rise.
“Ti passo a prendere alle nove e poi ti riporto in barca.”
“Alle nove ho già cenato e sto mettendo a letto i bambini.” Rise ancora.
“A porto Rotondo la vita comincia quando fa buio, che colpa ne ho.”
“A porto Rotondo.” Scosse la testa. “Non farmi ridere. Non ho niente da mettermi” disse con la erre moscia e fece un gesto buffo con la mano, ruotando il polso e agitando le dita.
“Allora vieni ignuda. Faresti un figurone.”
“Ma smettila” gli diede un pugno sulla spalla. Lui le prese al volo la mano, gliela aprì e posò le labbra sul palmo.
“Sei in gran forma” le sussurrò dentro la mano.
“Non fare il seduttore da due soldi con me. Te l’ho detto che non attacca.” Disse lei, ritraendola di scatto.
Lui soffiò sporgendo le labbra, come un fischio muto.
“Non scherzo più. Basta.” Spinse il carrello un po’ più avanti.
“Però in forma sei in forma. Bei muscolazzi.” Mosse l’avambraccio avanti e indietro con la mano a pugno.
“Eh, tira su il genoa tira giù il genoa. Carlo non si accontenta mica di navigare.”
“Non c’è il rullafiocco?”
“Sei matto? Abbiamo sei genoa e tre fiocchi, oltre alla tormentina. Tutto deve essere sempre tirato al massimo, in ogni momento. È sempre in regata, lui. È già tanto che mi ha concesso il verricello elettrico all’ancora. Ma perché mi sono impuntata.”
“Allora mandaci lui a prua, no? Perché ci devi andare tu?”
“Eh, non mi va. Il fatto è che sono un prodiere, dentro. Eseguo. Sono efficiente.”
“Ma sei anche un’istruttrice, sai fare.”
“Con Carlo no. Non so.” Si erano fermati davanti ai barattoli dei sottaceti. Anita prese un vasetto di olive.
“Vieni tu a prendere l’aperitivo in barca.” Gli mostrò il barattolo.
“Se cenate a quell’ora faccio in tempo a passare da voi, trombarmi la Betta e poi andare anche a Porto Rotondo.”
Anita si voltò di colpo e lo guardò male.
“La Betta chi?”
“La tua amica Elisabetta, bella.”
“Eli? Ma cosa stai dicendo?” Gli tolse il carrello e lo spinse avanti. Guardò verso lo scaffale. Era arrossita? Si sentiva le guance accaldate. La musica di sottofondo - Imagine di John Lennon, gli altri clienti che si muovevano piano spingendo i carrelli, il puzzle dei colori sugli scaffali, l’odore di pollo arrosto dal banco gastronomia. Si appoggiò al carrello. Si fermò.
“Lo sanno tutti.” Disse lui. Le appoggiò una mano sul braccio. “E Felice va a pescare.”
“E allora?”
“Mica solo io. C’è da prendere il numeretto.” Fece una risatina.
“Che grezzo che sei. Ma poi, perché lo vieni a dire a me? Ma farsi un po’ di sani cazzi propri mai?”
“Sei ipocrita e bacchettona.”
“E tu sei stronzo.”
“Guarda. Non è che se non le sai, le cose, non succedono.”
Avevano alzato la voce e una signora li stava guardando incantata, con la bocca aperta.
Lei gli diede una gomitata. Lui le riprese il carrello e lo spinse avanti.
“E adesso non dirmi che non te l’ha detto, la tua amica. Lo so che siete così. Tutte a ridacchiare con la mano davanti alla bocca, ma poi.”
Si era fermato di nuovo e la guardava.
“Tu non capisci un cazzo.” Gli disse tra i denti.
“E tu apri gli occhi. Che ti conviene.”
Anita si morse un labbro fino a sentire il sapore dolciastro del sangue. Gli voltò le spalle e si allontanò.
Non dissero più niente. Lui spingeva il carrello e lei sbatteva dentro le cose.
Alla cassa lei pagò con la carta di credito anche il dentifricio che aveva preso lui. Non volle i soldi, lui insisteva, lei disse che non se ne parlava neanche.
Appena fuori lei inforcò un paio di occhiali neri, grandi, sopra quelli da vista.
Lui mise i sacchetti della spesa nel baule, lei lo lasciò fare.
In macchina faceva caldo, era stata al sole. Lei aprì il finestrino e mise il braccio fuori. Guardava dall’altra parte, le macchine parcheggiate nelle strade strette di Arzachena, le vetrine dei negozi, i pochi passanti.
Lui accese la radio.
(Continua)

 

 

super

 

Questo è L'occhio del coniglio, un romanzetto che ho scritto io e che mi piace offrire ai miei blogamici e agli sfaccendati che passano di qui.

Già che faccio l'editore di me stessa, ho prodotto anche una versione digitale, mobi, epub e pdf. Se ti stanchi di leggere a schermo e la vuoi mettere nel tuo lettore eBook oppure se hai occasione di stampare a ufo e vuoi il pdf, scrivi a ladonnacamel@gmail.com e te la mando. Gratis e senza DRM!
(Però poi non venire qui a spoilerare il finale eh, t'ammazzo! Che, se non si era capito, le puntate qui continuerò a metterle, al ritmo di due a settimana, più o meno.)

 

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