Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

Messaggi del 07/04/2013

L'occhio del coniglio 26. Hai da fare.

Post n°728 pubblicato il 07 Aprile 2013 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Coraggio, siamo a buon punto: ancora solo due o tre settimane...
 

 
 
"Hai da fare? Devo andare in bagno." Luisa appoggiò la pancia al tavolino facendolo tremare.
"Aspetta un attimo. Finisco questa scheda se no mi dimentico" disse Anita senza alzare la testa. Era un momento tranquillo, lo stand era vuoto e i visitatori scorrevano radi nel corridoio. Il rimbombo nel padiglione ovattava i suoni creando un sottofondo vischioso che restava nelle orecchie. Ronzavano per ore anche quando erano usciti di lì.
"Segnorina Anita buon giorno!" Un uomo basso, con i capelli grigi e un gran sorriso le stava tendendo la mano.
"Che piacere Mister Bloom" rispose lei, lasciandosi avvolgere dalla sua stretta decisa.
"È arrivato oggi?"
"Sì, stamattina. Ho avvuto un viaggio teribile" disse lui arrotando le erre.
Anita gli sorrise e lanciò un'occhiata a Luisa.  Lei si strinse nelle spalle guardandosi intorno. Mino era accucciato dietro una delle macchine esposte. Aveva aperto il carter e guardava dentro l'intrico dei cavi. Luisa gli si avvicinò da dietro e gli appoggiò una mano sulla spalla.
"Mi accompagneresti in bagno?"
Lui infilò una mano dentro la macchina.
"Mi passi il tester per favore" disse al capo officina chinato di fianco a lui. L'uomo frugò nella cassetta dei ferri. Un raggio di sole entrato dai finestroni in alto si rifletteva su qualche insegna metallica e faceva gibigiana sulla moquette rosso scuro.
"Mino" disse ancora Luisa.
Lui alzò la testa. "Non puoi andare con Anita?" Prese lo strumento e ruotò una manopola guardando l'ago che si spostava a fondo scala.
"È arrivato il Blum" disse Luisa.
"Ci dev'essere una dispersione sul teleruttore" Mino infilò i puntali nella macchina, li appoggiò in diverse posizioni sui terminali dei cavi.
"Non puoi aspettare cinque minuti?"
Luisa sbuffò dal naso.
"Non c'è il contatto" disse lui.  Appoggiò a terra lo strumento e voltò la testa. "Non puoi andarci da sola, per una volta?"
Lei strinse le labbra e fece correre lo sguardo sulle macchine allineate, sui tavolini occupati dai visitatori che discutevano con i commerciali, sulle persone che camminavano lentamente nel corridoio. Alzò le spalle e si diresse verso lo sgabuzzino. Prese la sua borsetta, attraversò lo stand voltando lo sguardo verso Anita che muoveva le mani mentre parlava con il cliente. Fu inghiottita dal flusso della folla che avanzava piano nel corridoio principale.
Dopo l'aiuola con la fontanella devo girare a sinistra, pensò, poi andare dritta per un po', dovrebbe esserci il cartello. Speriamo.
Sorrise da sola: ecco il cartello e ecco la porta dei servizi con il simbolo della donnina. Entro e si guardò nello specchio che prendeva tutta la parete. C'erano tre signore ai lavandini e due in coda davanti ai gabinetti. Il ronzio degli erogatori di aria calda superava il rimbombo del padiglione che entrava anche in questa stanza piccola.
Meno male che è pulito, pensò guardandosi intorno. C'era odore di sapone e di candeggina. Le donne al lavandino furono sostituite da altre, le porte dei gabinetti si aprivano e si chiudevano con colpi secchi, arrivato il suo turno fece quello che doveva e uscendo lasciò il posto a un donnone biondo con gli occhiali di tartaruga. Mentre si lavava le mani si sorrise nello specchio. I capelli erano in ordine e il trucco era a posto. Si massaggiò le labbra una contro l'altra per uniformare il rossetto, si guardò i denti aprendo la bocca e girandosi di lato. Tutto a posto.
Si fermò fuori dalla porta e frugò nella borsa, trovò una moneta che lasciò cadere nel cestino.
"Danke schön" disse la donna seduta di fianco al tavolo.
Luisa prese un respiro. Strizzando gli occhi guardò prima da una parte e poi dall’altra del corridoio. Da lì l’aiuola con la fontanella non si vedeva. Prese una direzione a caso, guardava le insegne degli stand per cercare un punto di riferimento, non le sembrava di essere passata di lì. O forse sì?
“Luisa? Sei tu?” Un uomo brizzolato le veniva incontro sorridendo. Spostò a sinistra l’impermeabile che teneva sul braccio e le porse la mano. Lei glie la prese meccanicamente e lo guardò interrogativa.
“Sei Luisa vero?” ripetè lui.
“Sì” ridacchiò lei “ma…”
Lui sorrise ancora. Le lasciò la mano e fece un passo indietro, come per farsi guardare tutto intero. Si erano fermati in mezzo al corridoio e il flusso di persone si apriva per aggirarli e poi si richiudeva intorno a loro, come fossero un sasso affiorante in un ruscello.
“Sono diventato proprio vecchio allora” disse ridendo, “è passato tanto tempo.”
“Non mi sembra poi così vecchio.” Disse lei facendo scorrere ostentatamente lo sguardo su di lui. Era un bell’uomo, alto, fisico asciutto e sguardo tenebroso. Portava un completo blu piuttosto elegante per il contesto, cravatta regimental, camicia azzurra che faceva risaltare l’abbronzatura.
“Tu invece non sei cambiata quasi per niente. Solo i capelli, forse un po’ più chiari.”
“Veramente non riesco a…” sorrise lei scuotendo la testa.
“Se ti dico i giardinetti di Viale Maino non ti viene in mente niente?” le toccò una mano.
Lo guardò negli occhi più da vicino, piegò la testa di lato.
“Fabrizio!” disse ridendo e sentì una vampata di calore accenderle le guance.
“Ma come hai fatto a riconoscermi?”
“Oh, finalmente. Dai, andiamo a prenderci un caffé. Per modo di dire eh, non mi sono ancora abituato a questa brodaglia” la prese per un braccio, dietro il gomito, e la spinse verso l’incrocio tra due corridoi. Lei si guardò indietro indecisa.
“Dai, cinque minuti, poi ti lascio tornare al lavoro.”
“No, scusa. Non posso. Devo tornare allo stand.” Si bloccò, guardandosi intorno.
“Ti accompagno?”
“Veramente io non.”
“Scusami. Non volevo essere importuno.” Si fermò anche lui. La guardò serio.
“Non sono sicura di ricordare come si arriva al mio stand.” disse con un risolino.
“Ah bè” lui si aprì in un sorriso, “allora ti devo proprio accompagnare. Io lo so dov’è il tuo stand.”
“Davvero? E come fai a saperlo?” Un signore la urtò con un rotolo di fogli, lei si voltò a guardarlo e quello bofonchiò qualcosa a bassa voce. Fabrizio la spinse dolcemente fuori dal bordo della corsia, dentro lo stand di una cartiera.
“Se proprio non ti va di prendere il caffé con me te lo racconto strada facendo.”
“Vada per il caffé” rise lei, “ma facciamo presto.”
Non sapeva neanche lei il motivo di tanta fretta. Non aveva appuntamenti personali nelle ore successive e non c’era affollamento allo stand. Però le sudavano le mani e aveva le gambe molli. Fabrizio continuava a parlare e non le lasciava il tempo di mettere in ordine le idee. Quanti anni erano passati? E come faceva lui a rivolgersi a lei in questo modo, come se fosse stato solo ieri?
“Quando ho sentito parlare italiano ho voltato istintivamente la testa. Ammetto che non ti ho riconosciuta subito, c’era solo qualcosa di familiare. Chiedo scusa, mi vergogno di dirlo ma vi ho ascoltati per po’.”
Erano arrivati alla caffetteria e tutti i tavoli erano occupati.
“Va bene anche al banco” disse lei guardandosi intorno. Era esausta e si sarebbe seduta volentieri, ma esausta di che? pensò mentre lui parlava con il cameriere.
Le sembrò che il rumore fosse diventato insopportabile. Faceva caldo. Si liberò un tavolino e si accomodarono.
“È stato guardando tua figlia che ho capito dove ti avevo già vista. È tua figlia, vero?”
“Mia figlia?”
Il cameriere era in piedi davanti al tavolo con il taccuino in mano. Fabrizio gli parò in tedesco e lei si domandò se era tutto vero o stava sognando. I contorni della scena le sembravano sfocati, i suoni ovattati.
“Ero nel tavolo a fianco ma c’era una pianta in mezzo, vi sentivo bene ma vi vedevo a spicchi, tra le foglie. Poi è arrivata lei. È diversa da te ma in qualche modo ti assomiglia. O ti assomigliava.”
Gli sorrise, scosse la testa.
“Ma che ci fai a questa fiera? Lavori nel nostro settore?”
“No” appoggiò la schiena, allungò le gambe di fianco al tavolo “Sono qui in vacanza.”
Lei si mosse sulla sedia, lo guardò con curiosità e di nuovo sentì le gote farsi bollenti.
“Stamattina avevo in mente di fare una gita in battello sul Reno. Poi vi ho visti e ho cambiato idea.”
“Che vergogna” disse lei frugando nella borsetta, “i soliti italiani che si fanno notare da tutti.”
Prese una sigaretta. Lui si sporse per accenderla, proteggendo la fiamma con l’altra mano sfiorò quella di lei.
“Ma no. Eravamo gli unici italiani in tutto l’albergo, è naturale farci caso.”
Apriva e chiudeva la bustina dei fiammiferi con il nome dell’hotel Capitol stampato sopra.
Lei guardò la brace e poi scosse la cenere picchiettandola con l’indice.
“Già.”
Si portò la sigaretta alla bocca e chiuse gli occhi mentre aspirava. Buttò fuori il fumo dal naso.
“Quindi non è un caso se ci siamo incontrati qui.”
“Infatti” rise lui, “ho chiesto al portiere dell’albergo. Dai vostri discorsi avevo capito ma non sapevo dove.”
Arrivò una ragazza con un vassoio, mise sul tavolino i caffé, un piatto di biscotti e una piccola brocca di panna.
Rimasero in silenzio per un po’. Mescolarono i caffé, assaggiarono i biscottini senza guardarsi.
“E tu? Cos’hai fatto in questi anni?” disse lei appoggiando la tazza “Ti sei sposato? Hai figli?”
Lui prese un sorso e si pulì la bocca col tovagliolino.
“Mi sono sposato sì. Ho un figlio, si sta laureando in economia alla Bocconi.” Strinse le labbra e voltò lo sguardo verso il centro della sala.
“Mia moglie è mancata due anni fa.”
“Oh” Luisa si appoggiò una mano sulla guancia.
“Mi sto riprendendo adesso.” Disse lui con un sorriso forzato.
Luisa pensò a quello che avrebbe detto Mino se li avesse visti in quel momento. Le venne in mente che chiunque avrebbe potuto vederli, dipendenti, clienti. Anita.
“Scusa ma adesso devo proprio andare o mio marito manderà una squadra dei marines a cercarmi.” Si era alzata in piedi e si guardava intorno, di nuovo agitata.
“Scusami tu, mi ero dimenticato che tu stai lavorando. Magari ci vediamo a Milano con più calma.”
“A Milano?”
“Sì. Perché no? Ti lascio il mio telefono, chiamami quando vuoi.” Prese dal taschino un biglietto da visita e glielo mise in mano. Si alzò e andò alla cassa. Lei lo seguì, restando in disparte. Si girava per le mani quel cartoncino. A Milano. Ma quando. Ma come. Pensò alle sue ore ordinate, programmate fin nei minimi particolari. Portarlo a casa? Con che scusa? Un vecchio fidanzato di cui non ti ho mai parlato? Un amico? Uno con cui mi sbaciucchiavo quando eravamo giovani? Lui crede di sapere tutto di me, fin dalle origini. Fabrizio è un segreto. Poi, mi importa? Non ci ho mai più pensato. Lo guardò fare la coda sereno e paziente. Certo è diventato un bell’uomo. Interessante. Sorrise. Chissà cosa aveva in mente. Venire a cercarmi in fiera. Magari si è appostato, mi ha seguita nascondendosi dietro le piante. Le scappò da ridere.
Lui era uscito dalla coda e le veniva incontro sistemando il portafoglio nella tasca interna della giacca.
Si avviarono in silenzio per il corridoio, camminando alla stessa velocità del flusso. Dopo una svolta lui si fermò. Davanti a loro, in fondo alla corsia, c’erano le insegne della società di Mino.
“Ti saluto, Luisa.” Le tese la mano.
“Mi ha fatto piacere vederti” disse lei. Si lasciò stringere la mano tra le sue per un tempo che, lì davanti, le sembrò infinito.
“Chiamami eh. Guarda che ci conto.”
“Sì, sì.”
Lo guardò allontanarsi, girare a destra e sparire.
Se mi avessero accompagnata in bagno non sarebbe successo, pensò. Mise la mano in tasca, toccò il biglietto da visita. Scosse la testa e senza guardare lo gettò nel bidone dell’immondizia dello stand di fronte.

(Continua)

 

Questo è L'occhio del coniglio, un romanzetto che ho scritto io e che mi piace offrire ai miei blogamici e agli sfaccendati che passano di qui.

Già che faccio l'editore di me stessa, ho prodotto anche una versione digitale, mobi, epub e pdf. Se ti stanchi di leggere a schermo e la vuoi mettere nel tuo lettore eBook oppure se hai occasione di stampare a ufo e vuoi il pdf, scrivi a ladonnacamel@gmail.com e te la mando. Gratis e senza DRM!
(Però poi non venire qui a spoilerare il finale eh, t'ammazzo! Che, se non si era capito, le puntate qui continuerò a metterle, al ritmo di due a settimana, più o meno.)

 

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