E' già buio. Sono passate da poco le sette, Simone entra nella piccola costruzione di mattoni crudi che chiama casa e si spoglia, assaporando già il piacere della doccia serale. Ma prima deve riempire il serbatoio, una tanica che ha appeso all’aperto, sul retro: pesca in un’altra più grande posata a terra. Sono venticinque pompate per cinque minuti di goduria.
Si toglie le scarpe e si massaggia i piedi secchi, sta mentalmente facendo i conti di quanti calzini puliti gli sono rimasti. E' seduto su una stuoia, non ci sono sedie né tavoli nella sua casa. La sua casa è una stanza, una porta senza porta e una finestra senza finestra. L'unico mobile è uno scaffale metallico dove ha sistemato la roba in ordinate pile, qualche scatola da scarpe per la biancheria. Il gabinetto è altrove. Avrebbe potuto abitare nella foresteria degli uffici, dove c'è qualche stanzetta spartana, il generatore per la corrente elettrica e soprattutto le porte, ma appena arrivato aveva preferito stare con la gente e poi gli era piaciuto qui. L'unica variante alle abitazioni dei profughi è l'amaca che ha teso sotto la finestra, lo tiene staccato da terra e gli sembra di stare più fresco.
Gli arriva il parlottare sommesso dei vicini. Sono tutti riuniti intorno ai catini del cous cous, nelle tende davanti alle case. Stasera è troppo stanco per unirsi a qualche famiglia, si aprirà una scatoletta di tonno qui da solo, ma prima la doccia, oh sì.
Un fruscio di stoffe interrompe i suoi pensieri
“Amina, sei tu?” dice allungando la mano verso la torcia. La risposta arriva prima della luce: “Simon, vuoi venire a bere il tè questa sera con noi?”
Amina è la figlia di Aziz, uno dei collaboratori locali dell’associazione. Un amico. Un fratello, direbbe Aziz.
“Sono stanco. Mi faccio la doccia e poi vado a dormire. Ringrazia la mamma per l'invito, e dì a papà che domani mattina gli devo parlare.”
La ragazzina non risponde, rimane per un po' ferma sulla soglia, una sagoma nera nel buio. Subito dopo sparisce.
Questa sera c'è la luna, si può fare a meno della lampada. Simone esce con l'asciugamano sui fianchi, gira intorno alla casetta e aziona la pompa a mano. Finalmente si abbandona allo scroscio dell'acqua, si strofina i capelli con gli occhi chiusi, si massaggia il corpo per togliere la polvere e il sudore della giornata. Quando l'ultimo rivolo è finito si volta per prendere l'asciugamano e gli sembra di vedere un lembo di stoffa sparire dietro l'angolo, ma è solo un attimo. Aguzza gli occhi e non c'è nulla, solo l'ombra di una nuvola spinta dal vento. Sospira. Si è abituato a tutto tranne alla mancanza di privacy.
Amina è seduta a gambe incrociate sulla stuoia, davanti a lei il bricco e i bicchierini. Ha acceso la lampada a olio, ha piegato i vestiti che Simone aveva gettato in un angolo.
Simone scuote la testa. “Amina, Amina” Lei sorride, il bianco degli occhi luccica, le sue piccole mani esperte versano il liquido scuro. “Com'è andata la tua giornata?” le chiede sedendosi. Amina gli porge il bicchierino, “bene” fa una risatina e abbassa gli occhi.
Il tè è forte e amaro, lo manda giù in un sorso e butta fuori il fiato in un mezzo colpo di tosse.
Amina sta già preparando il secondo. “Amaro come la vita, dolce come l'amore e soave come la morte” dice lui, restituendole il bicchierino. Lo dice ogni volta. Sono noioso, pensa. O forse no. Qui è normale la ripetizione degli stessi gesti antichi, delle stesse parole. Nessuno si sogna di scherzaci sopra.
Però gli ci voleva, sente la stanchezza sciogliersi in pigro rilassamento. Beve il secondo con più piacere e allunga le gambe, appoggiandosi alla parete. “Cosa si racconta, Ami?” La ragazza sta mescolando con un bastoncino nel bricco, assorta nei suoi movimenti sobri, precisi. “Non lo so cosa si racconta” dice poi, “Racconta tu”.
Simone beve il terzo tè, quello soave, prima di fare qualsiasi altra cosa, è la regola. Non ha nemmeno più fame. Ha solo sonno, ma è presto per andare a dormire.
"Sei stata gentile a portarmi il tè. Stasera sono troppo stanco per raccontare. Vai a casa Amina. Va bene?”
Amina abbassa la testa. Stringe le labbra, zitta. Prende i bicchierini, il bricco, le cose per il tè e va via senza far rumore.
Simone sorride. Che bella ragazza che s'è fatta.
Prende un libro dallo scaffale, lo apre alla pagina piegata con un'orecchia e si accorge che deve rileggere lo stesso pezzo di ieri sera. Dopo mezz'ora è cotto e si butta sull'amaca. L'aria tiepida lo accarezza. Chiude gli occhi sulla visione del sorriso di Amina, i denti bianchi che risaltano nella notte.
(continua)
Inviato da: LaDonnaCamel
il 03/08/2018 alle 10:03
Inviato da: gattoselavatico
il 31/07/2018 alle 15:50
Inviato da: LaDonnaCamel
il 08/07/2017 alle 11:52
Inviato da: Amico.Dario
il 07/07/2017 alle 17:53
Inviato da: LaDonnaCamel
il 26/04/2017 alle 21:34