Creato da LaDonnaCamel il 16/09/2006
Il diario intimo della Donna Camèl con l'accento sulla èl
 

Messaggi di Maggio 2012

I blog non sono «stampa clandestina»

Post n°595 pubblicato il 11 Maggio 2012 da LaDonnaCamel
 

Leggo sul sito del Corrierone quello che a me sembrava ovvio ma evidentemente non era e c'è voluta una sentenza di Cassazione per dimostrare.

"«È una conclusione ovvia, scontata, normale», dice Guido Scorza. In pratica dicendo che non c'è obbligo di registrazione dice che ai blog non sarebbero applicabili le discipline sulla stampa. Prima fra tutti, l'obbligo alla rettifica. Un mannaia sulla libertà dei blogger. Ma in quanto a libertà di informazione, c'è poco da brindare. La sentenza che di certo pone oggi un paletto, potrebbe esse superata da nuove leggi, di cui si parla da mesi."

Ecco. Stiamo svegli che la mannaia non dorme mai.

 
 
 

M^C^O anch'io

Post n°594 pubblicato il 08 Maggio 2012 da LaDonnaCamel
 

 

MACAO

 

Ieri sera sono andata a vedere: è a due passi da casa, come si fa a far finta di niente? Ho pensato che magari dura poco, che li mandano via oppure dicono di approvare, bravi, bravi, come mai non ci abbiamo pensato noi? Fare arte e cultura a Milano, che ideona. Concerti, mostre, laboratori, proposte: sìssì dai, facciamolo. Adesso però andate a casa senza fare storie, noi aggiustiamo i pavimenti che sono brutti, cemento grezzo, mettiamo a posto i soffitti con tutti i cavi che pendono prima che qualcuno si faccia male, diamo una pulita e poi vi chiamiamo, promesso. Davvero, giurin giuretta.

 

macao

 

Per saperne di più: http://wmacao.tumblr.com/

http://www.ilpost.it/2012/05/05/occupazione-della-torre-galfa-milano/

http://archiviostorico.corriere.it/2012/maggio/06/Gli_artisti_del_gruppo_Macao_co_7_120506019.shtml

http://www.facebook.com/macaopagina

http://www.alfabeta2.it/2012/05/08/macao-occupy-torre-galfa/

(link in aggiornamento)

 
 
 

Raccoglie storie e racconta storie, da artigiano

Post n°593 pubblicato il 07 Maggio 2012 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Abbi pazienza, non è che non ho voglia di raccontare storie mie e per questo ti rifilo le cose che ho sentito o ho letto. Il fatto è che quando una cosa è bella è bella e mi piace che la veda anche tu.

 

Mi chiamo Ascanio Celestini,
figlio di Gaetano Celestini e Comin Piera.
Mio padre rimetteva a posto i mobili, mobili vecchi o antichi
era nato al Quadraro e da ragazzino l’hanno portato a lavorare sotto padrone
in bottega a San Lorenzo.
Mia madre è di Tor Pignattara, da giovane faceva la parrucchiera
da uno che aveva tagliato i capelli al re d’Italia
e a quel tempo ballava il liscio.
Quando s’è sposata con mio padre ha smesso di ballare.
Quando sono nato io ha smesso di fare la parrucchiera.
Mio nonno paterno faceva il carrettiere a Trastevere.
Con l’incidente è rimasto grande invalido del lavoro,
è andato a lavorare al cinema Iris a Porta Pia.
La mattina faceva le pulizie, pomeriggio e sera faceva la maschera,
la notte faceva il guardiano.
Sua moglie si chiamava Agnese, è nata a Bedero.
Io mi ricordo che si costruiva le scarpe coi guanti vecchi.
Mio nonno materno si chiamava Giovanni e faceva il boscaiolo con Primo Carnera.
Mia nonna materna è nata ad Anguillara Sabazia e si chiamava Marianna.
La sorella, Fenisia, levava le fatture
e lei raccontava storie di streghe.

Qualche anno fa quando mi hanno chiesto di scrivere un curriculum da allegare alla presentazione degli spettacoli, non ho mandato una scheda con la formazione scolastica, la scuola di teatro, i seminari, i convegni seguiti. Forse perché non sono stato un brillante studente di liceo, ho interrotto gli studi universitari prima della laurea, la scuola di teatro che ho frequentato ha chiuso dopo un anno di corso per trasformarsi in un tempio per Sai Baba. Forse perché per tre o quattro anni ho partecipato a seminari che non vale la pena ricordare, un po’ perché la maggior parte di questi non sono durati più di una settimana, un po’ perché non ci crederebbe nessuno che ho fatto teatro-danza e comunque nel mio lavoro credo che non si ritrovi neanche un poco di quel poco che hanno cercato di insegnarmi.

Potrei aggiungere a quelle righe di presentazione che in questi anni ho fatto un po’ di spettacoli scrivendo il testo e pensando a quella che normalmente si chiama interpretazione, regia, scenografia, luci e costumi, ma che per me sono una cosa sola. Che ho scritto un po’ di libri, ho registrato un disco, ho girato un film e negli ultimi anni sono stato anche un po’ in televisione. Poco. Cinque minuti a settimana per un pezzo dell’inverno. Ma che, tutto sommato, il mio lavoro consiste nel raccogliere storie e raccontare storie. In mezzo, tra la prima e la seconda occupazione, c’è quello che succede nella testa del narratore, nella mia testa, cioè in una specie di bottega artigiana. Si, perché credo che il mio lavoro sia quello dell’artigiano. E in questa maniera ritorno alla prima parte della presentazione, a mio padre artigiano.

Credo che il mio lavoro funzioni come il suo. Un artista cerca di scrivere un libro perfetto, di dipingere il miglior quadro del secolo, di eseguire una musica in maniera sublime. L’artigiano no. Costruisce una sedia e poi un’altra e poi un’altra ancora. Non le conta nemmeno. Non pensa di fare la sedia perfetta, la madre di tutte le sedie. Pensa ad approfondire la propria esperienza e a mettersi a disposizione del cliente. Una sedia è il posto dove mettere il sedere. Deve essere comoda, stabile, solida e possibilmente anche leggera e infine bella. Ma è probabile che la bellezza sia una condizione secondaria, se non del tutto inutile. L’artigiano pensa che (o comunque si comporta in questa maniera) la sua opera attraversi tutte le sedie che costruisce nel corso del tempo. Sedie che dimentica perché dalla costruzione di esse accumula esperienza. Il suo lavoro è un flusso nel quale fa scivolare le sedie.

Continua qui

(Il corsivo è mio)

 
 
 

Il problema del barometro

Post n°592 pubblicato il 05 Maggio 2012 da LaDonnaCamel
 
Foto di LaDonnaCamel

Oggi mi hanno raccontato una storia così bella che non posso fare a meno di dirla anche a te. Sembra sia una storia vera, successa parecchi anni fa.

È tramandata in prima persona e dice così:

"Tempo fa ricevetti una chiamata da un collega. Aveva intenzione di dare zero a uno studente per una sua risposta ad un problema di fisica, mentre lo studente pretendeva il massimo dei voti per aver dato la risposta esatta.
Il professore e lo studente concordarono di rivolgersi a me come arbitro imparziale.

Io lessi la domanda assegnata all'esame: "Mostrare in che modo è possibile determinare l'altezza di un  grattacielo con l'aiuto di un barometro."
Lo studente aveva risposto: "Porta il barometro in cima all'edificio, legalo ad una lunga corda, calalo fino alla strada, fai un segno, tiralo su e misura la lunghezza della corda. La lunghezza della corda è uguale all'altezza del grattacielo.

Lo studente aveva risolto il problema completamente e correttamente. Ma assegnargli il massimo dei voti avrebbe potuto certificargli competenze non effettivamente confermate dalla sua risposta.

Io suggerii di dare allo studente un'altra possibilità. Gli concessi sei minuti per per rispondere alla stessa domanda con l'avvertenza di dimostrare le sue conoscenze di fisica.
Dopo cinque minuti non aveva scritto nulla. Gli chiesi se voleva ritirarsi ma egli disse che aveva molte risposte a questo problema; stava scegliendo quella migliore. Mi scusai per averlo interrotto e gli dissi di procedere.

Nel minuto successivo scrisse la seguente risposta: "Porta il barometro in cima all'edificio e lascialo cadere al suolo. Misura il tempo di caduta con un cronometro. Quindi, usando la formula h=0.5*a*t^2 calcola l'altezza dell'edificio. A questo punto chiesi al mio collega se lo studente poteva ritirarsi. Lo concesse e gli diede il massimo voto.

Lasciando l'ufficio del mio collega chiesi allo studente quali erano le altre risposte che conosceva.

Egli disse: "Ci sono molti modi per misurare l'altezza di un grattacielo con l'aiuto di un barometro.
Ad esempio puoi misurare la lunghezza del barometro, la sua ombra e l'ombra del grattacielo in un giorno di sole e quindi, con una semplice proporzione, calcolare l'altezza dell'edificio.

"Bene," dissi "e le altre risposte?"

"Sì," rispose " c'è un metodo molto elementare: partendo dal piano terreno sali le scale e traccia dei segni sui muri utilizzando il barometro come unità di misura di lunghezza. Alla fine conta i segni e avrai  l'altezza dell'edificio in unità-barometro.

"Un metodo molto diretto."

"Naturalmente. Se vuoi un metodo più sofisticato, puoi legare il barometro ad un filo ed usarlo come pendolo per misurare il valore di g (gravità) al livello della strada e in cima all'edificio.
Conoscendo la differenza di gravità è possibile calcolare l'altezza dell'edificio.

Similmente puoi andare in cima all'edificio, legare il barometro ad una lunga corda, calarlo fino al livello della strada e farlo oscillare come un pendolo. Misurando il periodo, si può calcolare la lunghezza della corda, cioè l'altezza dell'edificio.

Infine, ci sono molti altri metodi per risolvere il problema. Forse il migliore è quello di prendere il barometro e bussare alla porta del direttore. Quando apre gli dici così: "Signor direttore, questo è un bellissimo barometro. Se mi dice l'altezza dell'edificio glielo regalo."

A questo punto chiesi allo studente se veramente NON conosceva la risposta convenzionale a questa domanda. Egli ammise che la conosceva ma che non ne poteva più di una scuola e di professori che tentavano di insegnargli a pensare.

Lo studente era Niels Bohr, fisico danese, premio Nobel per la Fisica nel 1922"

 
 
 

Le avventure di Nonugo 5/n

Post n°591 pubblicato il 02 Maggio 2012 da LaDonnaCamel
 
Tag: Nonugo

In quegli anni in Argentina Nonugo si era creato una fissazione: l'enciclopedia Britannica. Aveva giurato a se stesso che l'avrebbe avuta non appena tornato in Italia, e so per certo che aveva mantenuto la promessa. Quello che non so è l'uso che ne aveva poi fatto, i volumi sembrano intonsi. Aveva consultato molto quelli di dona Angelica, più che per curiosità scientifica a causa di un incontro particolare, ma non era la stessa edizione. Non credo.
La prima volta fu ancora una domenica pomeriggio. Dopo la potatura di un tralcio di ibisco che pretendeva di entrare nella finestra di cui avrebbe dovuto fare cortina ornamentale, dopo la consueta  spremuta di limone zuccherata, invece di filare in camera Nonugo si trattenne nel patio con le mani in mano. Il profumo d'erba tagliata, la brezza che prometteva di rinfrescare la serata gli mettevano addosso una mollezza di spirito che non riusciva a riconoscersi. Spostava gli occhi da un crepa sul muro all'orizzonte della siepe di cinta, al di là del prato, del sentiero di sassolini, del cancello di ferro battuto e poi ancora al muro senza risolversi a entrare in casa, o almeno in biblioteca. Dona Angelica si dondolava quieta sulla sua poltrona di vimini intrecciato, apriva il ventaglio cinese e lo chiudeva, lo poggiava in grembo e subito dopo lo riprendeva. Un moscone volava intorno alle rose tagliate e disposte con arte in mezzo al tavolo, si posava un attimo interrompendo il ronzio e subito si rimetteva in moto come se fosse insoddisfatto, o come se stesse cercando qualcosa di preciso sui petali gialli screziati di arancio o sulle foglie o sul cristallo del vaso.
Tre persone si presentarono al cancello. Un uomo con un panama in capo e due donne.

 

(Prima puntata e indice qui)

 
 
 

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