Creato da: giampi1966 il 13/03/2006
Questo blog si propone di promuovere la politica come servizio e la coerenza dei politici con gli obbiettivi programmatici. Troppo spesso l'agire del politico è distante anni luce dal suo programma e da ciò che professa. Per poter rinascere la politica deve sapersi imporre alle varie pressioni e deve guardare lontano.

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MARZOTTO UNA STRAGE DIMENTICATA MODELLO PER IL GOVERNO MONTI

Post n°733 pubblicato il 02 Aprile 2012 da giampi1966
 
Tag: alternativa comunista, C.G.I.L., Calabria, capitalismo, casta, Cobas, coerenza politica, comunicazione, comunismo, confederali, coraggio, coscienza di classe, cosenza, costituzione italiana, cure, democrazia, depistaggi, diritti delle donne, eccidio marzotto, ecologia e ambiente, economia, fascismo, giornalismo, giustizia, inquinamento, Italia, lavoro, libertà, lotta, lotte studentesche, magistratura, malattie, marxismo, marzotto praia, meridione, mondo del lavoro, moralità, natura, osservatorio politico, parlamento, partiti, politica, pomigliano, R.D.B., rivoluzione, salute, sanità, sciopero, sindacalismo rivoluzionario, sindacato, sinistra, Slai Cobas, squallore politico, stampa, storia contemporanea, storia politica, stragi, strategia della tensione, sud, unità d'Italia, USB, welfare

 

Le seguenti storie paiono slegate ma non è così, sono eplicative di un modello socio/economico verso il quale ci stiamo velocemente avviando, i teologi di questo modello sono molti e tutti non ne verrebbero coinvolti perché a pagare saranno i milioni di lavoratori che subiranno un sistema lavorativo ottocentesco.

Questa gente (Ichino, Marchionne, Fornero, Monti, alcuni giornalisti, il PD, il PDL, i sindacati concertativi ecc….), in nome della presunta modernità, che rappresenta in realtà il ritorno agli anni 50, auspicano un mondo del lavoro dove i lavoratori diventano dei semplici strumenti di produzione, da sfruttare e da gettare via quando usurati o quando danno fastidio.

 

Processo Marlane Marzotto: dov’è la giustizia ?

 

Si apre con la notizia di altri due decessi tra gli ex-lavoratori  la giornata dell’ennesima udienza preliminare del processo alla Marlane Marzotto.

Un udienza infinita, cominciata alle ore 9.00 di mattina e terminata alle 17.00 circa, scandita dai freddi interventi dei “principi del foro” (tra cui gli studi degli avv. Ghedini e Pisapia) chiamati a difesa dei responsabili di una strage senza precedenti.

Interventi di sola elencazione di eccezioni e nomi, una perdita di tempo evitabile con la semplice presentazione delle memorie, peraltro già preparate da tutti gli avvocati e poi consegnate al giudice.

Ma l’allungamento dei tempi, da un anno circa si è ancora alle udienze preliminari, serve ad arrivare alla prescrizione…forse il vero obiettivo degli indagati.

Di certo le circa 300 costituzioni di parte civile contro gli imputati e le aziende, tra le quali la Cgil, le istituzioni locali ed alcuni comuni anche limitrofi, associazioni ambientaliste ed altri, hanno ulteriormente pesato sui tempi del processo.

Quel disastro ambientale dovuto alla totale mancanza di ogni minimo criterio di sicurezza, in quella che era una delle più importanti fabbriche tessili d’Italia, ha ucciso per tumore centinaia di persone, ma sembra totalmente estraneo a questo processo.

L’azienda fu fondata negli anni ’50 dal conte Rivetti e produceva tessuti, per lo più divise militari.

I reparti erano divisi tra loro da mura.

Poi nel 1969 passò nelle mani dell’ Eni – Lanerossi e, successivamente, nel 1987, al gruppo Marzotto per 173 miliardi di lire.

Per i 200 lavoratori espulsi la finanziaria dell’Eni mise a disposizione, per ognuno di loro, 44 milioni per una riallocazione occupazionale mai avvenuta.

La fabbrica, appena gestita dalla Lanerossi, tolse le mura divisorie e così divenne tutto un ambiente unico in cui convergevano tessitura e orditura, filatura e tintoria e così i fumi provenienti dalle sostanze chimiche della coloritura si espandevano ovunque.

Non c’erano aspiratori funzionanti e gli operai gettavano i coloranti in vasche aperte senza alcuna protezione.

Nella fabbrica c’era anche l’amianto presente nelle pastiglie dei freni dei telai, che, consumandosi, emettevano polveri respirate da tutti.

A fine giornata veniva “donata” una busta di latte ad ogni lavoratore, unico rimedio ai veleni respirati durante tutto il turno di lavoro.

Nel 1996 la tintoria veniva chiusa.

I danni sembrano anche estesi all’ambiente circostante. Dietro la Marlene Marzotto ci sono scavi in cui sono stati rinvenuti rifiuti tossici.

La dura verità, la realtà, rimane fuori da quest’aula.

Si legge, si respira, nei visi stanchi dei parenti delle vittime, sinora 160, negli occhi dei lavoratori colpiti dal male, altri 100.

Hanno combattuto la loro battaglia appoggiati dal solo sindacato Slai cobas e dalla forza e dalla determinazione di Cunto, un loro compagno e collega, che insieme hanno presentato le prime denunce, lottato contro i numerosi tentativi di archiviazione e mandato, infine, a processo i vertici delle aziende coinvolte.

Ora compare anche chi, fino ad adesso, non si era visto neanche con il binocolo.

Un banchetto di Rifondazione comunista staziona fuori al palazzo di giustizia sino all’ora di pranzo.

Appare anche una telecamera della Rai…poche riprese e va via.

Solo pochi trafiletti su alcuni giornali, veloci servizi in televisioni private…nel silenzio una vicenda che dovrebbe avere il massimo dello spazio sia per il numero di persone coinvolte, sia per la gravità dei fatti, sta procedendo.

Il processo va avanti in un aula che sa di negazione di quella giustizia che dovrebbe essere il baluardo di una società civile e democratica.

La prescrizione, se dovesse essere raggiunta dagli imputati, non cancellerà il male che hanno fatto, cancellerà un altro pezzo di quella idea di giustizia che non sembra più esistere nel nostro paese.

 

La strage della Marlene Marzotto: testimonianza di un lavoratore

 

Manzilli Michele, 69 anni, di Praia (Calabria)

Ha lavorato alla Marlane dal 1959 al 1988

Siamo seduti fuori il Tribunale di Paola, dove si svolge il processo.

Mi racconta: “lavoravo ai magazzini materie prime, dove veniva trattata la lana per poi essere mandata alla lavorazione.

Ci ho lavorato per 5 anni e sapevo fare bene il mio mestiere.

Tornato dal servizio obbligatorio militare venivo spostato al reparto tintoria.

Sapevo che non potevano farlo, ma preferii accettare, ci tenevo a quel lavoro.

Negli anni ’60 non esistevano buoni sistemi di areazione e protezione e i reparti si riempivano dei fumi delle lavorazioni…a volte non riuscivamo neanche a vederci.

Poi ci furono dei miglioramenti…il fumo non occupava più gli ambienti dove lavoravamo.

L’azienda decise di togliere le pareti di separazione tra i reparti…forse fu allora che in molti, se non tutti, contraemmo le malattie.

Io in tintoria lavoravo con i coloranti…quando la sera mi lavavo i denti la mia saliva aveva il colore del colorante che avevo usato durante le mie ore di lavoro.

Negli ultimi anni di lavoro cominciai a sentire dolori lancinanti per tutto il corpo.

Durante i turni di notte andavo in laboratorio per massaggiarmi con l’alcool e avere un minimo di sollievo.

Nessuno si accorse della malattia, almeno sino ad allora, neanche io.

Nel 2008, dopo uno strano fenomeno fisico, la mammella destra venne come risucchiata all’interno, mi feci visitare.

Venni immediatamente invitato ad operarmi.

Il prof. Stoppelli e la professoressa Truscelli mi operarono al petto, alla mammella e all’ascella…asportandomi il tumore.

Poi dovetti seguire un periodo di chemioterapia…mi caddero tutti i capelli…mi mancava la forza di uscire.

Sono riuscito a reagire, adeso esco, ma sono sempre sotto controllo, ogni 4 mesi devo sottopormi ad una serie di esami.

Nel reparto tintoria eravamo in 21…8 sono morti….tutti e 21 ci siamo ammalati.”

 

Stefano Federici

   Sindacato dei Lavoratori Autorganizzati Intercategoriale  S.L.A.I.

 

Comunicato stampa

 

Assemblea Slai cobas: col ‘paracadute’ delle normative CEE 150 operai impugnano il piano Marchionne e l’accordo di Pomigliano ai tribunali di Nola, Napoli (in corte di appello) e Torino

 

GIA’ ASSEGNATO UNO DEI RICORSI AL GIUDICE DEL LAVORO DI TORINO (DOTT. CIOCCHETTI) E L’UDIENZA SI TERRA’ IL PROSSIMO 28 MAGGIO

 

IL 20 APRILE ASSEMBLEA OPERAIA NAZIONALE ALL’ALFA DI ARESE

 

Molto partecipata e tesa l’assemblea operaia di stamattina svoltasi nella sede Slai cobas di Pomigliano in cui il sindacato ha messo a punto una vera e propria controffensiva a tutto campo a tutela dei livelli occupazionali e dei diritti dei lavoratori (3.000 dei quali - di Fiat Automobiles ed ex Ergom - solo a Pomigliano, dal luglio 2013 saranno a rischio licenziamento  allo scadere della cassa integrazione per cessazione di attività). A differenza della Fiom, lo Slai cobas ha impostato la strategia giudiziaria non tanto sulla rivendicazione dei diritti per l’organizzazione sindacale quanto sulla tutela diretta dei diritti soggettivi dei lavoratori, diritti oggi messi fortemente in discussione da Marchionne di concerto con CGIL-CISL-UIL (accordo interconfederale “in deroga” quali del 28 giugno 2011 e trattativa in corso con la coppia Fornero/Monti sulla controriforma di mercato del lavoro e ammortizzatori sociali).

 

Intanto è già stata assegnata, al giudice Vincenzo Ciocchetti di Torino (lo stesso del ricorso Fiom di luglio 2011) la causa pilota di 4 operai di Fiat Automobiles Pomigliano con la richiesta di reintegro in Fabbrica Italia Pomigliano: l’udienza si terrà al Tribunale di Torino il prossimo 28 maggio. Analogo ricorso è stato presentato da altri 4 operai di Fiat Automobiles Pomigliano al Tribunale di Nola. Tutte le cause, in tribunali diversi (Nola, Napoli in corte di appello, e Torino) impugnano gli accordi di Pomigliano sia per la illegittima deroga dell’obbligo di rotazione dei lavoratori (per fungibilità di mansioni  - tra i periodi di ‘cassa’ e ripresa lavoro) e a contrasto delle discriminazioni in atto per selezionare lavoratori secondo la loro aderenza o meno ai sindacati ‘graditi’ all’azienda, che per l’illegittima e strumentale costituzione della newco FIP (Fabbrica Italia Pomigliano) realizzata in violazione all’art. 2112 del cc e sostitutiva di Fiat Gruop Automobiles che ha ormai cessato l’attività produttiva diventando una vera e propria fabbrica fantasma con funzione strumentale di parcheggio/licenziatoio. A quest’ultimo proposito la Fiat non solo ha deliberatamente e grossolanamente violato le chiare normative di legge vigenti in Italia ma finanche quelle CEE, sulle quali la corte europea si è ripetutamente ed inequivocamente sempre pronunciata in questi anni in analoghe circostanze. Non è escluso, in caso di improbabile mancato accoglimento delle richieste Slai cobas il ricorso alla magistratura europea. E in quella sede né Monti, né Fornero, né CGIL-CISL-UIL faranno in tempo a controriformare le normative.

 

Per tutti i ricorrenti, inclusi i 116 del reparto confino di Nola iscritti allo Slai cobas, e tutti gli altri 200 addetti a tale unità produttiva ‘logistica’ lo Slai cobas, nell’appello presentato a breve al tribunale di Napoli  ribadirà la richiesta di congruo risarcimento del danno salariale subito dai lavoratori e di conseguente reintegro a Pomigliano in newco FIP. A tal proposito il sindacato  registra l’ anomalia del tribunale di Nola dell’era Marchionne, che da qualche anno respinge sistematicamente tutti i ricorsi proposti dallo Slai cobas contro Fiat per comportamento antisindacale, ricorsi poi tutti invece accolti favorevolmente dalla Corte di appello del Tribunale di Napoli, nel secondo grado di giudizio, in ‘riforma’ dei precedenti giudizi di Nola. Intanto nei prossimi giorni altri 14 operai di Nola presenteranno un nuovo ricorso per mancata rotazione al tribunale di Nola, che si sommano alle cause in corso di altri 20 operai.

 

Slai cobas Fiat Alfa Romeo e terziarizzate - Pomigliano, 30/3/2012 – www.slaicobas.it

 
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