Creato da: giampi1966 il 13/03/2006
Questo blog si propone di promuovere la politica come servizio e la coerenza dei politici con gli obbiettivi programmatici. Troppo spesso l'agire del politico è distante anni luce dal suo programma e da ciò che professa. Per poter rinascere la politica deve sapersi imporre alle varie pressioni e deve guardare lontano.

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Post n°186 pubblicato il 16 Luglio 2007 da giampi1966
 
Foto di giampi1966

Prendo spunto dall’uscita del saggio dell’economista indiano Prem Shankar Jha “Il caos prossimo venturo” per introdurre un’argomento che, per la verità, già traspare in modo chiaro tra i messaggi pubblicati sul blog.

Il sopracitato saggio, tra l’altro, teorizza la fine dello Stato Nazione così come lo abbiamo comunemente inteso a partire dal trattato di Westfalia prima (1648) e dal congresso di Vienna poi (1815), tale sistema sanciva l’inviolabilità dei confini nazionali, un sistema di relazioni diplomatiche articolate finalizzate a derimere le controversie tra gli stati sovrani ed un primo abbozzo di diritto internazionale universalmente riconosciuto. Ma soprattutto instillò nelle menti, l’avversione verso l’eventuale stato aggressore.

Tale sistema per la verità non si è dimostrato alla prova dei fatti in grado di prevenire le guerre che infatti furono cruente e numerose, tuttavia riuscì ad instillare in tutte le nazioni una profonda avversione per le azioni di disturbo delle status quo, e nel contempo la disapprovazione per le aggressioni non provocate di un paese ai danni di un altro e soprattutto costituiva l’architrave su cui fondare il diritto internazionale.

Questo sistema è stato messo in discussione dall’inizio degli anni 70 con l’avvento della globalizzazione che iniziò a minare le fondamenta economiche dello stato-nazione, le fondamenta politiche vengono invece scosse in modo impetuoso dal nuovo imperialismo americano.

Tale imperialismo può farsi risalire al 1896 (guerra ispanoamericana), quando l’america installò basi militari in luoghi distanti tra loro come Guam, Hawaii, Filippine, il canale di Panama, Porto Rico e Cuba. Ma furono la seconda guerra mondiale e poi la guerra fredda a consentire agli Stati Uniti di ampliare la loro rete di basi in Europa occidentale (tra cui naturalmente l’Italia), Okinawa, Giappone, Corea, Tailandia, Australia, e Nuova Zelanda.

I governi riluttanti alla sottomissione politica ed economica nei confronti degli Stati Uniti, come avvenne in moti paesi dell’america latina (dal Cile al Nicaragua, all’Argentina al Paraguay) venivano defenestrati con l’appoggio diretto della CIA, instaurando feroci dittature.

L’espansione della presenza militare degli Stati Uniti continuò anche dopo la fine della guerra fredda. Dopo la prima guerra del golfo, nuove basi americane sorsero in Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Bahrain, Oman, Egitto e Gibuti.

Questa tattica di penetrazione indiretta che almeno salvava la facciata della sovranità nazionale venne meno nel 1989 con la fine della guerra fredda, a quel punto iniziarono gli attacchi diretti allo stato nazione in sfregio al diritto internazionale ed al comune sentire, Bosnia, Somalia, Haiti ed infine l’Irak, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna attaccarono con oltre 200.000 uomini questo stato sovrano accampando una serie di scuse appositamente inventate, nonostante la disapprovazione dell’opinione pubblica mondiale e senza le autorizzazioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Ma perché ho fatto questa lunga premessa? La mia intenzione è quella di motivare un mio pensiero che è forse tabù per una parte della sinistra, la necessità di scoprire un certo orgoglio nazionale, che non deve basarsi su un sentimento di presunta superiorità o volontà di sopraffazione fisica o culturale di chi non è di nazionalità italiana, ma deve basarsi sulla necessità di preservare la tipicità della nostra cultura, così come in natura è una ricchezza preservare la biodiversità, solo in questo modo possiamo svolgere un ruolo positivo e propositivo nel mondo.

Mantenersi in questo stato di sovranità limitata è estremamente pericoloso per il pianeta, visti i piani imperialisti dell’impero, un primo salutare sussulto in questo senso l’ho notato nei vicentini, in verità però dal dopoguerra in poi molti italiani, consapevolmente o meno hanno condotto una battaglia in questo senso, facendo molto spesso una brutta fine (vedi Mattei, Moro, Pasolini, Calipari, Ilaria Alpi ma metterei anche altri personaggi che in apparenza non centrano come Falcone e Borsellino).

Del resto anche la sinistra riconosce l’importanza di difendere le peculiarità e la libertà dei vari popoli, non capisco quindi perché non si abbia il coraggio di ammettere l’importanza di difendere “l’italianità” culturale ma anche territoriale ed ambientale.

 

 
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